Call Of Duty: Ghosts – Campagna Giocatore Singolo

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Genere: First Person Shooter
Multiplayer: 2 (Offline), 2-12 (Online)
Lingua/e: Interamente in Italiano

NOTA BENE: Questa è la recensione della modalità “Campagna”, ovvero la modalità principale per il giocatore singolo. Purtroppo non ci è stato possibile recensire la molto più rappresentativa modalità multiplayer per motivi non dipendenti dalla nostra volontà.

Questo è il punto in cui andrebbe inserita la consueta introduzione che sottolinea le sofferenza di noi videogiocatori nel ritrovarci ogni anno di fronte sempre gli stessi franchise e le stesse meccaniche di gioco, con i botteghini che rispondono sempre “presente!“… in un circolo vizioso che non avrà mai fine e che ci fa sentire come perpetuamente condannati a vivere una rieducazione degna di Arancia Meccanica. In realtà preferisco considerarlo un punto di arrivo: nello specifico, allacciandosi alle tematiche del titolo, il punto di arrivo di un treno che viaggia su binari instabili nel mezzo di un bombardamento di dimensioni planetarie. Questo perché, sebbene la modalità online a più giocatori risulti sempre irrinunciabile per gli appassionati, è invece opportuno riflettere sulla necessità di Activision e Infinity Ward di rimettersi al tavolo per rivedere pesantemente l’esperienza di gioco singolo.

heli

La campagna di ogni Call of Duty ha sempre rappresentato l’ideale showcase per eventi come l’E3, dove l’abilità degli sviluppatori pad alla mano mostrava una combinazione di ritmo, tempismo e dinamicità di livello cinematografico, strappando applausi e consensi nell’attesa di mettersi in gioco con gli amici per salire di grado a colpi di headshot: la capacità di valorizzare a pieno la regia e gli script agli occhi degli spettatori risultava dunque un compito importantissimo, perché in quel momento si vendeva il gioco al mondo. Eppure dopo tanti anni, vedendo scorrere i titoli di coda, si prova una sensazione che non è neanche definibile come insoddisfazione, ma piuttosto assimilabile all’indifferenza. Ghosts prova a rinnovare la serie introducendo elementi originali per la serie, a partire dal “cane soldato” che tanto ha fatto sorridere la comunità online in questi mesi per arrivare ai livelli ambientati nello spazio a gravità zero, dimostrando quindi la volontà di offrire qualcosa in più ai giocatori. Nel fare ciò, però, il team ha fallito miseramente nell’intento di dare valore alle proprie proposte, commettendo errori strutturali consistenti. L’utilizzo del cane, Riley, è sicuramente un’interessante alternativa tattica (premendo il dorsale dedicato, infatti, è possibile lanciarlo contro uno specifico nemico) ma, proprio per la linearità e rigidità da light gun game che ingabbia le sessioni di gioco che lo prevedono nel gruppo, non esprime tutto il suo potenziale di avanguardia e/o esca, limitandosi a rappresentare una kill sicura in più ad ogni cooldown.

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Si prova a dare maggiore profondità all’operato del compagno a quattro zampe nelle sessioni in cui è possibile controllarlo via remoto, permettendo dunque l’attraversamento delle le linee nemiche con una capacità di infiltrazione decisamente superiore: anche qui, però, il tutto si riduce a situazioni stealth fini a se stesse, dove il realismo si mette da parte e si ha l’impressione di controllare una vettura RC piuttosto che un animale intelligente. Pur volendo ignorare il pesantissimo cazzotto alla sospensione d’incredulità, queste meccaniche aggiuntive si rivelano limitate a situazioni estemporanee: non vengono richiamate ulteriormente dopo la fase iniziale e, a conti fatti, non se ne sente neanche la mancanza proprio per la conduzione tradizionalista  dei livelli, ancorata al classico “fermati, ripulisci e prosegui”. Le sopracitate sezioni nello spazio, poi, risultano affascinanti finché gli scontri a fuoco si svolgono all’interno della struttura della base orbitante, mentre assumono connotazioni tragicomiche quando il giocatore si trova a fluttuare nello spazio aperto facendo fuoco a un numero di nemici consistente: per tutta la durata della narrazione il nemico si pone sempre un passo avanti alla squadra degli “eroi”, mentre in questa occasione accetta la competizione di “sparacchiate galleggianti” a base di carne da cannone, in uno dei contesti assolutamente più importanti per il dipanarsi della trama. Non aiuta il fatto che “sparacchiate galleggianti” non sia un eufemismo, ma una triste constatazione di fatto. Verso la fase finale si prova a fornire al giocatore nuovi mezzi per diversificare l’offerta ludica, ma si tratta di un tentativo estremo e poco soddisfacente.

