Sindrome di PERSONAlità multipla

Sono un fan sfegatato della serie Persona. Ho giocato Persona 5 su Playstation 4 e ho recuperato Persona 4 Golden e Persona 3 su Playstation Vita. Ho anche una discreta propensione per i brawler, i giochi dove si mettono da parte i combattimenti a turni (quelli di un JRPG classico) e si comincia a menare le mani, quasi come in un picchiaduro a scorrimento old-school.
Questa premessa è fondamentale per capire l’approccio con cui mi sono avvicinato a Dusk Diver (gioco nato dall’early access di Steam), che dai primi trailer mi appariva come uno stilosissimo JRPG, con combattimenti fortemente action e quindi “brawler style”. Purtroppo, dato che il massimo che ci attende su Nintendo Switch (al momento) è un Persona in stile “musou” (lo stile di Hyrule Warriors, in cui un vostro colpo può abbattere file intere di nemici) probabilmente, vedendo il trailer di questo Dusk Diver avrete come me intuito che poteva rappresentare una “hidden gem”, una perla nascosta che tenta di unire i due generi sopracitati, creando qualcosa di nuovo, seppur con un budget e delle risorse più limitate.
Tuttavia, per quanto JFI Games e PQube vestano lo stile delle opere Atlus, l’abito non ha esattamente fatto il gioco, in questo caso. In questa recensione cercherò di farvi capire perché il titolo non sia eccellente, ma anche qual è il giocatore che potrebbe apprezzare quest’opera e a cui l’opera realmente si rivolge.

Dusk Diver è la storia di Yuma, una simpatica studentessa con quell’ingenuità e sfrontatezza tipica da JRPG, che capisce di poter attraversare spaccature dimensionali per il mondo delle divinità/mostruosità di Taipei, lo Youshanding. Yuma si ritrova nel bel mezzo di una guerra tra gli antichi dei di Kunlun e dovrà cercare di capire perchè questi stiano invadendo la nostra dimensione.
Purtroppo la trama non è delle più originali, benché i personaggi ce la mettano tutta per farsi apprezzare e qualcuno risulti anche estraneo ai tipici cliché (Leo, una divinità – gangster con istinti paterni, una specie di Wolverine con un ripieno di tenerezza) l’intreccio fatica a rapirci, anche e soprattutto per via di una traduzione dei sottotitoli in inglese (il doppiaggio è solo in cinese e giapponese) quantomeno frettolosa e grottesca in alcuni passaggi. Anche se non mi aspettavo l’audio e i sottotitoli in italiano, penso che per un buon JRPG i testi in inglese dovrebbero rappresentare la base.
Sembrava fosse un brawler, invece era un musou!
Ciò che, a mio modo di vedere, voleva essere la caratteristica che differenziasse Dusk Diver da un RPG classico a turni, era la svolta action dei combattimenti, ma anche qui, le scarse risorse sembrano aver tolto un po’ di respiro a ciò che avremmo potuto stringere fra le mani.

Il sistema di combattimento, infatti, è piuttosto articolato e attraverso combinazioni di attacchi leggeri e pesanti potremo riempire la barra degli attacchi speciali: questi molto spesso stordiranno il nemico, così da permettervi di ripartire con una nuova combo, nella ricerca di un circolo virtuoso; inoltre, potremo attaccare richiamando la divinità che ci accompagna di missione in missione (ne possiamo avere fino a quattro, ma ci è permesso utilizzarne solo una per volta ), rilasciando un attacco simile a quelli che avvengono nei picchiaduro “tag team”, magari creando un diversivo che vi permetterà di far scorrere ulteriormente la vostra combo. Molto gradita la presenza della schivata perfetta con conseguente rallentamento in stile “bullet-time” dei nemici.
A uno sguardo più attento però, non si tratta neanche di un brawler in senso specifico, ma quasi di un musou, in cui molti mob subiranno i vostri colpi contemporaneamente: in questo senso è consigliabile ed utile padroneggiare il lock dell’avversario principale, altrimenti spesso le abilità e le tecniche impiegate andranno a vuoto. Sarà poi possibile sbloccare nuove combo e mosse guadagnando esperienza (le opzioni sono comunque minime) e mangiando fino ad ingozzarsi in ciascuno dei locali che sbloccheremo in Ximending.

