🎶 “La libertà è un’avventura che non finisce mai” 🎶 cantava il buon Giorgio Vanni nella seconda sigla (la migliore, a mio parere) di Pokémon e Nintendo, con la sua santa trinità della libertà videoludica – The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Tears of the Kingdom e Donkey Kong Bananza – mi ha reso dipendente da un livello di controllo e interazione che ora trovo dolorosamente assente in quasi tutti gli altri titoli. È un problema bellissimo e terribile allo stesso tempo: quando puoi scalare qualsiasi cosa, distruggere qualsiasi superficie e costruire soluzioni creative ai problemi, come fai a tornare a giochi che ti dicono “no, quella parete non è scalabile” o “questo muro è solo decorativo”?
Breath of the Wild: ogni muro diventa una scala
Breath of the Wild ha fatto qualcosa di diabolicamente semplice nel 2017: ha preso il concetto di “se lo vedi, puoi raggiungerlo” e lo ha portato alle sue logiche, terribili conseguenze. Link può scalare praticamente qualsiasi superficie – muri, montagne, alberi, case, persino i nemici – limitato solo dalla sua resistenza. Questo sistema apparentemente innocuo ha creato un mostro: me stesso, un giocatore che ora si avvicina a ogni superficie verticale con l’aspettativa che sia scalabile. La genialità del sistema risiede nella sua semplicità: basta saltare contro una superficie verticale e Link inizierà automaticamente a scalarla. Non ci sono animazioni speciali da attivare, non ci sono punti di presa predefiniti, non ci sono “aree scalabili” segnalate da texture diverse. Se esiste una superficie, Link può scalarla.

Questo ha trasformato il mio cervello in una macchina da scalata. Ora, quando vedo una montagna in qualsiasi altro gioco, la mia prima reazione non è “come posso aggirarla?” ma “perché non posso scalarla?“. È come se Nintendo avesse riscritto il mio DNA videoludico, sostituendo l’istinto di seguire i sentieri con l’irrefrenabile desiderio di andare dritto verso l’alto.
Tears of the Kingdom: l’anarchia creativa
Se Breath of the Wild aveva aperto il vaso di Pandora della libertà verticale, Tears of the Kingdom ha letteralmente fatto esplodere il vaso, ha raccolto i pezzi e ci ha costruito un deltaplano per volare via. Il nuovo sistema di costruzione trasforma il giocatore in un vero e proprio ingegnere. Con l’abilità Ultramano, ogni problema può essere risolto in modi che farebbero inorridire un game designer tradizionale. Hai bisogno di attraversare un fiume? Puoi costruire una zattera, ma anche un carro armato anfibio, un ponte rotante, un cannone che ti spara dall’altra parte, o semplicemente attaccare dei razzi a Link e farlo volare come un missile umano. La varietà di soluzioni è così ampia che è praticamente impossibile giocare il gioco “nel modo sbagliato”.

Questo livello di libertà creativa ha avuto un effetto collaterale sulla mia psiche videoludica. Ora, quando un gioco mi presenta un puzzle con una soluzione predeterminata, la mia reazione istintiva è “ma perché non posso semplicemente costruire un ponte per attraversare subito?“. È come se Tears of the Kingdom avesse installato nel mio cervello un modulo “soluzioni alternative” che si rifiuta di spegnersi.
Donkey Kong Bananza: “nulla si crea, tutto si distrugge”
Donkey Kong Bananza porta il concetto di libertà interattiva in una direzione completamente diversa ma altrettanto influenzante per il mio pensiero videoludico risolutivo. Invece di costruire o scalare, DK semplicemente… distrugge tutto. E quando dico tutto, intendo letteralmente tutto. Rocce, alberi, terreno, strutture, montagne intere, tutto può essere ridotto in pezzi e rimodellato secondo la volontà del giocatore. Il gioco utilizza la tecnologia voxel per rendere praticamente ogni singolo pixel dell’ambiente distruttibile. Non è solo una questione estetica: ogni pezzo di terreno che rimuovi cambia fisicamente la geometria del livello, aprendo nuovi percorsi e possibilità. Hai bisogno di raggiungere una piattaforma alta? Puoi saltare, oppure puoi semplicemente scavare un tunnel sotto e emergere dall’altra parte come una talpa gigante e pelosa.

