Microtransazioni, cosa sono e perchè sono tanto odiate/apprezzate

Le microtransazioni nei giochi diventano sempre più fastidiose e dispendiose. Eppure, non tutti sanno i rischi che corrono.

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Il recente caso di Pokémon Masters pone i riflettori sulla questione microtransazioni.

Vi abbiamo appena parlato di come Pokémon Masters abbia raggiunto l’importante traguardo di 10 milioni di download dopo pochissimi giorni dal lancio su piattaforme mobile. Il lancio, però, è stato accompagnato da parecchie lamentele circa il sistema gacha e le microtransazioni presenti nel titolo.

Facciamo, anzitutto, un ripasso.

Cosa sono le Microtransazioni?

Per microtransazione si intende esattamente la possibilità di acquistare con soldi reali degli oggetti o della valuta interna di un gioco. Questa pratica è tipica del mercato mobile, il quale con estrema fatica accetta la presenza di titoli costosi, ma che premia i free-2-play basati su questa meccanica.

Le famose loot box.

Su smartphone le microtransazioni sono praticamente incontrollate, e hanno prezzi che variano da circa 1,09€ per arrivare anche a centinaia e centinaia di euro. La finta gratuità del titolo è la base psicologica sulla quale un gioco può raggiungere il successo o meno, al quale segue poi una fonte di guadagno enorme.

Raggiungere il livello massimo su Clash of Clans diventa eterno, senza pagare.

Prendiamo ad esempio uno dei giochi mobile più famosi e conosciuti di sempre: Clash of Clans. Il titolo di per sé è gratuito e permette a chiunque di cominciare a giocare senza spendere un centesimo. Arrivati ad un certo punto, però, il gioco è costruito e pensato per rallentare gradualmente la corsa del giocatore, obbligandolo a prendere una decisione molto importante per le tasche dell’azienda (e di conseguenza del giocatore) di turno:

  • Pagare per una cassa, un oggetto, della moneta virtuale e riprendere lo sviluppo del proprio villaggio/personaggio
  • Sottostare a tutti i limiti imposti e rispettare i lunghi tempi previsti per chi non paga

Ed è abbastanza ovvio come, raggiunta una certa soglia, un giocatore possa sentirsi quasi obbligato a spendere anche solo 1,09€ per acquistare un oggetto o della valuta. Titoli come AFK Arena richiedono addirittura 109,99€ per la microtransazione più costosa, così come il recente Pokémon Masters tocca quota 89,99€ di massima e 1,09€ di minima.

I vari pacchetti di microtransazioni di AFK Arena.

Per dovere di cronaca, è giusto sottolineare che esistono due tipologie di microtransazioni differenti:

  • Estetiche, in cui l’acquisto di oggetti e valuta all’interno dello store è utile solo al conseguimento di abiti e stili differenti per il nostro personaggio (ad esempio in Fortnite, o in Overwatch)
  • Classiche, che hanno un impatto reale sul gioco e che potrebbero cambiare le sorti di tutta l’esperienza (ad esempio Clash of Clans, Duel Links e altri)

Il potere esercitato dalle microtransazioni è tale che non solo ha conquistato l’intero settore mobile, ma ha anche raggiunto il mercato dei videogiochi classici. Il recente caso è quello che vede coinvolto NBA 2K20, estremamente criticato per le sue meccaniche definite “spillasoldi“, con tanto di slot machine interna. Un altro caso piuttosto interessante è quello di Battlefront II, il titolo Electronic Arts martoriato di critiche proprio per le microtransazioni che consentivano, a chi pagava, di avvantaggiarsi enormemente nel gioco.

Le microtransazioni di Battlefront 2 portarono diversi problemi a DICE.

L’arrivo delle microtransazioni sul mercato videoludico classico ha avuto una tale risonanza da aver costretto determinate aziende a tentare di limitarle il più possibile, rendendole più trasparenti e meno “obbligatorie“. Microsoft, Sony e Nintendo rientrano tra queste aziende, e tutt’ora tentano di non immischiarsi troppo con queste meccaniche.

