“Ehi, ma questo è peggio di Dark Souls!”
Sì, decisamente un’esagerazione, uno sfogo dettato dal troppo tempo passato dall’ultimo Dungeon Crawler, che mi aveva fatto dimenticare come fossero severe le meccaniche di questo genere.
Excave infatti si presenta con la faccia di un action-rpg dall’aspetto molto carino per poi venire al sodo e mostrarsi in quello che è: un gioco che richiede pazienza, attenzione e dedizione. Niente fronzoli in cui perdersi, l’accesso al “dungeon” è immediato ed è sufficiente scegliere il proprio eroe (tra il guerriero e la ranger), controllare di aver l’equipaggiamento necessario e via, pronti all’avventura.
La schiettezza con cui il gioco si pone ai nostri polpastrelli è disarmante: il dungeon presenta una sorta di “hall” di ingresso in cui porte di diversi colori determinano il prosieguo del nostro cammino.
Si comincia dall’unica porta aperta, passando per l’unico teletrasporto disponibile, proseguendo sull’unico sentiero aperto… superando le avversità che ci vengono poste di fronte fino a raggiungere il boss, custode della chiave che – con poca sorpresa – apre il percorso immediatamente successivo a quello esplorato.
Questa linearità, unita a del livelli che raramente presentano diramazioni o strade alternative, guida il giocatore come in un qualsiasi action game a stage sequenziali, sebbene siano diverse le stanze celate dietro una serratura argento o oro (le cui chiavi sono comodamente acquistabili in città) che spingono a ripercorrere alcuni tratti per scoprire cosa vi si nasconda.
La semplicità del titolo si riflette anche nel sistema di controllo, che utilizza un tasto per l’arma e un secondo per lo scudo o l’oggetto consumabile del caso (che va ogni volta posizionato manualmente via touch e attivato premendo B, niente scorciatoie): il resto lo fa tutto la capacità di controllare il personaggio con l’analogico e studiare tempi di reazione e le aperture concesse dalle armi a disposizione, nonché la rapidità nell’equipaggiare le magie, lanciarle e ripristinare il proprio equipaggiamento difensivo.
Una volta padroneggiato il ritmo dei combattimenti, ci si scontra con due dei più infidi avversari che si potessero immaginare: il deterioramento delle armi e l’inventario ristretto.
Le armi (per fortuna solo quelle, gli scudi sono salvi) sono infatti soggette a usura ed è praticamente impossibile terminare un dungeon con un’unica arma: il guerriero è obbligato ad avere sempre almeno un’arma di scorta nel proprio inventario, pena rimanere totalmente disarmati quando il proprio strumento di offesa diventa inutilizzabile. Lo stesso non vale per l’arco della ranger, che diventa quindi una scelta validissima anche per la capacità di colpire a distanza e per la proprietà delle frecce di attraversare i nemici e colpire anche quelli in seconda fila. Una sorta di “easy mode” che però richiede prontezza e velocità per via della minore capacità offensiva.
Se l’usura delle armi si metabolizza dopo poche sessioni, in cui si impara ad ottimizzare il tempo di utilizzo di ogni lama, permane la problematica dell’inventario affollato, perché le orde di nemici una volta sconfitte tendono a rilasciare numerosi oggetti, spesso da identificare dal fabbro (e quindi potenzialmente rari) che in breve riempiono i pochi spazi liberi concessi dalle 16 caselle al netto di pozioni e item di supporto.
È dunque sistematico l’utilizzo del teletrasporto in città nel bel mezzo di un’esplorazione per verificare cosa si è raccolto, costringendo poi a ricominciare il dungeon da zero – con il respawn dei nemici.
Si impara presto a cestinare, un po’ a malincuore, tutto quello all’apparenza potrebbe non essere utile alla build corrente, prediligendo accessori (indispensabili a potenziare il proprio personaggio) piuttosto che armi di tipologia differente da quella con cui si è preso confidenza.
Scesi a compromessi con il severo sistema di progressione, ci si ritrova un action piacevole, con nemici che mostrano abbastanza presto pattern d’attacco differenti (slime, pipistrelli, serpenti, gemme… ho detto gemme?) e in grado di infliggere status alterati.
Nota positiva i boss, che provano a variare decisamente approccio l’un l’altro, sebbene alcuni – purtroppo – presentino delle incertezze di progettazione che in alcuni casi rendono gli scontri molto difficili e in altri tremendamente facili, spesso senza capire se si tratti di scelte ben precise o valutazioni errate di chi ha studiato gli scontri… o semplicemente di poco testing.
Al netto di questi difetti, Excave per 4.99€ ci offre un’esperienza discretamente realizzata e piuttosto assuefacente, potenzialmente ideale per chi cerca un impegno che stimoli a tratti la propria capacità gestionale, oltre al menare le mani, senza però perdersi in complicate meccaniche: il classico gioco da tenere sempre acceso con la console in standby, così da aprire 3DS alla prima occasione in cui si abbia del tempo da dedicargli.
E no, non è assolutamente peggio di Dark Souls…