I Pikmin e il lavoro automatizzato — Teorie Strambiche

I Pikmin e gli esseri umani. Un matrimonio che potrebbe cambiare la vita di tutti noi.

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Un Pikmin è per sempre, e soprattutto è gratis.

Giorni fa ho portato a termine la terza avventura di Olimar e compagni su Nintendo Switch. È stato un viaggio all’insegna della scoperta, del pericolo e dell’amicizia. Eppure, dopo i titoli di coda, c’era una vocina che mi sussurrava nell’orecchio, anche con parecchia insistenza. Diceva: “Che spreco!”. E vi sfido a non pensare lo stesso dopo aver appurato che i Pikmin potrebbero essere il più grande life changer dai tempi dell’invenzione della lampadina.

Sì, proprio loro.

Ci stiamo avvicinando all’era del robo-sourcing, quella che pian piano rimpiazzerà il lavoro portato avanti da mani in carne ed ossa con quello organizzato da fredde articolazioni composte da metallo e circuiti. Come? Non ci credete? Eppure mi sembra di vedere ammiccare il vostro Roomba, proprio lì, alle vostre spalle! Scherzi a parte, si parla da tempo di lavoro automatizzato. Se ne parlava già nel XIX secolo con la rivoluzione industriale, figuriamoci oggi, dove si hanno in casa intelligenze artificiali in grado di spegnere le luci con un semplice comando vocale.

Asimov ha scritto di robot e del loro rapporto con l’uomo per praticamente tutta la sua esistenza, anticipando tematiche che probabilmente ci investiranno nel corso della vecchiaia; nella scala temporale dell’esistenza umana, questo equivale ad affrontarle molto, molto presto. Quando sarà, spero ci sia una macchina di nome Cutie a decidere il da farsi.

Ma torniamo ai Pikmin, che pare abbiano tanto in comune con i robot del caro Isaac. Ho parlato di spreco per un motivo ben preciso: sono utilissimi. Si adattano ad ogni circostanza ambientale e lavorano di squadra, canticchiando spensierati mentre li sfrutt… ehm li mandate a mor… ehm, mentre vi fate aiutare a… raccogliere frutta. La ricerca prevede dei sacrifici, mettetevelo in testa. In ogni caso, parliamo di esserini dal potenziale infinito.

IN-FI-NI-TO!

Immaginate per un attimo se un qualsiasi altro essere umano si fosse trovato al posto degli esploratori di Koppai e, senza pensarci troppo su (come accade per la stragrande maggioranza delle decisioni importanti prese dalla nostra specie), avesse deciso di imbarattolare una manciata di Pikmin per dare vita ad un vero e proprio allevamento sul pianeta Terra. Vedete anche voi quello che vedo io? No? Male. Anzi bene, significa che avete ancora un cuore.

Perché io vedo i Pikmin rossi che si lanciano nel fuoco, affatto terrorizzati dall’incendio che divampa, che traggono in salvo un signor Rossi qualunque che ha lasciato il gas del fornello aperto durante la notte. Li vedo mentre campionano il cratere dell’Etna, mentre lavorano vicino ai forni per le pizze. Vedo i Pikmin gialli che mandano avanti centrali elettriche semplicemente tenendosi per mano, li vedo mentre scavano alla ricerca di superstiti dopo il lancio di una bomba che ha raso al suolo la città. Vedo i Pikmin blu che esplorano il fondale oceanico, quello per noi ancora pieno di misteri, li vedo anche esposti in un acquario, mentre puliscono il vetro dalla cacca dei pesci rossi. Vedo i Pikmin rocciosi lanciati dai negazionisti contro le vetrine per protesta, li vedo anche alle grandi braciate, mentre la carne viene arrostita sulle loro testoline. E infine vedo loro, i Pikmin alati, con l’adesivo di Amazon appiccicato in fronte, mentre consegnano i pacchi in fast delivery.

È un missile? È un aereo? No, è il mio Pikmin-drone!

Vedo un mondo in stile Pokémon, dove i Pikmin — noto solo adesso quanto si somiglino i nomi — sono un tutt’uno con la nostra società, dove la legislazione si è dovuta adattare alla loro inevitabile integrazione. Vedo uomini protestare in piazza dopo aver perso il posto di lavoro da un giorno all’altro. Una concorrenza più sleale di quella dei cinesi, perché i Pikmin non lavorano sottopagati, ma addirittura gratis: basta dargli un pezzo di terra per far crescere quegli obbrobri di case-cipolla. Quello che vedo è il principio di un mondo che fa largo uso del lavoro automatizzato, per quanto solo concettualmente. Roberto Paura, noto divulgatore scientifico, ha affermato che l’idea che l’unico significato della vita di un essere umano stia nel suo lavoro potrebbe diventare molto pericolosa nel corso del tempo, soprattutto in concomitanza del lavoro automatizzato. L’idea di diventare sostituibili, ecco cosa ci spaventa più di ogni altra cosa.

E quindi, pensandoci bene, in un simulatore di vita planetaria, gli abitanti di Koppai avrebbero scelto molto più saggiamente di noi.

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