Hey tu! Sì, parlo a te col fiore in testa!
Hey Joe
è un pezzo della tradizione americana portato alla ribalta dalla celeberrima versione di Jimi Hendrix, con quel giro di basso durante il solo di chitarra che oramai è leggenda. Una cover che ha reso pop un pezzo conosciuto da pochi appassionati. Arzest invece si trovava nella situazione diametralmente opposta: dover comporre nuova melodia da un pezzo conosciuto da tutti, quel Pikmin le cui partiture furono stese dal direttore d’orchestra Shigeru Miyamoto nel suo periodo cubista. Un rts la cui strategia è mimetizzata da un microcosmo di puccettosità, un microcosmo molto credibile grazie alle routine comportamentali dei pikmin e degli npc, e dal look fotorealistico che rende l’avventura quasi documentaristica.
La prima difficoltà di Hey! PIKMIN è stata proprio l’esigenza di aderire il più possibile a questa abitudine e non far sembrare tutto finto e fuori luogo, e il Nintendo 3DS non sembrava in grado di poter affrontare la sfida con la potenza necessaria. Fortunatamente però i pregiudizi si sciolgono davanti alla carineria dei vegetali semoventi, sebbene la suddivisione per livelli e lo scorrimento laterale distolgano la mente dall’idea di habitat animale verosimile, ritroviamo i pikmin nella stessa estasi infantile confusionaria a cui siamo abituati: sono creature ingenue, gioiose, operose e tanto carine. Rispondono al nostro fischietto come al solito, si perdono in facezie se finiscono il loro compito senza venir richiamati, e tante (davvero tante, brevi ma anche skippabili) cut-scene studiate ad hoc per strappare sorrisi creano un’empatia tra il giocatore e le piccole creaturine, quella sinergia che porta i genitori a pensare che il loro figlio è del tutto scemo e la colpa è dei videogiochi. Vai a dare loro torto!
Chi gioca solitamente Pikmin per “i pikmin” può quindi stare tranquillo. Il problema si pone se si cerca anche la profondità tipica della serie. C’è da premettere che sebbene il 3DS accolga di buon grado generi di nicchia come il GDR, con gli RTS la situazione è ben diversa. A prescindere da quante risorse possa richiedere un gioco del genere e se l’hardware di 3DS riesca a gestire tutto fluidamente o meno, nessuno vorrebbe perdere due o più diottrie guardando esserini minuscoli in uno schermo da quattro pollici. Spostare l’ago della bilancia da RTS a puzzle a scorrimento laterale con elementi platform permette una visuale chiara e leggibile, anche grazie al limite di venti pikmin che è possibile reclutare. Altra variazione che destrategicizza (neologismi che zio levati!) questo spin-off è l’ impossibilità di scegliere il colore dei pikmin prima di scendere in campo, limitando il giocatore a utilizzare quelli che troverà in giro per il livello (fino a venti, appunto). Nel corso dell’avventura Olimar rincontrerà i pikmin rossi, resistenti al fuoco e in grado di lanciare bombe, i gialli, che saltano più in alto e conducono elettricità, e i nuotatori, i pikmin blu. Completano la squadra i pikmin alati e i pikmin roccia. Assenti del tutto i velenosi bianchi e forzuti viola.
Il capitano Olimar, colpito da un meteorite, è costretto a un atterraggio di fortuna su di un pianeta sconosciuto con la Dolphin II in panne. Per l’ennesima volta. Seriamente: quanto è impedito? Il suo direttore deve pagarlo a noccioline per permettergli di pilotare ancora. Fatto sta che serviranno trentamila luminum da estrarre da diversi oggetti e anche questa volta Olimar potrà contare sull’aiuto dei pikmin; ovviamente i pikmin da soli non faranno nulla, quindi mentre scorrazziamo in giro con lo slide pad, tramite touchscreen occorrerà richiamarli usando il fischietto e direzionarli su quale nemico (e in quale punto se è grosso) attaccare o quale oggetto prendere per portarvelo e trasferirlo così all’astronave o per costruire un ponte. Il capitano Olimar può anche utilizzare un jet pack che lo solleverà da terra per un brevissimo periodo. E dei pikmin raccolti (essendo piante il termine è adeguato) che ne facciamo? Li lasciamo andare, lieti di vivere la loro vita spensierata in totale libertà? Niente affatto, li mandiamo nei campi di lavoro. Detta così sembra un’altra cosa, meglio specificare: si tratta di un parco in cui potranno lavorare per scovare altri oggetti e fonti di luminium in attesa della soluzione finale. A volte basta usare le parole giuste.
