Il ritorno del robot giustiziere
Mega Man può essere definita una serie pilastro, un simbolo dell’era console di fine anni ’80 e icona della giapponese Capcom, software house che contribuì a diffondere il verbo del videogioco insieme a Nintendo. Le cose, purtroppo, cambiarono rapidamente — poco più di quindici anni — e persino il robot giustiziere subì un inevitabile ridimensionamento; il mercato, semplicemente, chiedeva altro e l’action platformer divenne un genere destinato ad una ristretta cerchia di videogiocatori.
Più di otto anni ci sono voluti per assistere al ritorno della serie classica di Mega Man. L’undicesimo capitolo, annunciato a sorpresa lo scorso dicembre e giunto finalmente su Nintendo Switch, cavalca un po’ quella che è la storia di Capcom dell’ultimo decennio: ricercare le origini che hanno segnato il successo senza tuttavia snaturare i propri brand.

In una tranquilla giornata al laboratorio fa la sua inaspettata comparsa il Dr. Wily, in possesso del Double Gear: una tecnologia ricavata da un suo vecchio progetto ritenuto al tempo immorale dal Dr. Light, in grado di potenziare un robot e renderlo, a tutti gli effetti, una marionetta. Le cose precipitano piuttosto in fretta e il Dr. Wily s’impossessa delle menti artificiali degli otto automi costruiti dal Dr. Light. Toccherà a Mega Man recuperarli ed evitare il caos che i robot, guidati da una mente malvagia, potrebbero seminare.
Una premessa narrativa molto semplice, che si sviluppa col passare delle ore in una manciata di scene ricreate col motore di gioco. Limitandosi al compitino, la storia non è il fulcro dell’opera, ma non ci si poteva aspettare altrimenti da una produzione che punta su ben altro e che, oltretutto, non ha potuto godere di un budget elevato alle spalle. I più accaniti fan della serie possono però stare tranquilli, perché sul fronte gameplay ci troviamo dinanzi ad un titolo di assoluto spessore.

Contro ogni previsione, il Dr. Light riesce ad implementare il Double Gear nei circuiti di Mega Man, che acquisisce due abilità piuttosto peculiari. La prima è il rallentamento del tempo, che permette di anticipare o schivare colpi altrimenti mortali, nonché di arginare precipizi sfruttando piattaforme mobili alternative. La seconda potenzia oltremodo il cannone impiantato nel braccio del robot, che diventa in grado di spazzare via anche i nemici più robusti. Quando i punti vita iniziano a raschiare il fondo del barile è inoltre possibile attivare una modalità speciale che sfrutta entrambe queste abilità.
C’è tuttavia un limite a tanto potere: una barra che, se riempita, porta al surriscaldamento del sistema e al suo inevitabile inutilizzo e rallentamento. Troppa esuberanza porta quindi ad un handicap non di poco conto, così come un’eccessiva parsimonia può rendere ogni livello particolarmente ostico. Già, perché Mega Man 11 non guarda in faccia nessuno e, oggi come in passato, presenta un livello di sfida davvero alto anche scegliendo la modalità “Facile”.

Complice l’aggressività e il continuo spawn dei nemici, un level design mai permissivo e i boss di fine livello che non danno mai modo di rifiatare, l’ultimo capitolo della serie si presenta sin da subito come un gioco tosto, da affrontare più e più volte al solo scopo di imparare specifici pattern, migliorare il feeling coi comandi e racimolare bulloni da investire in utili moduli e oggetti.

I moduli sono pressoché essenziali: essi permettono a Mega Man di aumentare la potenza del cannone, ricaricare automaticamente il colpo speciale, aumentare l’attrito nei livelli con la neve o, ad esempio, trovare più capsule vita tra un nemico e l’altro. Vi sono poi oggetti che dimezzano i danni o che evitano una fine ingloriosa dopo la caduta in un precipizio. L’upgrade diviene quindi parte integrante dell’esperienza e un ottimo modo per appianare una difficoltà talvolta davvero eccessiva, che sfocia spesso in un trial and error molto old school.
Una volta completata la campagna principale ci si può cimentare nelle sfide, come la classica gara a tempo o una modalità nella quale bisogna compiere il minor numero di salti. Vi sono poi le Classifiche, dove è possibile ammirare i risultati e i replay degli speedrunner, la sezione Medaglie e la Galleria, che racchiude i modelli tridimensionali di tutti i nemici affrontati nel gioco, con tanto di spiegazione sulle loro abilità e relativa lore.

Esteticamente e tecnicamente il titolo è più che valido. Il comparto artistico, dalle linee dolci e rotonde e dai toni colorati e cartooneschi, riesce a caratterizzare con efficacia protagonisti e antagonisti, oltre a dipingere perfettamente il caos e l’intensità degli scontri. Il comparto sonoro accompagna il tutto con tracce musicali molto ritmate e coerenti con la frenesia delle situazioni. Il frame rate si mantiene solido lungo tutta la campagna salvo che in sporadiche occasioni. L’unico neo è rappresentato da un imput lag quasi impercettibile, che talvolta purtroppo determina la disfatta involontaria del giocatore; niente che mini l’esperienza complessiva, sia chiaro, ma una patch sarebbe quantomeno gradita.

Mega Man 11 è letteralmente infarcito di trappole, nemici che non lasciano scampo, piattaforme posizionate nei modi più crudeli, corse contro il tempo. Una gioia per gli occhi e i polpastrelli dei giocatori più anziani e, con molta probabilità, una vera e propria scuola di level design per i più giovani, fin troppo abituati alla linearità dei giochi moderni. Capcom non ha voluto scomodare i dogmi del genere e il risultato è un capitolo della serie classica puro, progettato per i fan storici. Una base perfetta dalla quale ricominciare, sperando che il brand abbia ancora tanto da dire negli anni a venire.
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