La stessa Nintendo ha dichiarato più volte di non essere particolarmente interessata al guadagno dalle microtransazioni, sia in occasione del rilascio di Dragalia Lost che di Pokémon Masters. C’è, però, una verità doverosa da sottolineare: mentre Dragalia Lost è sotto il totale controllo di Nintendo (per accordi presi con DeNa), Pokémon Masters invece no, e da qui nascono le differenti visioni sulle microtransazioni più invasive sul secondo titolo rispetto al primo.

Troppa poca trasparenza negli acquisti

Un ulteriore problema delle microtransazioni, tipiche appunto di titoli mobile e ancora peggiori nei titoli definiti “Gacha“, è la ben poca trasparenza che essi offrono ai propri consumatori.

Prendiamo ad esempio proprio Pokémon Masters: spendendo 1,09€ è possibile aggiungere al proprio portafogli virtuale 100 gemme, la valuta virtuale del gioco. Queste 100 gemme NON ci danno la sicurezza di pescare un personaggio di livello superiore a quello che avremmo potuto pescare usando le gemme normalmente cumulabili. Spendendo la bellezza di 26,99€, invece, si ha l’opportunità di avere un 5S garantito in un’estrazione di 10 personaggi, ma solo una volta per ogni profilo.

Solo una, solo una volta, al costo di 26,99€.

Entra in gioco, quindi, il fattore fortuna che determina la poca trasparenza delle microtransazioni, e che le rendono molto più vicine al gioco d’azzardo che ad altro. Così come in Overwatch è possibile acquistare casse dal contenuto sconosciuto, il Fire Emblem Heroes è possibile acquisire Orb da usare per evocare casualmente dei personaggi.

Le percentuali di estrazione, diverse tra i vari titoli ma sempre molto basse, sono il problema principale per cui le microtransazioni sono dannose. Mentre in Fortnite pagando X somma possiamo ottenere al 100% quella particolare skin, su Pokémon Masters abbiamo le stesse identiche possibilità di chi non sborsa un centesimo di pescare un personaggio forte o meno.

Esiste, inoltre, un ulteriore problema legato a tutti i tipi di microtransazioni, che siano esse quelle classiche o quelle puramente estetiche: l’IDENTIFICAZIONE SOCIALE. Tale fenomeno spinge i giocatori ad aprire il portafogli pur di accaparrarsi la skin in edizione limitata disponibile solo per poco tempo, per poterla sfoggiare con gli amici e avversari online.

La skin esclusiva portò moltissime persona ad acquistare il Galaxy Note 9, ma non solo.

Questo fenomeno è così potente da esser stato sfruttato anche da aziende esterne ai videogiochi per vendere i loro prodotti. Parliamo, ad esempio, di Samsung e della sua promozione in collaborazione con Fortnite per il lancio del Galaxy Note 9. Acquistando quel telefono era infatti possibile accaparrarsi una speciale ed esclusiva skin, introvabile altrimenti. E lo stesso è accaduto nuovamente con il Galaxy S10.

Call of Duty addirittura metteva in pubblica piazza la fase di apertura delle loot box, con la possibilità di assistere agli spacchettamenti in diretta. Tutte meccaniche che, poco per volta, non fanno altro che spingere il giocatore a trovare normale spendere soldi in microtransazioni.

Quanto guadagnano le aziende dalle microtransazioni?

Tanto. Sicuramente tanto. Ed è il primo motivo per cui esse continuano ad esistere. Tornando a citare Clash of Clans, Supercell è arrivata a guadagnare più di 6 MILIONI di euro al giorno. Avete capito bene, al giorno.

Andando a spulciare i rapporti sui guadagni conseguiti da aziende come Nintendo e Sony, scopriamo poi che anche queste ultime aziende hanno comunque un ritorno economico importante, per quanto indiretto (salvo i casi di produzioni interamente interne all’azienda in questione). Nel solo 2018, Nintendo ha guadagnato la bellezza di 348 milioni di dollari dal solo settore mobile, guadagni divisi alla base con le aziende che hanno prodotto i giochi.