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Al netto delle sue discutibili innovazioni , dunque, ci ritroviamo tra le mani il solito Call of Duty, con i suoi soliti momenti scriptati, il suo solito tasto che fa tutto quello che serve quando serve, la solita sequela di nemici che riempiono le linee come paletti da abbattere… nulla pare mutato. Anzi, verrebbe da dire che, al contrario dei suoi predecessori, questo capitolo non riesca a scatenare stupore nel giocatore. Dal primo all’ultimo minuto di gioco si ha la sensazione che tutto si svolga in un’area di gioco ristretta, non si percepisce la “grandiosità” di certi eventi che in fase di preview, e con i giusti trailer, sembravano dover scuotere i nostri cuori e far vibrare i nostri telvisori ad alta definizione: si aprono voragini nel terreno, crollano promontori, esplodono navi da guerra… ma la resa visiva, così come l’impatto emotivo, non genera le scariche di adrenalina che portano a serrare le mani sul pad; sembra di sbirciare da un oblò piuttosto che vivere in prima persona un kolossal. Anche gli eventi a “campo aperto” sui mezzi più potenti, come carri armati e aerei, si riducono a percorsi introduttivi seguiti da limitate arene in cui ripetere alcune azioni per il numero di volte necessario al prosieguo del gioco. Si fatica a prendere sul serio una proposta ludica tanto derivativa e così poco ispirata, perché abbiamo già visto ogni cosa al punto di poter prevedere i colpi di scena o intuire quando partiranno gli slow motion: il tutto, affiancato da una trama che piuttosto che progredire sembra trascinarsi, si traduce in ore di gioco del tutto trascurabili e che fanno chiedere se effettivamente abbia ancora un senso investire risorse e tempo ad una modalità che non è così assurdo definire collaterale. Visti i risultati, in effetti, verrebbe da pensare che Activision abbia già dato il via ad un processo di ridistribuzione del budget proprio in quest’ottica.

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Ciliegina sulla torta di questa esperienza è la pessima realizzazione tecnica della versione WiiU: le mani solitamente capaci di Treyarch e Neversoft questa volta hanno incontrato qualche problema di troppo (reumatismi? Tunnel carpale? Rigor mortis?) e ci regalano la solita, discutibile, definizione sub-hd sparata a tutto schermo con contorno di texture della generazione Ps2. No, non stiamo calcando la mano più del necessario per una non ben definita avversione verso il titolo, bensì stiamo smaltendo i postumi dell’aliasing a tutto schermo, degli elementi bidimensionali low res che friggono e delle divise che sembrano uscite dalle peggiori lavatrici di Caracas, dove si vocifera essersi rifugiatala leggendaria nonnina dell’ACE, specializzatasi nel lavare i capi con candeggina e rhum nel tentativo di dimenticare le lenzuola bianche che facevano “straaaaap“. Per fortuna è possibile alleviare i sintomi di questa intossicazione con una pastiglia Alka Seltzer e attivando la visualizzazione sul Gamepad: la resa visiva ne guadagna enormemente, sopratutto a livello di definizione e gamma, donando un aspetto decisamente più gradevole al gioco. Certo un titolo di questo genere, che conta tutto sulla spettacolarità, risulta davvero sacrificato sullo schermo del controller…

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Nel bene e nel male questa è la campagna di Call of Duty: Ghosts per Nintendo WiiU: inutile nasconderci che la quasi totalità dei giocatori ignorerà totalmente questa modalità di gioco per tuffarsi online, ma ci sembrava quantomeno corretto offrirvi un parere sulla porzione del titolo che siamo stati in grado di provare e giudicare.

4

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