Le origini della serie
Questa non sarà la solita recensione. Il motivo è semplice: l’estate scorsa ero in Giappone, a spasso fra Tokyo, Kyoto e Osaka, e giocare a Yakuza 0 è stato un vero e proprio colpo al cuore. Un déjà vu potentissimo che mi ha reso impossibile scrivere qualcosa di analitico e distaccato. L’unico modo per raccontarvelo in maniera più passionale possibile era buttarla giù così, come una specie di diario. Quindi in queste righe troverete tutto quello che serve sapere sul gioco, ma raccontato col cuore in mano, tra i dolci ricordi indelebili e il desiderio di tornare lì, desiderio che Yakuza 0: Director’s Cut in qualche modo è riuscito ad esaudire.

GIORNO 1: Il biglietto d’ingresso
Ce l’ho. Finalmente. Yakuza 0, in versione Director’s Cut, è sul mio nuovo Switch 2. Per anni guardavo gli altri vivere questa avventura, non avendo mai avuto occasione di intraprenderla. Ora grazie alla nuova console Nintendo, è qui. Avvio il gioco. Schermata del titolo. E poi…
Kamurocho, 1988. Il mio cuore perde un colpo. No, non è possibile. Quella è l’insegna ad arco di Ichiban gai. È la stessa, identica, sotto cui sono passato l’estate scorsa a Shinjuku, cercando di orientarmi in quel meraviglioso, caotico e pulsante labirinto che è Kabukicho. Le luci al neon si riflettono sull’asfalto bagnato (per i vaporizzatori sparati dai negozi lungo le strade) esattamente nello stesso modo. Il brusio della folla, il fumo che esce dalle grate, il senso di un’energia inesauribile che pulsa da ogni singolo pixel. È un pugno nello stomaco (e di questi ne riceveremo parecchi), un ricordo così potente da farmi venire la pelle d’oca.
La prima impressione tecnica è solida, un biglietto da visita di tutto rispetto per la nuova console Nintendo. La fluidità garantita dai 60fps è una vera e propria manna dal cielo, un elemento che dona ai combattimenti una reattività e un’immediatezza fondamentali. Certo, non è un quadro perfetto. Giocando su un grande schermo, l’origine “old-gen” del titolo fa capolino: alcune texture ambientali sono rimaste un po’ indietro, così come i volti di alcuni NPC, la cui differenza con quelli principali e con i protagonisti viaggiano su due generazioni differenti. E poi c’è lei, l’interfaccia utente: inspiegabilmente pigra, visibilmente a una risoluzione inferiore rispetto al resto del gioco, un dettaglio che stona con la pulizia generale. Ma è un sollievo scoprire poi una delle comodità più grandi di questa edizione: posso salvare quando e dove voglio. Niente più ansia da cabina telefonica, un lusso moderno che i veterani del gioco originale non avevano. È una piccola cosa, forse, ma rende l’esplorazione molto più libera, senza quel pensiero fisso di dover trovare un rifugio per non perdere i progressi.

GIORNO 3: Due facce di un Paese in contraddizione con se stesso
Superato lo shock iniziale, mi sono lasciato avvolgere dalla storia, e ho capito perché questa saga è così venerata. Mi aspettavo un pretesto per menare le mani, e invece mi ritrovo immerso in un’opera noir fatta e finita. La vicenda di Kiryu a Tokyo, un giovane yakuza dal cuore forse troppo tenero, intrappolato in un gioco di potere molto più grande di lui, è tesa, drammatica, intrisa di un profondo senso di onore e dovere. Poi, il gioco stacca e mi porta a Sotenbori, Osaka. E qui, facciamo la conoscenza di Goro Majima. Il contrasto è potente, quasi come quello che ho provato io passando dalla quiete quasi sacra dei templi di Kyoto alla vibrante follia commerciale di Dōtonbori. Le due trame si sviluppano in parallelo con un ritmo perfetto, tenendoti incollato allo schermo.
GIORNO 5: La colonna sonora di un’epoca
Oggi ho fatto un giro per le strade di Tokyo con indosso le cuffie per perdermi ancora di più nelle atmosfere di questa città, e mi si è aperto un altro mondo. La colonna sonora è camaleontica: passa da tracce synthwave cariche di adrenalina che ti pompano il sangue durante le risse, a pezzi jazzati e rilassanti che ti accompagnano nelle esplorazioni notturne, fino alle musichette demenziali dei minigiochi. È un tappeto sonoro che definisce l’atmosfera di ogni singolo momento.
E che dire del doppiaggio? Quello giapponese ti fa vivere la storia con un’immedesimazione unica. Ero di nuovo lì, tra quelle strade, circondato da gente che parlava una lingua a me sconosciuta, ma questa volta almeno ho i sottotitoli in italiano, gradita aggiunta di questa Director’s Cut. Ogni attore è perfetto per il suo ruolo, la recitazione è intensa, teatrale, carica di un pathos che buca lo schermo. Per me, è l’unico modo per vivere davvero quest’opera. In questa nuova edizione del gioco c’è anche il doppiaggio inglese, sicuramente più vicino a noi nell’ascolto ma, dopo aver sentito l’originale, provarlo è come guardare un film di Kurosawa doppiato. Si può fare, certo, ma ti perdi un pezzo d’anima.

