Scappare dai guai del futuro per ritrovarli nel passato
L’amatissima saga di Zelda ha subito una brusca virata nel 2017, quando The Legend of Zelda: Breath of the Wild è arrivato sugli scaffali di tutti i negozi di videogiochi. Abbiamo scritto fiumi di parole su quanto questa iterazione della saga e il suo seguito Tears of the Kingdom (2023) abbiano innovato il concetto di Open World su cui Nintendo sembrava adagiarsi pur con risultati eccellenti, specie con l’altra grande serie della grande N, quella con un simpatico idraulico baffuto come protagonista, senza mai stravolgerne i perni portanti. Adesso Zelda sembra avere due anime, una più “classica” la cui vecchia formula (stantìa ma adorata dai fan di lunga data) overworld-dungeon-repeat non è stata abbandonata (The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom, 2024) e probabilmente mai lo sarà, e un’altra anima più ariosa, con paesaggi sconfinati e tanta libertà nelle mani del giocatore, rappresentata da questo nuovo ciclo.
I toni di queste ultime guerre contro Ganondorf a base di esplorazione e creatività sono senza dubbio più drammatici rispetto ai capitoli più rinomati quali Ocarina of Time (1998) e The Wind Waker (2002), che pur non mancano di epicità. Anche potendo segnalare in Twilight Princess (2006) e in Majora’s Mask (2000) toni decisamente lugubri e più seriosi, la nuova direzione intrapresa è permeata da un’ariosità difficilmente confinabile in un solo videogioco. Una delle (poche e) più grandi critiche mosse risiede per l’appunto nella frammentarietà del racconto, tale da ricevere critiche irricevibili quali “non ha trama” (cit. gente a caso nei social improvvisamente esperta di storytelling).

Già il primo musou dedicato al nuovo ciclo (Hyrule Warriors: L’Era della Calamità, 2020) si prendeva l’onere di infondere più respiro alla trama di Breath of the Wild, arrivando per giunta a esagerare e divenendo un What IF da un certo punto in poi (e ricevendo tante critiche per questo). La lieta novella è che Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio non si prende libertà non richieste, e svela i retroscena di quanto accaduto a Zelda in Tears of the Kingdom partendo proprio da quella caduta nella grotta che la trasporta indietro nel tempo, giusto qualche anno dopo la creazione di Hyrule, al cospetto dei re Raul e Soniah, eventi solo in parte svelati dai ricordi in cui Link poteva imbattersi mentre era intento a montare macchinine e impalare ignari korogu. Ne consegue che L’Era dell’Esilio è un’ottima appendice che racconta ed espande la storia di TotK, colorandone i dettagli e addirittura aggiungendo personaggi inediti, alcuni di questi non avrebbero sfigurato affatto nel gioco da cui è tratta la trama, altri decisamente superflui, ma poco importa.
Quel che conta è che L’Era dell’Esilio si prefigge di espandere una storia che abbiamo amato, pur traslandola in un genere molto diverso, e che questo ruolo è stato assunto ed eseguito alla perfezione. Già nei primi secondi di avvio del gioco si capisce di avere a che fare con della materia importante, con una storia densa, narrata con tutto il respiro di cui ha bisogno e merita. Dal press start in poi le cutscene saranno frequenti (e spesso lunghe), tanto che è forse il gioco ad essere d’impiccio alla storia, una volta tanto. Sì, Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio è parte integrante della lore di Zelda, rispetta la continuity ed è considerato canon. Tuttavia rimane giocabile anche senza aver sviscerato Tears of the Kingdom (al costo di pesanti spoiler ovviamente), beccandosi tutti gli onori e oneri del genere.

Il genere musou è un picchiaduro con armi bianche, tecniche speciali e magie incastonato in una mappa su cui si spiegano battaglie che hanno bisogno di un guizzo tattico superiore al semplice padroneggiamento di comandi e timing. Mentre si cerca di buttare giù il boss per conquistare un avamposto, nell’altro lato della mappa può scatenarsi l’inferno e occorre aggiungere ai nervi saldi e ai riflessi anche una piccola dote di perspicacia nel mandare le truppe amiche guidate dalla CPU nel posto giusto, tramite semplici comandi selezionabili a schermo, per non ritrovarsi gambe all’aria e perdere senza aver nemmeno capito il perché. Oppure si può anche decidere di prendere il controllo di un PG diverso che sta affrontando tutt’altra situazione, sempre che non sia troppo tardi. Non mancano combo da inanellare e mosse speciali da scatenare dopo il riempimento di apposite barre. La strategia inizia anche prima di scendere sul campo, scegliendo e potenziando i propri guerrieri, dotandoli di armi modificabili, aggiungendo bonus che migliorino il riempimento di barre o l’accumulo di risorse o punti EXP.
Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio segue questi dettami comuni ad altri titoli Warriors e aggiunge l’inedita barra sincro, un mossa speciale ad elevato tasso di spettacolarità sfruttabile da due eroi che sfoggeranno la propria violenza in colpi pirotecnici e devastanti per il nemico. Spesso si riesce a far fuori metà dell’energia di un nemico anche molto potente. Depotenziata invece la barra della mossa speciale, tanto facile riempirla facendo fuori centinaia di minions nel giro di manciate di secondi, tanto poco efficace l’effetto. Il suo effetto è ampiamente rimpiazzabile dalle abilità individuali dei personaggi, scatenabili con un semplice tasto quando si riesce a svuotare anche l’ultimo spicchio di energia di un nemico, abbassandone le difese.