Le possibilità offerte al giocatore si infrangono, tuttavia, contro una varietà di nemici e di mob, per la precisione, che conta veramente tre/quattro elementi salvo i reskin. I boss invece sono tutti diversi e spettacolari, ma comunque molto facili da abbattere.
Il titolo è realizzato in Unreal Engine ed è molto convincente in hand held, ma non superdefinito a livello di texture (come ci hanno abituato i Bayonetta) in docked. Questo lascia l’amaro in bocca, perchè l’ambientazione principale è appunto Ximending, famosissimo shopping district di Taipei e si concentra in poche vie piene di negozietti, locali, bancarelle e piazze. Questa concentrazione avrebbe beneficiato di una realizzazione più particolareggiata di ogni singola zona ed invece il tutto rimane abbastanza piatto e anonimo e non definisce quelle caratterizzazioni che sarebbe lecito aspettarsi in una mappa comunque piuttosto ristretta.
I compromessi si vedono quando il motore di gioco non mostra grande profondità di campo e tende a dipingere i personaggi non giocanti come sagome colorate che riguadagnano dettagli man mano che ci avviciniamo a loro, ma che nell’interazione diretta mancano dei tratti somatici fondamentali. Sembra quasi di parlare con dei parallelepipedi vuoti e questo certo non aiuta l’immedesimazione nelle quest, che consistono quasi sempre in “porta l’oggetto dal punto A al punto B”, “visita questi shop”, “uccidi il nemico x” o, per brevità, segui la mappa finché non vedi un punto interrogativo e troverai ciò che cerchi.

Il gioco cerca di farvi esplorare la città bloccando l’accesso ai portali dimensionali se non si è in possesso di un certo numero di Dragon Vein Stone, artefatti opportunamente sparsi all’interno dei negozi e delle strade, ottenibili anche rigiocando i livelli precedenti per completarli al grado massimo: per ovviare a questa meccanica costrittiva, probabilmente consci del fatto che avrebbe solo portato ulteriore ripetitività, i programmatori hanno inserito il Tao Master, personaggio non giocante che sarà possibile pagare per farvi indicare la location di alcune delle suddette pietruzze.
Quando passiamo all’interno delle fenditure, la città si trasforma e si spoglia totalmente, probabilmente per porre l’accento sui combattimenti, e l’uso e il riuso delle stesse zone è purtroppo evidente. A niente servono alcune sezioni platform, se non a diluire l’esperienza e a tentare di variarla, ma spesso generando solo frustrazione a causa di un level design povero di sfida e poco ispirato, al servizio di una caccia ai collezionabili e al massimo rank in ogni livello. Un minimo di varietà si ottiene quando il titolo introduce l’elemento atmosferico della pioggia, in livelli che comunque abbiamo già percorso una buona decina di volte. Anche le tracce della colonna sonora sono sempre le stesse due/tre a seconda che ci troviamo in combattimento, in città o in un negozio.

Una meccanica interessante è quella della relazione con le divinità di Youshanding, la versione ultraterrena di Ximending, con cui sarà possibile condividere delle esperienze conviviali che ci faranno accedere a nuove tecniche di combattimento. Quali sono dunque le mille possibilità offerte a livello relazionale? Andare a pranzo nel nuovo ristorante all’angolo, sorbire i nuovi shakes della catena all’ultima moda oppure andare al coffee shop. Un po’ poco nevvero? La relazione con le divinità si manifesta tramite pesanti massime e risposte puerili, snocciolate quasi esclusivamente di fronte a tavole imbandite e questo, per quanto contemporaneamente kawaii ed introspettivo, è quanto ci dobbiamo aspettare a livello di interazione.
Cosa è dunque Dusk Diver?
E’ un ibrido tra un JRPG e un brawler, ma dal forte accento musou. Nessuna delle meccaniche che tenta di inserire è originale e nessuna è particolarmente riuscita, anche se l’idea di un gioco di ruolo giapponese in cui si picchia a mani nude (in stile “Tales of”), anziché lanciare spells ed evocazioni a turni, avrebbe rinfrescato il panorama. Nel momento in cui sbloccherete tutte le meccaniche vi accorgerete di essere arrivati al termine di un titolo che, senza affrettarsi troppo e dedicandosi a qualche missione, vi intrappolerà tra santi e falsi dei per circa otto/dieci ore.
Cosa avrebbe potuto essere Dusk Diver?
Dusk Diver potrebbe rappresentare una hidden gem per chiunque si ritenga fan di almeno una delle meccaniche e dei mille giochi citati in questa review, per chi ama il “waifu material” e per chi cerca qualcosa di nuovo. Se solo ci fosse stato il tempo, e il budget per realizzare qualcosa di più completo, eliminando magari qualche meccanica abbozzata (il platforming e gli enigmi ambientali) e concentrandosi sul core gameplay, aggiungendo maggior dettaglio e personalità a Ximending, staremmo parlando della hidden gem dell’anno e di un qualcosa di totalmente unico.

La mia speranza (rappresentata dal voto che vedete e che voleva essere più basso) è quella di incoraggiarvi a provarlo, magari nel momento in cui subirà un corposo sconto, così che il progetto venga supportato e possiamo avere come seguito il gioco che volevamo e non un mix confuso dove le chiare ispirazioni gettano ombra sulle reali potenzialità innovative del progetto.
Il crepuscolo degli dei, in questo caso, non è certo il crepuscolo delle idee e al di là del bene e del male, servirebbe solo un po’ più di cura, tempo o maggiori risorse.