Una morte già candidata.

Non capita spesso di poter parlare di un gioco che rientra tra gli esempi più luminosi dell’anno, in quanto già nominato per la categoria “best indie” dei prossimi The Game Awards (come buona parte della produzione di Devolver Digital). Se già qualcuno, che sia il mercato, la critica o entrambi, ha applicato un sigillo di qualità al prodotto di cui stiamo per parlare, la recensione può diventare un’occasione per fare nient’altro che accademia. Invece cercheremo di capire perché Death’s Door, anche nella sua incarnazione ibrida, sia uno dei migliori giochi che il panorama indipendente ha saputo offrirci negli ultimi 365 giorni. Un gioco che, in notevole controtendenza con le uscite indie di rilievo (ed i gusti del sottoscritto) non è un roguelike/lite, non è in pixel-art, e che dovrebbe titillare le papille dell’utenza Nintendo per la più manifesta delle sue ispirazioni: uno qualsiasi dei The Legend of Zelda isometrici.
Dover convincere altri esseri intelligenti che è l’ora di andarsene.
Si tratta di uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Ci è capitato di essere oche (in Untitled Goose Game), ma questa volta siamo un corvo: questo volatile è da sempre associato alla morte e alla figura del tristo mietitore. Mietere le anime tuttavia, è un lavoro più burocratico di quanto si possa pensare (già Grim Fandango ci aveva avvertito) e il nostro si trascina su un autobus, in un ambiente grigio e sconnesso, un aldilà pieno di incartamenti e pratiche da sbrigare.
La pratica che funge da incipit per la vicenda è proprio quella che ci porta a recidere il sottile filo dell’esistenza di una grossa creatura, che comprensibilmente non accetta di buon grado l’arrivo della propria ora. Nel momento in cui il protagonista infligge il colpo fatale al suddetto mostro, un corvo più grosso ed anziano ruba l’anima appena esalata, sottraendo il compito al nostro corvo e con esso la ricompensa. Come se non bastasse, rivela al nostro l’esistenza di una cospirazione che ha portato alla sparizione di altri impiegati consimili e getta quell’anima in pasto alla Death’s Door. Per aprire tale porta, il corvetto dovrà quindi imbarcarsi in una serie di avventure che lo porteranno a svelare vari segreti e a conoscere uno sparuto gruppo di personaggi impossibili da dimenticare… in alcuni casi anche dopo la loro morte.
La parte non frustrante dei soulslike.

Desideriamo anche fugare da subito un altro piccolo dubbio: dalle prime immagini e trailer potevate forse esservi fatti l’idea che Death’s Door fosse imparentato con i soulslike. Tuttavia, della struttura soulsiana il titolo prende soltanto alcune meccaniche, che non bastano a categorizzarlo in toto come tale. Come nei souls, esplorando le architetture isometriche sbloccherete tantissime scorciatoie che allevieranno il peso del backtracking in assenza di mappa (mancanza scientemente voluta dagli sviluppatori) e faciliteranno la vita al giocatore.
Differentemente dai soulslike, con ogni vostra morte non perderete le anime raccolte dei nemici sconfitti, che in seguito vi serviranno per aumentare le vostre statistiche di danno inflitto, velocità, potenza dell’attacco magico e rapidità dei fendenti. Come nei soulslike, le varie porte che sbloccherete fungeranno da punti di respawn, ma se da un lato causeranno la resurrezione di tutti i nemici minori, dall’altro faranno ricrescere anche le piantine dalle quali potrete curarvi: nel gioco non esiste il concetto di pozione o cura durante il combattimento, l’unico modo per curare le vostre ferite è coltivare preziosissime erbe in alcuni vasi sparsi ovunque e utilizzarle poi per curarsi completamente.
Proprio per queste meccaniche che si compensano a vicenda il gioco si attesta su un livello di sfida stimolante e bilanciato, ma mai proibitivo e punitivo come invece accade nei lavori di From Software.
La progressione è nello spazio, non nel tempo…per scelta di design.

Come detto, il corvo può effettuare sia attacchi in mischia, sia attacchi magici a distanza (ne sbloccherete quattro tra cui il fuoco, la bomba e la freccia), e un roll con frame di invincibilità utilissimo per schivare tutti i fendenti nemici. Una nota insolita relativa al combat è la possibilità di rispedire alcuni proiettili al mittente, ampliando di poco le scelte tattiche disponibili in combattimento.
Inoltre, se siete particolarmente vogliosi di esplorare, potrete recuperare armi alternative rispetto alla spada iniziale, tra le quali il martello (che aggiunge un danno da fulmine ai nemici particolarmente vicini tra loro), i pugnali da ladro e uno spadone del mietitore estremamente migliore rispetto a quello standard in dotazione. Tutte queste armi avranno statistiche diverse, come il numero di fendenti e la velocità con cui colpiscono, ma se volete rendervi la vita difficile potete sempre imbracciare l’ombrello che trovate negli uffici, ovvero lo strumento che Death’s Door utilizza per dirvi che state giocando in hard-mode. Tuttavia, la progressione in termini di abilità e di armi per il personaggio è quasi impercettibile e personalmente non ho avuto l’impressione che il protagonista guadagnasse particolarmente in forza ed agilità man mano che si avvicinava il termine della campagna.
Un design consapevole per un gameplay dal sapore dimenticato.

