Non un gatto, ma due. O è lo stesso?
I and Me è un misto tra platform e puzzle game che più indie di così non si può: sviluppato da un certo Wish Fang, disegnato tutto a mano, con una storia confusa raccontata di livello in livello. E poi il protagonista è un gattino nero dagli occhioni dolci! Insomma, ci mancava solo una campagna kickstarter da cinquanta euro e sarebbe stato il gioco più indie di sempre. Quindi siccome il genere ci piace tanto, ho deciso che anche la mia recensione avrà uno stile indie. Scritta come l’avrebbe scritta Wish Fang.
Un gatto e un ritratto, due gatti e due ritratti. A volte le rime non contano, contano i fatti. I and Me si basa su una strana meccanica che personalmente ho trovato simpatica. Ricordo per esempio di 3D World, gran bel gioco. Se mangiavi la ciliegia ti sdoppiavi, altro che fiore di fuoco…
Lo stesso mi accadde con I and Me, che con un solo analogico mi faceva muovere quei due lì. Quando andavo avanti, anche l’altro andava avanti e quando andavo indietro… beh a volte ci allontanavamo di un metro.
Bastava un muro infatti per allontanarmi dall’altro gatto. Entrambi saltavamo ma la distanza era ormai un fatto. Così in mezzo a un centinaio di livelli ci spostavamo come fratelli: due gatti, due ritratti. Ci divertivamo e ci sorprendevamo, anche se la bassa difficoltà non digerivamo.
Quattro stagioni simpatiche, quattro diverse meccaniche: pecorelle sulle quali rimbalzare, bacchette magiche per poter svoltare… e i portali a forma di buco, quelli sì che erano interessanti. Ma il pulsante X per chiedere aiuto, ecco quello non lo premeranno in tanti.
Certe volte ci siamo accorti che di noia saremmo quasi morti. Aspettare che le pecorelle camminassero era come parlare a un passero. Sarebbe bastato un pulsante per velocizzare l’azione, come in Tetris, quel gran giocone. E poi quei salti che a volte funzionavano male; di questo passo più che un gatto sembravo un maiale.
Alcuni livelli erano più divertenti di altri, soprattutto verso la fine, ci siam dovuti fare scaltri. D’altronde eravamo molto più che fratelli, eravamo una cosa sola. Quelle frasi volanti come cacche di uccelli, un po’ lasciavano il nodo in gola. Più che una storia sembrava un’atmosfera, e devo dire che non sembrava sincera.
Però c’era una cosa che proprio non andava giù, come certe rime insensate che usano la parola “igloo”… Era lo stile grafico, che di certo non risultava magico. Mancava una vera coesione, un’armonia, sembravano i disegni a mano di mia zia. Ognuno ha i suoi gusti, per carità… e se a qualcuno piacciono quelle animazioni io mi inginocchio a sua maestà!
Ricordo che mentre viaggiavo sentivo musiche che mai fischiettavo. Il pianoforte cantava una melodia triste, ripetitiva; sembrava un film di canale cinque, roba poco impegnativa. E a un certo punto, lo ammetto, ho messo il televisore su “muto”, di petto.
Ma sparare su Wish Fang non era certo mia intenzione. Il ragazzo ha lavorato da solo e si merita una premiazione. I and Me ha un suo perché, e a volte chi fa da se fa per tre. Livelli divertenti, enigmi ben studiati, peccato davvero per i difetti sopraccitati. La longevità fa il suo lavoro, ma per rigiocarlo ci vorrebbe l’energia di un toro. Quindi coi due gatti vi annuncio il voto in coro…