Il mondo di Zelda influenza il genere anche nell’armamentario con diversi congegni Zonau a disposizione dei personaggi. Assegnabili a qualsiasi tasto diverso da X e Y (i tasti deputati agli attacchi forti e deboli), questi spaziano dalla Turbina capace di rimandare al mittente frecce scoccate da nemici arcieri, a Bombe a orologeria in grado di spezzare gli scudi di nemici corazzati, passando da Idranti, Ignicefali, Criocefali, Elettrocefali e Fotocefali in grado con le loro caratteristiche a base di elementali di spezzare le più ardite difese dei nemici colpendoli sulle loro debolezze. Un Hinox coperto di melma? Basta piazzare un idrante dove non batte il sole mentre si continua a colpire imperterriti. Grublin corazzato? Un’azione con la freccia come l’Arco della luce di Zelda al momento giusto, e così via. Non mancano neanche gli attacchi compositor, che taluni personaggi possono sfruttare utilizzando parti di mostro.
L’impegno cerebrale dei musou non è mai stato altissimo, e anche questa nuova iterazione non fa eccezione. Questo li rende titoli amati da chi non va alla ricerca dell’impegno tipico di RPG tattici e al contempo non vuole spegnere il cervello del tutto. Le missioni sono innumerevoli e di durata variegata. Quelle attinenti alla storia principale impegnano dai 15 ai 30 minuti, mentre missioni slegate, utili per il potenziamento dei personaggi e la raccolta delle risorse, sono più frivole (e a dire il vero più ripetitive e scontate) e possono durare dai 2 ai 10 minuti, rendendo questo un titolo perfetto per una console portatile. Sviscerate le missioni principali e non per decine e decine di ore, si apre l’Endgame che ne promette altrettante, e aggiornamenti gratuiti sono stati già annunciati. Ovviamente chi ha sempre odiato il genere proprio per via di queste caratteristiche, non cambierà idea. Il ciclo del gameplay funziona, tutto è abbastanza coerente alla storia (anche fin troppo), ma la ripetitività di fondo rimane, nel bene e nel male. Le missioni nell’altopiano spesso prevedono sezioni sparatutto alla Panzer Dragoon, ma sono in numero troppo esiguo per costituire qualcosa di diverso da un’eccezione.

Dal punto di vista tecnico rimangono alcune imperfezioni che hanno sempre colpito la serie: il frame rate che scende in momenti troppo concitati, l’azione in pausa durante l’esecuzione di mosse speciali, la difficile leggibilità dell’azione in determinati frangenti, la mappa a volte poco chiara, e le azioni da appioppare ai tasti tramite menù di pausa interrompendo il flusso di gioco. Tuttavia questo non è solo il Warriors con la migliore trama finora, il più scenico e coreografico, è anche il migliore mai fatto dal punto di vista tecnico, con un framerate quasi sempre stabile sui 60 fps, e 30 in multiplayer al contrario di quanto accadeva negli episodi precedenti. La sensazione è che se lo sviluppo non fosse nato pensando a Nintendo Switch come piattaforma finale, le cose sarebbero andate anche meglio, ma già così il risultato è assolutamente ragguardevole, specie se confrontato con gli bassi standard della serie.
A proposito di multiplayer, vale la pena spendere due parole sul Game Sharing, una funzione che permette di giocare in due con una sola cartuccia su due console differenti, anche se la seconda è un Nintendo Switch di 8 anni fa. In un gioco dove l’azione spesso può farsi confusa, avere un proprio schermo è una manna dal cielo e migliora l’esperienza in maniera significativa. Non è mistero che questa funzione sia uno dei punti di diamante di Nintendo Switch 2, tanto che l’eShop ha una categoria apposta e questo Hyrule Warriors può esserne tranquillamente l’alfiere.

Per la terza volta il mondo Warriors si fonde con il mondo di Zelda e non dovrebbe sorprendere l’ottimo risultato raggiunto da L’Era dell’Esilio. Al netto di qualche personaggio nuovo poco memorabile, o di qualche missione in cui non è possibile giocare in co-op per esigenza di trama, Koei Tecmo ha limitato tutte le perplessità dei titoli precedenti, anche grazie a un ottimo materiale di partenza, che con il suo mondo complesso e stratificato, e la sua direzione artistica tanto aulica quanto poco pretenziosa in calcoli, consegna all’appassionato di Zelda un motivo per entrare nel mondo dei musou e viceversa. Un titolo esclusivo per Nintendo Switch 2 da inserire nella lista dei giochi che la rendono grande e che è destinato a rimanervi.



























































