L’ennesima occasione mancata
Inizio a scrivere questa recensione con il solito sospiro, quello che ormai da un decennio sopraggiunge davanti ai giochi di Game Freak, la stessa software house che ha contribuito a trasmettermi la passione per questo media sin da bambino. È un sospiro di dolce rassegnazione, perché di speranze reali certo non ne avevo, forse giusto quell’ultimo barlume di curiosità per una nuova avventura; fatto sta che, dopo questo Leggende Pokémon: Z-A, al prossimo annuncio ci vorrà tanto, ma tanto di più per farmi sollevare anche solo un sopracciglio.
Ho detto che di speranze reali non ne avevo, ma qualche certezza sì, perché il filone “Leggende” sembrava aver imboccato la giusta strada già con Arceus, il primo capitolo, nonostante tutti i limiti più che oggettivi. E invece, quasi a voler rispettare una sorta di formula magica, al compimento di un passo avanti se ne fanno altri tre nella direzione opposta. Ma partiamo con ordine.

Z-A doveva essere una risposta alle critiche sopraggiunte dopo la tanto e giustamente bistrattata generazione di Scarlatto e Violetto (qui per la mia recensione) e un ciclo di sviluppo di poco più allungato, che avrebbe dovuto permettere al team di renderlo più rifinito tecnicamente e più ricco di contenuti, magari con una storia che non sembrasse scritta da un bot senz’anima.
E il punto di partenza, a mio avviso, doveva essere Arceus, il team doveva perseguire quella strada lì, ampliarla, infarcirla di nuove meccaniche, offrire un design già collaudato e funzionale, ma evoluto al punto da donare ai giocatori una banalissima esperienza 2.0 di quanto già visto.
Per l’aspetto tecnico le promesse sono state parzialmente mantenute, con un framerate finalmente stabile su Switch 2 e una pulizia generale che prevede meno bug e crash evidenti. Non ci troviamo comunque di fronte a un’opera degna dei tempi che corrono: il motore grafico è quel che è, lo sappiamo, ma esserne consapevoli non rende l’esperienza meno struggente, visivamente ed emotivamente parlando.


Le animazioni continuano a risultare legnosette, le espressioni facciali sono essenziali, spesso fuori luogo, e in combat i mostriciattoli non trasmettono lo stesso peso che si percepisce in altri titoli dello stesso genere. S’intravede uno sforzo, quello di caratterizzare al meglio ogni mossa con un’animazione dedicata, che magari e comprensibilmente a volte viene riciclata tra le centinaia di creature, eppure la percezione è sempre quella di fruire di un prodotto ancora nelle fasi iniziali di sviluppo.
La mappa di gioco è un altro grosso punto a sfavore, soprattutto se si va con la testa ad Arceus. Luminopoli, nell’economia di gioco, potrebbe anche essere una scelta funzionale, ma l’idea che permane nel giocatore è quella di trovarsi nel mezzo di un enorme compensato, una sorta di impalcatura teatrale, con texture appiccicate alle superfici, balconi disegnati, NPC immobili, massi e cespugli posizionati nei luoghi più improbabili solo per ostacolare o forzare il giocatore: c’è una staticità di fondo surreale, non si ha mai la sensazione di trovarsi nel mezzo di una città viva e pulsante, gli stessi negozi, disseminati qui e lì tra un viale e l’altro, sembrano esser stati collocati più per colmare le strade di un “qualcosa” che per rendere lo shopping accattivante.
Suvvia, quale giocatore vorrebbe saltare da un negozio all’altro alla ricerca di un calzino piuttosto che tenere tutto a portata di mano? E i vari negozi di mente, erbe, dolci e quant’altro, sparsi tra i tanti vicoli della città, ognuno col suo banco e il suo negoziante? Non fanno altro che rendere la ricerca di materiali inutilmente dispersiva.

E se passiamo alle Zone Selvagge, le cose, purtroppo, non migliorano. L’ibrido città-mondo Pokémon poteva essere una scusa per offrire biomi incontaminati intrecciati a quelli urbani, che rispettassero, magari, pretesti narrativi più incisivi. Tale concept, in Z-A, si è sviluppato invece in delle aree che non solo non sembrano parte integrante della vita cittadina e che narrativamente parlando sono mal contestualizzate, ma in più non riescono a diversificarsi sufficientemente per donare a chi le esplora un qualche sprazzo di effetto meraviglia.
Siamo ben lontani dalle radure, dalle paludi e dalle montagne del capostipite Arceus, zone che (con tutti i limiti del caso) immergevano totalmente il giocatore nella caccia e nell’esplorazione. In Z-A pare più di esplorare parchetti attrezzati per animali da compagnia. C’è un ciclo giorno-notte che incoraggia a rimettere piede in alcune zone anche al calar del sole, per far propri i mostriciattoli notturni, ma l’impatto si limita a questo.
Non aiuta nemmeno l’esplorazione verticale, con pigri teletrasporti verso i tetti, scale e piattaforme che s’inerpicano nei modi più bizzarri e innaturali, un avatar incapace di saltare (ma perfettamente in grado di levitare) e ostacolato dallo stesso level design, che addirittura gioca con i suoi stessi limiti. Insomma, siamo di fronte a un assetto funzionale, ma non ispirato né strutturalmente in grado di reggere il paragone con altri esponenti della stessa corrente (qualcuno ha detto Digimon?), un’estetica coerente ma che non impressiona.