Il più grosso tradimento che Hey! PIKMIN fa al brand non è il cambiamento della formula di gameplay, o la riduzione, inevitabile, in quanto a impatto visivo ma la diminuzione dello sforzo intellettivo richiesto all’utente. Questa declinazione, che ha idee interessanti e superato il primo settore anche un ottimo level design, richiede davvero “solo” un minimo di concentrazione e di riflessi per avere successo, e laddove il pikmin originale riusciva ad essere spietato ma anche appagante, questo spin off rinuncia alla crudeltà sottotraccia a cui eravamo abituati, ma anche al premio, alla soddisfazione che rende la sfida degna di essere affrontata. Ed è un peccato perché Hey! PIKMIN è un gioco molto solido e interessante.
La maggior parte dei puzzle si risolvono a colpo d’occhio, seppure siano abbastanza vari e legati alle caratteristiche delle diverse specie di pikmin. Le cose migliorano quando si tratta di esplorazione, la presenza della mappa (visivamente oscena) non aiuta troppo e la presenza di bivi e scorciatoie che conducono ad aree segrete aggiunge un minimo di fantasia in un gioco perfetto nella messa in scena ma al quale manca il salto di qualità. Hey! PIKMIN, che chiaramente sfigura paragonato ai fratelli maggiori, non è assolutamente un brutto gioco: la sua suddivisione in livelli lo rende adatto a sessioni brevi, come dovrebbe essere in natura per ogni gioco portatile, la quantità di livelli è ottima e lo humor tipico della serie è intatto nelle scenette ma anche nell’inventario, che con nomi buffi e descrizioni surreali, è sempre meritevole di un’occhiata per vedere cosa pensa Olimar dell’oggetto raccolto (probabilmente vi svelerà aneddoti inerenti anche la sua sfera personale, ma spero che non siate meschini e teniate per voi ogni dettaglio familiare). Da dimenticare invece il parco dei pikmin, che esaurisce il suo potenziale nell’ovvietà di mandare i pikmin a lavoro nelle zone giuste, compito palese e noioso. Non spiccano per utilizzo gli amiibo, che elargiscono pikmin dentro i livelli e livelli amiibo nella mappa dove recuperare lo stesso amiibo appena scansionato in un livello il cui pattern si ripete troppo spesso e comunque di facile risoluzione. Nella media il sonoro, con musiche che sottolineano adeguatamente l’azione senza mai farsi ricordare, e con effetti sonori abbastanza “tipici” ma che comunicano con grandiosa efficacia la tenerezza di pikmin e nemici. Stupisce invece la varietà di situazioni e soprattutto di ambientazioni
L’impressione insomma è che Arzest, che ha confezionato un gioco dall’azione fluida a 30 fps (3D assente) e tecnicamente perfetto, con un budget più alto avrebbe potuto fare di meglio. Hey! PIKMIN poteva essere memorabile. Non lo è, ma questo non vuol dire che non sia un buon gioco. Non è uno di quei titoli che cerca di lasciarti qualcosa dentro, ma uno di quelli che cerca di intrattenerti nel corso delle pause della vita e ci riesce, certo magari lo fa senza troppi voli di fantasia e senza richiedere troppo impegno, ma proprio per questo chi nelle sue ore di gaming cerca semplicemente di rilassarsi e sorridere, immergendosi nel buffo mondo dei pikmin troverà un titolo piacevolmente solido.