Ci sono giochi che sembrano destinati a farsi rivedere, come quelle persone che magari incontri per caso dopo anni e che ti sorprendono per il modo in cui sono rimaste intatte e, allo stesso tempo, profondamente cambiate. L’annuncio del ritorno di Super Mario Galaxy 1 e 2 su Nintendo Switch (e Switch 2, piattaforma su cui ho giocato i due titoli) mi ha colpito così: una rimpatriata non richiesta ma a cui è difficile dire di no, con la sensazione che Nintendo stesse giocando facile puntando su quel luogo così pieno di ricordi che, da una parte, vorresti tenere in un angolo del cuore e ricordarlo così com’era per sempre, dall’altro vorresti viverlo con gli occhi di chi è cresciuto.
La notizia, sia chiaro, aveva anche la sua ombra di polemica: il prezzo. 70 euro (o 40 per i singoli giochi) non sono bruscolini. Chiunque abbia memoria di quanto costassero la confezione bianca su Wii e le riproposte sulla Virtual Console di Wii U sa che certi giochi, oggi, hanno un peso diverso nel portafogli. Sì, è una cifra alta, anche troppo, soprattutto per due giochi che molti ricorderanno come “già giocati” anni fa. Eppure, e qui entra la maledizione/benedizione della nostalgia ben fatta, in qualche modo te li ritrovi a ripensare come si pensa ai film che valgono una seconda, terza, quarta visione. È il prezzo di (ri)trovare delle pietre miliari, in un mercato che spesso tenta di rifilare memorie confezionate male a prezzi esagerati. Almeno qui, il conto (salato) arriva con la dignità dei grandi eventi.

Galaxy 1: la poesia delle costrizioni nascoste
Riaccendere Galaxy oggi, casinista come sempre, onirico come solo Nintendo sa essere, ti rimette per un attimo nel limbo di chi pensa “questa volta vedo i fili del trucco…”. E invece no. Con Rosalinda che ti accoglie nel suo osservatorio, gli Sfavillotti che parlano ormai una lingua quasi comprensibile anche ai più scettici e la sinfonia orchestrale che ti strattona il subconscio, la sensazione è quella di entrare in uno di quei sogni lucidi, dove puoi quasi controllare tutto ma resti prigioniero di qualcosa di già deciso. Le galassie sono teatrini perfetti: minuscole, sferiche, illusoriamente infinite. Il design è una danza tra il fare come si vuole e il dover obbedire, con percorsi travestiti da spazio libero. Una libertà illusoria, e questo per me ad ora è un problema.
Ogni power-up, da Mario Ape a Mario Fuoco, è come uno sketch inserito per spezzare la regia, e invece rafforza ancora di più l’andamento orchestrale (come la magnifica colonna sonora) del gioco: cambia il ritmo, cambia la melodia, ma il direttore d’orchestra ti tiene sempre in pugno.
Ecco, la differenza rispetto a 20 anni fa è questa: vedere chiaramente l’illusione, vedere i fili della finta libertà, sapere che lì non puoi andare perché è stato deciso così, ma scegliere lo stesso di stupirsi dell’infinito spaziale e della gravità che si prende gioco della logica terrestre e soprattutto delle abitudini post Odyssey. Certi limiti, come il tornare all’hub principale dopo ogni stella, o la telecamera semi-fissa, sono le crepe creatosi con il tempo di una scultura che però, alla fin fine, resta meravigliosa com’era a suo tempo.