I ricavi nei primi 3 anni di presenza sul mercato di alcuni dei giochi mobile più famosi.

Queste scelte possono avere anche risvolti positivi. Un guadagno sicuro su un titolo mobile comporta più soldi da spendere in esclusive ed investimenti per i mercati principali dell’azienda.

Esiste una soluzione alle microtransazioni?

Probabilmente no, e se ne è esistita una non l’abbiamo voluta. Prendiamo come esempio Super Mario Run, il primo titolo mobile lanciato da Nintendo su smartphone e tablet Android ed iOS.

La sua formula di gioco era (o è ancora) chiamata free-2-start, e prevedeva il lancio del titolo in formato gratuito con alcuni livelli liberamente giocabili. Raggiunto un determinato livello, per sbloccare gli altri era necessario pagare una cifra pari a 9,99€, così da ottenere l’accesso a ogni singolo contenuto di gioco senza dover più spendere.

Un solo acquisto forniva l’accesso a tutto il gioco, per sempre.

La formula, ovviamente, è stata ampiamente criticata da parte dell’utenza. Come detto sopra, i giochi su mobile sono generalmente free-2-play, o comunque hanno un costo estremamente contenuto rispetto alle controparti per console. Va da sé, quindi, che un prezzo di 9,99€ non è stato ben visto, creando un’enorme forbice tra il numero di giocatori che aveva scaricato il titolo (milioni) rispetto a coloro che avevano poi effettivamente acquistato la licenza per il gioco completo.

Un altro esempio è Monster Hunter Stories, titolo sbarcato inizialmente su Nintendo 3DS e successivamente su piattaforme mobile. Malgrado il costo sostanzialmente dimezzato rispetto alla versione 3DS (21,99€ rispetto ai classici 44,99€ del 3DS), i download sono stati poco più di 50k su Android. Considerando che su mobile la base d’utenza è sterminata (si parla di 2,5 miliardi di smartphone Android attivi in questo momento), si tratta sicuramente di un dato indicativo per la faccenda.

21,99€, un prezzo spropositato per il mercato mobile.

E il responso è, purtroppo, che noi stessi siamo i primi che non vogliamo veder sparire le microtransazioni, perché a fronte di una più massiccia ma unica spesa preferiamo accedere gratuitamente al gioco ma dilapidare soldi veri in microtransazioni costanti, arrivando a spendere molto di più di quello che avremmo speso una tantum.

Che strumenti possiamo usare per conviverci?

Fortunatamente, esistono diverse maniere per evitare di incappare nel rischio di cedere alle microtransazioni e dilapidare un capitale su un singolo gioco.

Anzitutto, la soluzione migliore potrebbe essere quella di selezionare i giochi a cui vogliamo giocare in base a quelli che meno attingono a questa pratica. Malgrado tutto, i titoli Nintendo sono tra quelli che meno fanno uso di microtransazioni, pur offrendo la possibilità di sfruttarle. In Fire Emblem Heroes, per esempio, sono molteplici le missioni che quotidianamente forniscono Orb, rendendo facilmente evitabili le spese aggiuntive.

Fate molta attenzione a quanto spendete.

Un’ulteriore soluzione è quella di evitare a prescindere giochi del genere, anche se questo vuol dire non giocare alla maggior parte dei titoli del momento. Addirittura Crash Team Racing: Nitro Fueled ha inserito le microtransazioni ad un certo punto.

Non collegare la carta di credito, ne PayPal, al gioco di turno potrebbe anche far del bene. In caso si parli di giochi mobile, legati quindi all’account Google/Apple di turno, imporre dei blocchi tramite account a questi tipi di acquisti risulterà sicuramente benefico.

E voi, cosa ne pensate delle microtransazioni? Siete pro o contro a questo metodo?

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Grazie agli amici Pietro Spina e Riccardo Cap” per il prezioso supporto nella creazione di questo lungo approfondimento.

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