…e dell’amicizia tra una strega inesperta e un demone in difficoltà
Giochi come Bayonetta Origins: Cereza and the lost demon ricevono sempre il mio apprezzamento perché rimandano a quell’usanza, tutta giapponese, di proporre side project in cui veicolare tutta la voglia degli sviluppatori di esprimersi liberamente, introducendo nuove meccaniche e stili difficili da convogliare in serie già rodate, pena il rischio di deludere (per non dire peggio) la propria fanbase.
Bayonetta Origins va anche oltre, spostando il genere dal frenetico Hack’n’Slash a base di combo brutali a un riposante Action Adventure/Platform con enfasi sul Puzzle solving ed esplorazione, e addirittura virando per una cosmesi fortemente artistica e delicata, allontanandosi dai fuochi artificiali e da personaggi e scene che pigiano l’acceleratore sull’ eccesso tipico della serie.

Un cambio di rotta tale che viene da chiedersi quale sia il target a cui è destinata questa produzione Platinum Games. E probabilmente la risposta è: tutti. Chi possiede le collector edition dei vari Bayonetta probabilmente vuole approfondire le origini della strega di Umbra e ricevere risposte a domande ancora aperte, altri saranno già stati attratti dall’arte fascinosa e seducente, perché le curve di Cereza in Bayonetta 3 saranno anche una lussuria terrena e umana e magica insieme, ma le curve di un acquerello sono tutt’altro tipo di godimento che pur astratto ed edonistico, rimanda al divino.
La giovane Cereza, del resto, è una ragazzina ben distante dalla protagonista spavalda che abbiamo in mente. Un’adolescente indecisa la cui infanzia è caratterizzata dall’esilio forzato dei genitori, divisi da una società rigida che non approva la loro unione, dalla voglia di salvare la madre dall’isolamento e barbarie della galera, diventando una potente strega grazie agli insegnamenti di una maestra severa e che non lascia minimo spazio a gesti di conforto, figuriamoci di affetto, di cui ogni umano in giovane età ha bisogno.
L’acerba strega cinerea non è l’unica protagonista delle vicende di BO:CatLD. Mentre il joycon sinistro permette di controllare Cereza, il joycon destro è destinato a Cheshire, il demone rinchiuso dentro una bambola di pezza, vecchia conoscenza per i fan della serie.
I due personaggi hanno abilità asimmetriche, con la strega novizia capace soltanto di incantesimi semplici, da risolvere a suon di analogico seguendo un determinato ritmo, e il demone formato peluche in grado di attaccare e masticare le malefiche Fate. I comandi sono bizzarri ma riusciti, con i dorsali a fungere da tasti azione, e questi per l’utilizzo di pozioni, da craftare grazie ai materiali scovati in giro, e switch tra le varie forme elementali di Cheshire, tutte da sbloccare.

La vera protagonista però è la foresta di Avalon, un territorio tanto ostile quanto affascinante. Il level design rivaleggia con Metroid Prime, con parti di aree temporaneamente bloccate a cui tornare successivamente, scandendo così una progressione del gioco non lineare. Il backtracking non è agevole, a causa di una mappa 2D troppo semplice per evidenziare la complessità strutturale degli ambienti, ma è un difetto che affiora soltanto nel postgame.
Si resta di stucco di fronte a tale complessità ben celata e soprattutto alla fantasia che permea ogni singolo elemento, di una bellezza poi la cui descrizione a parole renderebbe patetica la migliore recensione al mondo, figuriamoci questa.

Occorre una fermezza d’animo ignobile per rimanere impassibili alla vista di treni a vapore, fate circensi, cascate d’acqua, scivoli con foglie e tanto altro che gli enviroment e character artist hanno pensato per voi. Per non parlare dei Tìr na Nóg, veri e propri mini dungeon dalla cosmesi lisergica, in cui si entra dopo aver vissuto in una versione allucinata e horror dei paesaggi circostanti.
Tale iniezione di fantasia è un gioco di rimando alla tradizione fiabesca occidentale più cupa: i toni rimandano ai fratelli Grimm e non è raro trovare citazioni a Lewis Carroll, mentre io personalmente ci ho visto anche un gusto per l’animazione sovietica di un certo stampo, o sperimentalismi di certi anime giapponesi come Il Conte di Montecristo o Tatami Galaxy.

La prima avventura di Cereza, d’altronde, viene proprio narrata (superbamente, sia in giapponese che in inglese) come se fosse un racconto per l’infanzia, con tante pagine di libro illustrato da mani sapienti, mentre la descrizione degli eventi assume toni a volte drammatici, a volte comici.
Infatuarsi di BO:CatLD è fin troppo semplice e poco importa se il gioco è troppo facile, seppur sporadiche volte gestire due personaggi in fasi concitate di combattimento sfoci in palese dissonanza cognitiva. La sfida non è nei controlli, semplici e diretti, così come non è nei puzzle, di risoluzione immediata e applicazione poco impegnativa, o nei combattimenti, più frequenti, ma anche questi poco più di combo e azioni dalla tattica elementare. La vera sfida è nel mantenere viva la concentrazione, sempre richiesta in ogni fase dell’avventura.

Il difetto più evidente di questa opera è una generale mancanza di equilibrio, con certe fasi che calcano troppo la mano sulla narrazione, mamma da liberare e fragilità infantile sono il dramma perfetto, o sulle fasi combat, non dimentichiamo il logo dello sviluppatore.
Possono subentrare anche i gusti personali per un’opera così distintiva, ma chi si lascerà rapire non potrà che amare tutti i dettagli di cui l’opera è zeppa, dalle gocce di inchiostro acquerello alle composizioni musicali, di una fattura tanto elevata da rendere delittuoso l’ascolto non supportato da impianto surround o buone cuffie, per quello che resterà uno dei migliori giochi nella softeca Nintendo Switch.