La filosofia dietro Bananza è semplice ma rivoluzionaria: “Cosa succede se tutto nell’ambiente è modificabile?“. Questa domanda, apparentemente innocua, ha creato un sistema di gioco dove le limitazioni tradizionali semplicemente evaporano. Non puoi passare attraverso un muro? Distruggilo. C’è una montagna che blocca il passaggio? Riducila in macerie. Hai bisogno di un’arma? Strappa un pezzo di roccia e usalo contro i nemici. Il risultato è che ora, ogni volta che vedo un ostacolo in un altro gioco, il mio cervello automaticamente pensa “ma perché non posso semplicemente sfondarlo a pugni?“. È un problema serio.
Quando la troppa libertà diventa un problema
E qui arriviamo al cuore del mio problema. Dopo aver vissuto nel paradiso della libertà totale offerto da questi tre capolavori Nintendo, tornare a giochi più “tradizionali” è come passare da una villa con piscina a un monolocale di 20 metri quadrati: magari modernissimo, super accessoriato, con la domotica ovunque, ma ti senti comunque limitato nello spazio. Improvvisamente, quelle rocce che sembravano perfettamente scalabili diventano barriere impenetrabili. Quei muri che gridano “distruggimi!” restano lì, beffardi e immutabili. Vedi una parete apparentemente normale e il tuo cervello, ormai corrotto dalla filosofia Nintendo, pensa automaticamente “quella si può scalare” o “quella si può distruggere”. Invece no. È solo… decorazione. Un fondale. Un elemento scenico che esiste solo per essere guardato, non per interagirci. È frustrante e mi sembra di giocare a qualcosa che sta volontariamente limitando la mia libertà.
Il bello (e il brutto) di questa situazione è che Nintendo non ha fatto nulla di sbagliato. Anzi, ha fatto tutto giusto. Ha creato tre esperienze di gioco che rappresentano l’apice della libertà interattiva, sistemi così eleganti e intuitivi che sembrano ovvi una volta che li hai sperimentati. Il problema è che questa ovvietà è retroattiva: una volta che hai scalato le montagne di Hyrule, ogni altro muro sembra artificialmente insormontabile. Non ti accorgi di quanto prima tu stessi mangiando male finché non mangi davvero bene, e dopo tornare a mangiare come sempre è difficile, troverai mille difetti di cui prima nemmeno ti accorgevi. Nintendo ha essenzialmente rovinato la mia capacità di apprezzare le limitazioni videoludiche “normali”. C’è anche un aspetto psicologico interessante in tutto questo. Questi giochi soddisfano un desiderio profondo di controllo e creatività che molti titoli semplicemente ignorano. Quando un gioco mi permette di modellare fisicamente l’ambiente, di arrivare alla soluzione come voglio io, non sto solo giocando, sto esercitando una forma di libertà che nella vita reale è spesso limitata. E una volta assaggiata questa libertà, è difficile accontentarsi di meno. Anche nei videogiochi.

Strategie di sopravvivenza
Quindi, come si fa a vivere con questa “maledizione”? Come si fa a giocare altri titoli dopo aver sperimentato la libertà totale? Beh, ho sviluppato alcune strategie di sopravvivenza. Prima di tutto, ho imparato a ricalibrarmi mentalmente prima di iniziare un nuovo gioco. Ripeto a me stesso come un mantra: “Questo non è Zelda. Non tutto è scalabile. Non tutto è distruttibile. Accetta le limitazioni e vai avanti“. È sorprendentemente efficace, anche se a volte devo ripeterlo più volte durante una sessione di gioco.
In secondo luogo, più seriamente, ho iniziato ad apprezzare diversi tipi di libertà. Se un gioco non mi permette di scalare ogni superficie, magari mi offre libertà narrativa, o libertà strategica, o libertà estetica. Non tutti i giochi devono essere sandbox totali per essere godibili. Infine, ho imparato a vedere queste limitazioni come parte del design intenzionale. A volte, un muro non scalabile non è una limitazione fastidiosa, ma un elemento narrativo che guida l’esperienza del giocatore verso momenti specifici. È difficile da accettare dopo i “Big 3”, ma è una prospettiva necessaria per continuare a godersi i videogiochi senza il freno a mano tirato.
Vivere con il peso della consapevolezza
Alla fine, questo è un problema che tutti noi appassionati Nintendo dovremo imparare a gestire. Breath of the Wild, Tears of the Kingdom e Donkey Kong Bananza hanno alzato l’asticella così in alto che molti altri giochi sembrano improvvisamente limitanti e frustranti. Ma forse questo non è necessariamente un male. La vera magia di questi tre titoli non sta solo nella loro libertà meccanica, ma nel modo in cui questa libertà è integrata così perfettamente nel design che sembra naturale. Non sono giochi che gridano “guarda quanto sei libero!“, ma giochi che ti fanno sentire libero senza nemmeno pensarci. E questa è una lezione che l’intera industria dovrebbe imparare. Quindi sì, questi giochi mi hanno “rovinato” l’esperienza con molti altri titoli. Ma allo stesso tempo, mi hanno mostrato cosa possano essere davvero i videogiochi quando gli sviluppatori hanno il coraggio di fidarsi completamente dei loro giocatori. E per questo, anche se a volte è frustrante tornare a giochi più “limitati”, non posso che essere contento di aver assaggiato la vera libertà videoludica.
La prossima volta che vi troverete bloccati davanti a una parete di 2 metri che il vostro personaggio “non può superare”, ricordatevi di Link che scala montagne solo perché ha voglia di vedere cosa c’è dall’altra parte, o di DK che abbatte intere foreste solo perché è la via più facile da prendere. E sorridete, perché sapete che da qualche parte, negli uffici Nintendo, qualcuno sta già pensando a come rendere la prossima generazione di giochi ancora più unica. E noi, povere “vittime” di questa libertà, non potremo far altro che seguire, scalando e distruggendo tutto quello che ci capita a tiro, nella speranza di ritrovare quella sensazione magica di controllo totale che solo Nintendo sa regalare.