Sulla narrazione, non voglio intercedere più del necessario. Quella di Z-A è una storia essenziale fin nel midollo, che non offre alcuno spunto davvero rilevante né tematiche sensibili che non siano già state trattate più e più volte dalla stessa serie. Tutto ciò che accade pare più un pretesto per giustificare il loop di gioco piuttosto che un’occasione per infarcire la formula con una buona storia. La stessa scalata di rango non solo è una trovata pigra per inserire lotte contro altri allenatori, ma ad un certo punto della storia viene a dir poco a essere tramortita da una purtroppo banale necessità di trama. Poniamo poi la solita, immancabile ciliegina sulla torta: la totale assenza del doppiaggio, a mio avviso davvero deplorevole, che distrugge totalmente il senso di immersione.
Mi rendo conto di aver dipinto uno scenario che sfocia al più nella mediocrità, e quindi la domanda sorge spontanea: ma in questo Z-A, qualcosa di buono c’è? Beh, sì. Sebbene semplificato e poco interattivo, il loop di cattura riesce comunque a donare quel senso di soddisfazione e progressione che ha sempre caratterizzato la serie, complice anche una lunga serie di introduzioni alla quality of life, come la possibilità di catturare un selvatico anche dopo averlo mandato KO, spostamenti rapidi tra i tanti checkpoint della città, un’interfaccia decisamente più reattiva e funzionale.
C’è poi il nuovo combat system, che tanto ha fatto discutere. A mio avviso, con la rimozione delle abilità tradizionali, ci troviamo comunque di fronte a una semplificazione di ciò che Pokémon ha da sempre strategicamente offerto, ma le lotte in tempo reale riescono a rendere gli scontri più dinamici e immediati, visivamente più coinvolgenti, con una componente “action” legata al tempismo che offre se non altro una ventata di novità per i fan.

I cooldown delle mosse sono di quanto più simile si possa trovare anche nei MMORPG e l’apprendimento dei tempi di casting e aree ad effetto risulta fondamentale per affrontare gli scontri più impegnativi, soprattutto contro le versioni Alpha, e se si vuole competere online.
È un sistema che, a essere sinceri, premia soprattutto i Pokémon più orientati all’attacco, e qualche problemino di hitbox c’è, con Idropompe o altri colpi che possono andare a vuoto se il mostriciattolo avversario è di dimensioni nettamente più contenute. C’è poi da calcolare il tempo di animazione della mossa stessa, che in certe occasioni la rende super spammabile, mentre in altre richiede perfetta coordinazione.
Insomma, c’è più “manualità”, meno team building, e questo potrebbe comprensibilmente dividere l’utenza. Ma in generale, almeno in questo combat system, ho intravisto del coraggio. Mi chiedo in cosa poteva evolvere questo coraggio con più tempo a disposizione e un design più avvolgente, concepito per esaltare questo tipo di scontri anziché semplificarli, con una difficoltà generale meglio calibrata e meno permissiva. Me lo chiedo e me lo richiedo, ma la mia risposta non arriverà mai.
Perché alle mie domande arrivano altre risposte, da domande che nessuno vorrebbe mai porsi, e che non sono entusiasmanti. Parliamo quindi della struttura commerciale di questo gioco. L’annuncio di contenuti a pagamento ancor prima del lancio ufficiale, con oggetti ed esperienze esclusive, in presenza di un titolo decisamente sotto gli standard qualitativi ai quali i possessori di Switch sono abituati, con un postgame piuttosto scarno e ripetitivo, non fanno che metterci di fronte all’evidenza, e cioè che Nintendo e The Pokémon Company vogliono i nostri soldi, spremerci fino all’osso.

Cosa che accetterei di buon grado se questo Z-A giocasse rispettando le stesse regole della concorrenza, se rispettasse il bambino che sotto le coperte faceva gli occhi rossi cercando di capire come uscire indenne da un labirinto ghiacciato, se prendesse quell’idea fantasmagorica di Tajiri e la ponesse su un piedistallo, inchinandosi al suo cospetto e promettendo di rispettarla sempre, comunque e dovunque.
Purtroppo, in assenza di questi presupposti, non riesco proprio ad accettarlo. Z-A è una grossa occasione mancata e allo stesso tempo un’enorme (l’ennesima?) dimostrazione di indifferenza verso un pubblico fin troppo affezionato, quasi lobotomizzato. Chissà quanto ancora reggerà questo magico loop di cattura, allenamento, evoluzione e lotte che appassiona milioni di giocatori in tutto il mondo, chissà quand’è che questo esperimento di massa sociale avrà fine. Forse un giorno la smetteremo di guardarci indietro per pensare con nostalgia a un titolo che due anni prima avevamo definito passabile. Forse un giorno la magia avrà fine, e qualcuno dei piani alti penserà che l’esperimento è finalmente giunto al termine.
In attesa di questo fatidico momento, continuerò a seguire e valutare i giochi Pokémon con severità e fermezza, in onore di un’epoca in cui c’era ancora spazio per sognare e per lanciarsi all’avventura. Il voto dato in sede di recensione è congruente con la filosofia di chi gestisce questo brand: fare il compitino, consegnare un prodotto confezionato col minimo sforzo e in grado di rendere tanto, fin troppo. È un numeretto che in realtà non rende felice nessuno, né i fan e né coloro che da qualche tempo potrebbero aver accarezzato l’idea di lanciare una Poké Ball.



























































