Uno…Due…Tre…PARTY?
Ci sono serie che non ottengono il successo che meritano ma che vengono riproposte di tanto in tanto perché partono da un’idea vincente, che deve solo sbocciare nel giusto contesto: il periodo di uscita, la console destinata o un marketing mirato sono tutti mezzi che possono determinare o meno una buona accoglienza da parte di pubblico e critica.
L’idea di Scribblenauts era così brillante che bastava cucirci il gioco attorno: immagina di poter creare, o meglio evocare, qualsiasi cosa ti passi per la testa. Basta scrivere il nome dell’oggetto, l’animale o il personaggio che vuoi far comparire e ZOT! (non è un fulmine, è l’onomatopea che mi immagino ogni volta, e che solo per coincidenza è la stessa del fulmine, niente di strano) Eccolo lì.
Scribblenauts è sempre stato un puzzle game finora, con un approccio curiosamente sandbox. Lo stesso puzzle può essere risolto seguendo un ragionamento dettato dalla logica, evocando il giusto oggetto da usare in maniera ortodossa, o asfaltando completamente il livello (e ciò che contiene) evocando un lanciarazzi. Ovviamente il risultato è sempre demenziale ed è questa gioiosità genuina che rende Scribblenauts piacevole in ogni sua iterazione. Fino a Scribblenauts Showdown.
Questo spin-off si offre di estendere la formula della serie al divertimento multiplayer, fallendo a più riprese nel tentativo di riuscirci. Le modalità multigiocatore principali sono due: Versus e Resa dei conti. Nella prima si affrontano una serie di round di mini-giochi 1vs1 (umano o cpu), la seconda modalità estende il divertimento a quattro giocatori dotandolo anche di un tabellone in stile gioco dell’oca (non scomodiamo Mario Party per cortesia) e affidando il movimento a una mano di carte anziché all’alea del dado.

Io non demonizzo la formula dei minigiochi, a partire da Wario Ware per finire a 1-2 Switch, il genere è pieno di punti di riferimento a cui affidare la propria serata tra amici, ma quando puntare ai casual è una scusa per confezionare un prodotto svogliato, si inizia a intuire perché i giocatori abituali sentano puzza per ogni cosa finisca con “party”.
I minigiochi sono di due tipi: con le parole e veloci. I primi chiedono di scrivere il nome di un oggetto che possa aiutarci durante la partita, e se si rispetta la categoria richiesta si è più (o dovrebbe essere così) avvantaggiati. Il secondo tipo di minigiochi invece non richiede l’inserimento delle parole. Alcuni minigiochi sono chiaramente più ispirati di altri (uno a base di pesca dal gameplay simile al classico arcade frogger, o quello del bar coi clienti da servire che ricorda Tapper), altri lo sono meno (il gioco di ballo, la corsa a chi arriva primo), uno è squallido e di cattivo gusto (la gara di cibo, con i personaggi che vomitano in stile Griffin).

In generale, la mancanza di cura risiede tanto nel concept iniziale che nella realizzazione in sé e anche quando la semplicità è il punto di forza del minigioco, c’è qualcosa che non va. Intanto c’è da dire che usare l’analogico+tasto azione per scrivere le parole è legnosissimo e si è spinti a scrivere meno possibile o a usare una parola suggerita per scacciare il tedio, annientando lo stimolo alla fantasia, ovvero l’anima della serie. Questa mancanza di coerenza si estende all’intera produzione.
C’è una specie di picchiaduro in stile smash bros, ma se evochi una zucchina fai gli stessi danni di una spada. Il minigioco di ballo ti chiede di premere tasti in sequenza, ma non è nemmeno necessario andare a tempo, anzi la musichetta è in sottofondo, quasi si vergognasse di partecipare allo scempio.

La modalità Showdown, che dovrebbe essere la parte più succulenta, svela subito la sua pochezza con la mancanza di variabili durante il percorso e alcune carte hanno degli effetti sgravissimi (una carta che mette al centro del percorso tutti i giocatori, anche se uno di questi era vicinissimo al traguardo? Sul serio?) e c’è sempre il rischio che la partita vada in stallo e si spenga tutto sull’onda del “tanto questa partita non finirà mai”.
C’è ancora una modalità di cui parlare comunque, quella che solleva il giudizio dal disastro: la modalità Sandbox, che praticamente è il classico Scribblenauts(o meglio, una sua riduzione), in cui si cerca di rendere la gente felice e risolvere altri puzzle all’interno di alcuni livelli. Il gameplay classico della serie qui riluce e riesce a divertire, ma è praticamente una modalità single player. Certo, può partecipare anche un altro giocatore, ma a parte il tedioso split screen, il vostro amico può anche rovinarvi l’esperienza uccidendo un NPC che serve a risolvere un puzzle ad esempio.

E anche questa modalità non è esente da pecche: a volte non si capisce cosa fare; c’è la presenza di un indizio per ogni task, ma andare nel menù per avere un indizio, magari anche vago, non è il massimo del divertimento, e il gioco non ti dice nemmeno se non puoi più risolvere un puzzle, lasciandoti andare a vuoto per chissà quanto tempo. I controlli infine sono strani, con le azioni posizionate in maniera insolita senza alcuna ragione, quasi si fossero dimenticati che ruolo abbiano gli stessi tasti negli altri giochi.
Alla fin fine ci si può anche divertire, la modalità Sandbox non è male, e giocare contro gli amici è quasi sempre divertente, anche con il peggiore dei giochi. Ma quello che è imperdonabile, ancora più della noncuranza con il quale è stato eseguito tutto, è proprio la mole di contenuti che è scarsissima. Nel giro di un’oretta avrete già visto i “nemmeno” 30 minigiochi, la modalità sandbox ha solo otto livelli, e tutti gli sbloccabili sono poca cosa seppur numerosi. Non sono solito attribuire molto peso alla quantità, piuttosto che alla qualità, ma qui avrebbe senz’altro inciso.
Sicuramente Scribblenauts Showdown non è il peggior gioco su Switch, ma probabilmente, dopo lo schiaffo in faccia della mancata localizzazione di Scribblenauts Unmasked: A DC Comics Adventure per Wii U, è un pugno allo stomaco per i fan della serie.