GIORNO 8: La violenza fatta stile
Oggi ho passato ore a combattere. Non per necessità di trama, ma per puro, semplice piacere. Il sistema di combattimento di Yakuza 0 è una gioia per il pad. La profondità sta nei sei stili di lotta, tre per personaggio, che trasformano ogni scontro. Con Kiryu, alternare gli stili è come cambiare strategia al volo. Lottatore è la prosa: diretta, efficace. Impeto è la poesia della velocità. E Bestia è l’epica brutale: sentirsi un carro armato inarrestabile è una sensazione di potenza primordiale. Majima, poi, è pura follia creativa. Teppista è lo stile da strada, sadico e calcolato. Battitore, con la sua fidata mazza da baseball, trasforma ogni scontro in un “home run” di violenza. Ma è con Breaker che ho capito la genialità del gioco: combattere usando la breakdance non è solo spettacolare, è anche incredibilmente efficace. A coronare il tutto ci sono delle azioni speciali da esibire quando la barra del Furore è piena: creative e brutalmente cinematografiche.
GIORNO 11: L’economia del potere
Ho passato la serata a navigare nei menu di potenziamento, e ho capito un’altra cosa fondamentale: in Yakuza 0, il denaro è potere, letteralmente. L’idea di eliminare i punti esperienza classici in favore degli Yen è una trovata tematica geniale. Ogni abilità, ogni singolo aumento di statistica, si compra. L’albero delle abilità è una griglia visivamente chiara, con cerchi concentrici che rappresentano livelli di potere sempre maggiori (e più costosi). Vedere i milioni di Yen, guadagnati a fatica, trasformarsi in una nuova combo o in una barra della salute più lunga è incredibilmente gratificante. Inoltre, la necessità di trovare specifici maestri in giro per la città per sbloccare le abilità più potenti è un ottimo incentivo all’esplorazione.

GIORNO 15: Perduto nel parco giochi della follia
Dovevo avanzare con la trama principale. Lo giuro. Invece, ho passato le ultime cinque ore a fare tutto tranne quello. E non me ne pento minimamente. Yakuza 0 è un maestro nel distrarti, nel sedurti con un’infinità di attività secondarie. Ho passato un’ora a customizzare la mia macchinina per il Pocket Circuit. Ho perso la cognizione del tempo gestendo il Cabaret Club di Majima, un mini-gioco manageriale così profondo da poter essere un titolo a sé stante. Ho cantato a squarciagola al karaoke, ho ballato in discoteca, ho giocato a Space Harrier in una sala giochi perfettamente ricreata.
E poi ci sono le sottotrame, oltre cento piccole storie che vanno dal demenziale al sorprendentemente toccante. È questa capacità di passare dal dramma più cupo alla farsa più assurda a rendere Kamurocho un luogo vivo, credibile e indimenticabile.
GIORNO 19: Anche il Paese dei sogni ha i suoi difetti
Non ho giocato allo Yakuza 0 originale, quindi non ho un termine di paragone per questa Director’s Cut. Eppure, anche senza questa conoscenza, devo ammettere che in alcuni momenti della storia ho avvertito delle stonature. Ci sono state delle scene che mi sono sembrate un po’ forzate, quasi come delle situazioni inserite a forza per aggiungere dramma dove non ce n’era bisogno. È come essere nell’incrocio più famoso del mondo, a Shibuya, e non goderselo del tutto perché ci sono migliaia di persone attaccate a te e devi anche sbrigarti, perché hai poco tempo prima che il semaforo diventi nuovamente rosso.
Un’impressione fugace, che non intacca minimamente la potenza travolgente del racconto che rimane di altissimo livello, ma che mi ha lasciato un minimo perplesso, come il troppo wasabi messo su un eccellente sushi di tonno.

GIORNO 22: Il triste ritorno a casa
Finito. Guardo il contatore delle ore di gioco, il mio passaporto virtuale. Segna che questo viaggio, solo per seguirne la storia principale, è durato più di trenta ore. Perdersi in ogni vicolo, completare ogni affare, cantare ogni canzone… ne avrebbe richieste tranquillamente più di cento. E la cosa pazzesca è che, anche dopo tutto questo tempo, la voglia di tornare a casa è pari a zero. Anzi, vorresti che quel viaggio non finisse mai, che ci fosse sempre un’altra missione, un’altra rissa, un’altra notte da passare tra i neon.
I titoli di coda scorrono, e io sono qui, sul divano, con una sensazione precisa, quasi dolorosamente familiare. È la stessa, identica sensazione che ho provato sull’aereo che mi riportava a casa dal Giappone. Da una parte, c’è un’euforia travolgente, un’emozione pura per l’esperienza incredibile che ho vissuto. Dall’altra, c’è quel retrogusto amaro della malinconia, la tristezza sottile che ti prende quando sai che qualcosa di meraviglioso è giunto al termine. Aver finito Yakuza 0 è come essere tornato da quel viaggio: ho il cuore pieno di gioia, ma anche i piedi indolenziti per le decine e decine di ore di camminata virtuale per le strade di Kamurocho e Sotenbori, e una piacevole stanchezza per le pochissime ore di sonno che mi sono concesso, rapito da un’ultima missione, da un’ultima partita al karaoke, da un’ultima rissa. Yakuza 0 è straordinario. Imperfetto, sicuramente, come ogni grande avventura, ma con un’anima e un cuore così grandi da renderlo indimenticabile.
Devo tornare in Giappone. Di persona o attraverso gli altri capitoli della saga che, a questo punto, mi auguro arrivino tutti su Switch 2. Ma ho ancora voglia di camminare per quelle strade illuminate, con personaggi strambi e storie appassionanti che solo il Sol Levante sa darti.