Il motivo di tutto questo però è una manifesta scelta di design degli sviluppatori: la progressione del gioco si concretizza attraverso l’esplorazione e non attraverso la crescita delle abilità del personaggio. L’assenza della mappa è un segnale evidente del fatto che Acid Nerve vuole che il giocatore esplori ogni singolo anfratto delle varie zone, peraltro tutte collegate da un sublime sforzo di level design. Il lavoro fatto nella costruzione del mondo di gioco è maniacale e per questo presenta un notevolissimo numero di scorciatoie.
Le prospettive quasi escheriane vi spingono ad esplorare per risolvere puzzle ambientali tra i più soddisfacenti degli ultimi tempi, fatti di leve, sezioni a tempo e giochi di prospettiva: questo è particolarmente evidente nella rotazione di quasi 180 gradi (che personalmente mi ha ricordato la hit per mobile Monument Valley) che la telecamera di gioco effettuerà quando scoprirete una zona segreta che di solito porta a un santuario; infatti, raccogliendo tutte le shard disseminate nei pochi santuari nascosti alle normali inquadrature, aumenterete di uno, e solo di un punto in tutta l’avventura, sia i vostri HP che i vostri attacchi magici (sempre a sottolineare la scarsa evoluzione della forza del protagonista).
L’esplorazione si fregerà anche del backtracking tipico dei metroidvania, con zone da esplorare nuovamente solo quando avremo ottenuto l’abilità magica che ne renderà possibile lo sblocco, come la freccia di fuoco per accendere in sequenza alcune lanterne, o la bomba che ci permetterà di abbattere muri invalicabili (niente di troppo nascosto alla Metroid Dread, per intenderci) che sono messi lì, in bella vista proprio per invitarvi a tornarci in un secondo momento (quanto mi è mancato un sistema di mappe e contrassegni alla Hollow Knight, per ricordare punti salienti in cui tornare, anche se questa meccanica sarebbe entrata in conflitto con le scelte degli sviluppatori).
La gioia di perdersi in un labirinto…con personaggi memorabili.

L’enorme livello interconnesso che è la mappa di Death’s Door è la vera star del gioco: le ambientazioni sono curate e caratterizzate con piccoli dettagli che impreziosiscono e invogliano ad esplorare, ed anche i nemici sono tutti ben caratterizzati seppur non eccezionalmente vari; in generale, il gioco tenderà a rendervi la vita più difficile con la quantità di mob che vi lancerà contro e non con i loro moveset.
Tuttavia, uno dei momenti migliori del titolo sono senza dubbio gli eccezionali e mastodontici boss, che vi porterete nel cuore per lungo tempo: non so in quanti giochi vi siate ritrovati a combattere la facciata di una specie di Sagrada Familia con propulsione a razzi, e quando me la sono trovata davanti, per me Death’s Door aveva già vinto. Ancora più interessante è il fatto che ognuno dei cattivoni principali abbia quantomeno una motivazione per non abbandonare il mondo dei vivi e, anche grazie a degli ottimi dialoghi spruzzati di humour nero, vi peserà sempre un po’ il dover eseguire l’atto di commiato burocratizzato. Proprio il concepimento di questi personaggi ci ricorda che il precedente lavoro di Acid Nerve è Titan Souls, il cui gameplay è sostanzialmente definibile come una boss-rush.
Soundtrack stellare e plusvalore portatile.

Death’s Door dura all’incirca una quindicina di ore e prosegue anche dopo il finale, con un post-game che non è il caso di rivelare in questa sede, ma che comunque arricchisce l’offerta ludica di una sezione in cui sbizzarrirsi con armi e poteri massimizzati dalla campagna principale.
Una menzione veramente speciale va alla soundtrack, una delle migliori ascoltate negli indie recenti, ad opera di quel David Fenn che già aveva lavorato a Moonlighter. La musica provvede alle transizioni da zona a zona, ma il tema principale vi rimarrà sicuramente incollato al cuore, grazie anche alla dominante di pianoforte che trovo particolarmente adatto ad accompagnare un gioco sul trapasso. I dialoghi sono, purtroppo, tutti in inglese, ma vale la pena goderseli per le situazioni estremamente zeldiane a cui danno vita.
A livello tecnico l’ottimizzazione è sicuramente una delle migliori viste recentemente su Nintendo Switch, con 30 fps stabili che vedono qualche calo nelle fasi di accerchiamento dei vari nemici o in alcuni combattimenti con i boss particolarmente complessi. La possibilità di godere del titolo anche in handheld senza particolari sacrifici lo rende uno dei plus della versione per la nostra ibrida di fiducia. Certo non si tratta dei 60 fps (e oltre che potreste raggiungere nella versione PC) che in un action sono sempre graditi, e ci sarebbero alcuni riflessi ed effetti grafici che sono andati persi in questa versione, ma seguite il mio consiglio: “voi non avete mai visto la versione PC, non sapete neanche che cosa sia un PC, e quindi semplicemente non esistono”.
Vedi Death’s Door e poi muori…o quasi.

In definitiva, Death’s Door è uno dei prodotti più rifiniti che il mercato indie offrirà quest’anno anche e soprattutto su Nintendo Switch e che esegue una consapevole scelta di design, puntando l’accento sull’esplorazione ed un level design stratosferico, per renderlo il vero centro della progressione di gioco. Le avventure del corvo sono l’esempio lampante che non importa essere estremamente innovativi per confezionare un prodotto curatissimo e che si sente la mancanza di questo tipo di action isometrico (dai tratti zeldiani) nel settore ormai più spostato verso produzioni 2D e roguelike/lite.
Forse proprio la progressione non marcata assieme al fatto che il gioco sia un ottimo amalgama di cose già viste (ma che non si vedevano da tempo) ci fa propendere per un voto sotto la perfezione assoluta. Ma se possedete un Nintendo Switch, quest’anno per accompagnare titoloni come Metroid Dread e Shin Megami Tensei V… sappiate che Death’s Door, è la morte sua.
