Suole calamitate.
Nonostante il progresso tecnologico, che ha portato le generazioni di oggi ad abituarsi a meccaniche di gioco e comparti grafici sempre più avveniristici, c’è ancora una nicchia di appassionati che ama fare un tuffo nella nostalgia, ripescare vecchi titoli che hanno fatto la storia del gaming o gettarsi a capofitto nelle produzioni degli sviluppatori indipendenti, oggi più che mai da considerarsi dei nuovi pionieri dell’epoca d’oro dei videogiochi in due dimensioni.
Tra gli indie che si rifanno a questa filosofia spicca anche A Hole New World, un action platformer decisamente oldschool sviluppato dai ragazzi di MadGearGames, che hanno voluto dare un doppia leggibilità alla loro creatura. Una leggibilità che vi farà andare sottosopra.

Un po’ come tutti i mondi sui quali i giocatori vengono catapultati, anche Versee, terra prospera e pacifica, viene attanagliata dalla morsa del male. Per porre rimedio a questa sciagura, Yakshini, dea e creatrice di Versee, decide di separare il bene e il male, generando due mondi contrapposti. Tale operazione, tuttavia, la prosciuga di tutto il suo potere e la rende vulnerabile. Per evitare di essere sopraffatta divide quindi il suo potere in cinque globi che disperde agli angoli dei due mondi. Lord Bauk, leader della più forte e malvagia fazione di mostri, non resta a guardare e trova il modo di invadere Veerse e distruggere ogni cosa. A questo punto entra in gioco il Maestro delle Pozioni, unico essere vivente in grado di combattere le forze demoniache e assistito dalla piccola fata Fäy.
Come si evince anche dal nome del nostro eroe, le armi in grado di sconfiggere le creature dell’altro mondo altro non sono se non intrugli contenuti all’interno di boccette e fiale di vetro. Il Maestro può lanciarle contro mostri e demoni determinando la loro dipartita.
In A Hole New World ci si muove in orizzontale, come ogni action platformer in due dimensioni, ma l’elemento verticalità acquisisce una certa importanza nelle sessioni sottosopra. Nei pressi di profonde aperture nel terreno, collegate all’altro mondo, il nostro eroe può cadere senza morire e visitare una realtà con le leggi della fisica e della gravità al contrario. Come accade anche nelle sezioni 8 bit di Super Mario Odyssey, durante queste sessioni di gioco si ragiona all’opposto e si varia l’approccio al gameplay soprattutto durante il calcolo della traiettoria dei salti e il lancio delle pozioni.

Partiamo con l’analizzare proprio queste fasi: purtroppo non posseggono il giusto mordente e, col passare del tempo, si rivelano il frutto di un’ottima idea che non trova la giusta espressione. Passeggiare a testa in giù è infatti un modesto piacere solo all’inizio, quando il livello della difficoltà si mantiene lineare e il level design non troppo elaborato. Negli ultimi mondi, complice anche una disposizione dei nemici poco intelligente che porta a svariati momenti di pura frustrazione, la curva del divertimento compie una brusca accellerata verso il basso e taglia le gambe al ritmo di gioco che si mantiene stabile nelle sessioni del mondo di sopra. Nota positiva invece per alcuni boss che sfruttano il sottosopra per rendere i combattimenti più dinamici e, in alcuni casi, anche più tattici. Insomma, un peccato che tutto il resto non si mantenga sulla stessa linea.
La struttura delle sessioni a testa in su è quella delle più classiche. Voragini da saltare, trappole mortali e creature malefiche sulle quali scaraventare le nostre pozioni. Una volta sconfitto il boss di turno — che spesso e volentieri costringerà a tentare più volte l’impresa con pattern difficili da prevedere — il Maestro guadagna nuove abilità: pozioni dalla corta gittata ma dal danno maggiorato, il calcio in scivolata o il doppio salto. La selezione di ogni potere avviene tramite la pressione dei dorsali e qui il gioco si complica inutilmente la vita. Sarebbe stato infatti più immediato assegnare ad un tasto specifico un determinato potere; sfogliare il “catalogo” delle abilità durante i combattimenti o l’esplorazione risulta presto macchinoso e poco intuitivo. Una scelta strana quella degli sviluppatori, soprattutto per un gioco di questo genere, che vive di riflessi pronti e azioni da compiere in pochi frame.

Il comparto estetico di A Hole New World omaggia — riuscendoci anche abbastanza bene — i grandi capolavori del passato, cercando al contempo di proporre qualcosa di suo. Le tinte sono forti e sgargianti, il comparto artistico si mantiene su buoni livelli e il design delle creature — e dei boss in particolare — trova la sua perfetta collocazione nei mondi di gioco. Affascinante anche il distacco cromatico tra il sopra e il sotto, che rende bene l’idea di trovarsi in un una realtà del tutto estranea. Peccato che i mondi siano pochi e in generale non offrano lo stesso livello di qualità visiva, che tende ad annebbiarsi verso la fine della campagna.
Le avventure del Maestro scorrono in ogni caso con una certa fluidità e, soprattutto durante alcune fasi che ripescano elementi tipici del genere metroidvania, il titolo offre un’esperienza degna di essere giocata, sebbene breve nella sua totalità. L’unica nota veramente stonata — in tutti i sensi parlando — viene dal comparto audio. Le tracce sonore non rendono giustizia al comparto artistico, risultano persino alienanti in certi frangenti e fastidiose in altri. Da questo punto di vista c’era ancora ampio margine di miglioramento

A Hole New World è un gioco indubbiamente coraggioso, che cerca di affrontare un genere più che consolidato e proporre una visione non del tutto inedita, ma comunque poco adoperata: quella del sottosopra. Se negli scontri coi boss queste fasi raggiungono il massimo della propria espressione, durante il resto dell’avventura si dimostrano un additivo ridondante e mal sfruttato. Guidare il Maestro delle Pozioni nel corso della sua difficile missione, in ogni caso, si rivelerà un’esperienza tutto sommato soddisfacente, a patto di chiudere un occhio su di un comparto audio sotto la sufficienza e un level design non sempre ispirato.


























