Galaxy 2: Nintendo si prende gioco di tutto
Passi a Galaxy 2 e sembra di entrare nel laboratorio clandestino del primo capitolo, quello dove tutte le idee messe da parte diventano lampi di follia videoludica. La navicella con la faccia di Mario è già una dichiarazione di intenti: Nintendo qui si diverte, si lascia andare, ti prende quasi in giro. L’introduzione di Yoshi trasforma il ritmo, lo spezza e lo ricompone; i suoi power-up sono al servizio dello spettacolo, come se si volesse battere ogni record di varietà, quasi esagerando. Nuvole che appaiono e scompaiono, rocce che rotolano, trivelle che bucano il senso stesso di “superficie”: tutto qui riprende quanto di buono fatto con Galaxy e lo esaspera, con potenziamenti ancora più assurdi che permettono level design ancora più fantasiosi.
Il design, più che guidarti, ti lancia addosso idee e ostacoli in sequenza rapida, lasciandoti solo il tempo di stupirti prima di buttarti nella prossima trovata. Ogni costellazione è una playlist, i livelli si consumano in sessioni veloci ma piene di “ma come gli è venuto in mente?”, nonostante gli anni sul groppone. La libertà, anche qui, resta tutta nel saper accettare la regia Nintendo e lasciarsi trasportare, con la consapevolezza che tu, davvero, non stai decidendo nulla.
Le Comete Burlone, il Mondo Speciale, i livelli bonus impossibili: sono gli spot di un modo di intendere il platform che oggi sembra quasi vintage, ma che in realtà è solo il piacere puro del “superare sé stessi”, superare quello che già nel primo capitolo sembrava l’orizzonte.

La sottile arte del non esagerare con la nostalgia
Tecnicamente giocare oggi Galaxy 1+2 su Nintendo Switch, e ancora più su Switch 2, è un viaggio nella memoria con le lenti nuove. Il 4K e i 60 fps ringiovaniscono i cieli stellati e i pianeti, ma non cancella il segno del tempo, e forse è bene così. Le texture aggiornate fanno il loro dovere, le cutscene sono finalmente nitide e meno compresse, le musiche (a mio parere le migliori di qualsiasi gioco di Mario) tornano protagoniste, questa volta accessibili come jukebox dal menu home. Eppure la vera piacevolezza sta altrove: nei Joy-Con separati che (quasi) replicano il feeling del Wiimote e che, proprio per questo, restano a mio parere l’unico modo con cui giocare a questi due titoli. Utilizzando un Pro Controller o giocando in portatile, infatti, il puntatore per raccogliere le astroschegge e colpire i nemici è affidato ai sensori di movimento e, per quanto funzioni bene, non dà proprio lo stesso feeling e immediatezza del Joy-Con destro a mo’ di Wiimote.
La modalità assistita, l’accenno di extra nei menu, il tocco della fantastica Rosalinda che stavolta ha un piccolo racconto in più con cui intrattenerci: dettagli, non rivoluzioni. Nintendo qui si tiene in disparte, consapevole che la sostanza ripaga più delle novità intrusive. Certo, un piccolo brivido per qualche contenuto inedito (una nuova Galassia?) lo avrei voluto ma l’operazione nostalgia fatta da Nintendo con questa collector è chiara: rivivere le stesse sensazioni di allora, in salsa moderna.
Vorresti qualcosa di nuovo, ma va bene anche così
Rigiocare Super Mario Galaxy 1+2 in questo 2025 è come affrontare di nuovo una salita già fatta, ma con gambe più forti e qualche sassolino nella scarpa che dà fastidio: sai dove sono i punti difficili, riconosci dove il percorso si strozzerà e dove le illusioni saranno smascherate. Eppure, quando la gravità si ribalta ancora una volta, quando la musica orchestrale parte e sei di nuovo a rincorrere una Superstella, scatta qualcosa che va oltre la logica. È quella nostalgia matura, quella che ti fa conoscere già tutto eppure ti fa sorridere, ancora, dopo tutti questi anni.
Settanta euro per due giochi storici, con i “difetti” e le meraviglie di allora, sono tanti? Sì, forse sono tanti. Ma capita raramente di trovare opere capaci di sopravvivere così bene al tempo, di essere insegnamento di design per i nuovi e ricordi inalterati per chi ricerca emozioni forti nel proprio passato. Resta il fatto che, togliendo la polvere dalla memoria, Galaxy 1+2 non sono solo due gran bei giochi: sono un promemoria di come Nintendo sappia incantare sempre e comunque, anche facendo il compitino.


























































