Il finale non è mai più importante del percorso a cui è legato
La vita è strana, ci riserva spesso situazioni che non avevamo preventivato e che stravolgono anche semplicemente il normale andamento della giornata, per rimanere nei cambiamenti non radicali.
L’assegnazione di questa recensione sembrava avesse in un certo senso già iniziato questo percorso di “what if”, con me non interessato a giocare To The Moon (non perché non valesse, ma per questioni di tempo e motivazioni) ma che poi, alla fine, ho comunque “dovuto” giocare.
Non ringrazierò mai troppo il destino (che in questo caso si chiama Marco Palma) per avermi consigliato e portato a giocare al capolavoro di Freebird Games.

To The Moon è un’avventura basata quasi esclusivamente sulla storia, con un gameplay ridotto all’osso. Si passa la quasi totalità delle ore (circa cinque) a leggere dialoghi, ad ammirare panorami, ad ascoltare la fantastica colonna sonora, il tutto intervallato da sessioni di gioco in cui bisogna spostarsi nel piccolo mondo per passare alla cutscene successiva.
Il gioco è stato creato interamente con RPG Maker ma ha subito, con questa sorta di remastered, un rinnovamento grafico grazie ad Unity, ed effettivamente dal lato visivo ci troviamo di fronte a qualcosa di molto più apprezzabile e poetico rispetto alla versione del 2011.
È davvero difficile recensire un titolo del genere vista la sua natura basata interamente sulla storia e quindi sulle emozioni che questa suscita: andare a valutare un gioco come To the Moon per ciò che offre lato gameplay dimostrerebbe non aver capito ciò che gli sviluppatori volevano offrire, andando a penalizzarlo pesantemente.

In To the Moon ci troviamo nei panni della dottoressa Eva Rosalene e il dottor Neil Watts, esperti nell’impiantare ricordi artificiali all’interno della mente delle persone. La loro è però un’operazione molto invasiva e per questo, una volta operato, tutti i ricordi reali della persona vengono compromessi: a causa di ciò l’innesto viene fatto solo a persone in fin di vita, per poter donare loro un’ultima sorridente visione prima di lasciare questo mondo.
Protagonista di questo nostro caso è l’anziano Johnny Wyles che, ormai sul letto malato, tramite la sua badante fa chiamare i due dottori proprio per far esaudire, almeno nei suoi ricordi, un suo grande sogno mai realizzato: andare sulla luna. Per poter innestare il finto ricordo, però, Rosalene e Watts devono prima trovare il motivo scatenante di questo desiderio, viaggiando quindi a ritroso nei ricordi di Johnn dalla vecchiaia fino all’età infantile.
Con questa motivazione, dunque, nei panni dei due medici si vanno a rivivere i momenti più significativi della vita dell’uomo ormai sul letto di morte, andando a scoprire aneddoti impensabili, personaggi che hanno influenzato pesantemente i suoi trascorsi, scelte che lo hanno portato ad avere determinate compagnie piuttosto che altre, fino a quella più importante.

Non posso e non voglio raccontare altro, poiché qualsiasi altra parola andrebbe ad aggiungere un piccolo tassello di un puzzle che dovete necessariamente comporre da soli: la forza di To the Moon non è infatti nel gameplay o nell’impatto visivo, quanto piuttosto nella cura posta nei dettagli, nella sceneggiatura perfetta che rende ogni minima scena importante per lo svolgimento e la risoluzione del caso.
Visto che però stiamo parlando di un videogioco, è pur sempre opportuno parlare della parte ludica del titolo e questa, seppur come già anticipato è ridotta al minimo, può essere riassunto con “fa poco e lo fa bene”. Nei momenti in cui si prende il comando di Rosalene e Watts ci si limita a dover analizzare alcuni elementi dello scenario, tutti oggetti o persone che hanno avuto un’influenza ben precisa nella vita dell’anziano: una volta raccolti tutti e cinque di quel determinato scenario, parte un minigioco molto semplice, ma che dà quel minimo di varietà al gameplay che ho apprezzato particolarmente.

To the Moon è un gioco toccante che dopo qualche ora, quando si entra nel vivo della storia, avrà già pizzicato pesantemente le corde del vostro cuore.
Fortunatamente (altrimenti sarei stato per cinque ore a piangere) ci pensano i due medici a rendere l’avventura anche un po’ più leggera: Rosalene è una ragazza dedita al lavoro, esperta e che sa bene ciò che fa, anche a costo di risultare troppo fredda per una situazione come la morte prossima del paziente. Watts è un medico ironico, che ama sdrammatizzare e che con le sue battute, citazioni da anime, film e serie tv si fa amare dai primi secondi di gioco.
Un gioco così non va raccontato, non può essere descritto e non dovrebbe essere nemmeno giudicato: To the Moon va giocato, vissuto ed amato. Un titolo che fa riflettere sulla vita, su come bisogna sempre reagire a ciò che ci capita e non lasciarsi abbattere dai problemi che possono incorrere negli anni e con l’avanzare dell’età, a noi o alle persone a cui teniamo.
Ho voluto tenere per ultima la menzione d’onore alla colonna sonora: brani al pianoforte delicati, emozionanti e sempre coerenti con ciò che accade a schermo, dal punto di visto sonoro ci troviamo davvero di fronte ad un capolavoro.
Un po’ La La Land (non perché il gioco sia un musical, ma per una sequenza in particolare), un po’ Memento, Se mi lasci ti cancello e Inception, rigiocare una seconda volta il titolo dopo averlo finito permetterà di vedere sotto una luce diversa alcuni avvenimenti che, per come è raccontata la storia, diventa sempre più chiara solo percorrendo la strada “al contrario”.
To the Moon è l’esempio perfetto di come un videogioco possa essere molto più che semplice gameplay, andando anzi ad essere poverissimo su questo aspetto ma compensando con gli interessi con trama e sonoro. A meno che non abbiate un cuore di pietra, giocate a To the Moon ed unitevi a tutti gli altri giocatori che lo hanno finito e poi pianto, compreso il sottoscritto.