Crepa, crepa, crepa, crepa, crepa…
L’ascesa negli inferi abbiamo imparato a conoscerla benissimo durante i nostri studi nel corso degli anni delle superiori. L’epopea di Dante è forse la più celebre della storia della letteratura. Quella di id Software e di Doom ha fatto scuola e l’ultimo capitolo, appena arrivato su Nintendo Switch grazie alla conversione ad opera di Panic Button, riporta in auge il brand lo trasporta nella modernità e prova ad innovare meccaniche del genere in maniera del tutto originale.
L’incipit del titolo è secco, così come tutta la trama narrata attraverso intermezzi animati in grafica in game che illustrano a grandi linee cosa sta accadendo nel mondo di gioco. Una manciata di personaggi si scambiano battute, che poco arrichiscono l’esperienza del giocatore, attraverso ologrammi sparsi qua e là per i livelli. Olivia Pierce, il CEO della UAC, ha utilizzato un portale interdimensionale nato con lo scopo di risolvere i problemi energetici della terra per aprire le porte dell’inferno. Tutto il background narrativo e l’ambientazione possono essere approfonditi attraverso le decine di collezionabili che costituiscono una sorta di enciclopedia omnia di tutto ciò che è presente nel gioco di id Software. Raccogliere tutti gli oggetti da collezionare è un impresa titanica tra potenziamenti per le armi e l’armatura, scene olografiche, pupazzi del Doomguy nascosti nei meandri di ogni stage e sfide opzionali che sbloccano rune per potenziare ulteriormente le abilità del personaggio principale.
Il titolo è organizzato in missioni, ognuna delle quali scandita da violentissimi scontri a fuoco, qualche fase platform e tantissima esplorazione. La prima cosa che viene in mente dopo aver affrontato i livelli del gioco, volendo applicare i canoni da “giocatore Nintendo” al lavoro della software house americana, è Metroid Prime. C’è qualcosa nel level design e nella genialità del gameplay che rimanda irrimediabilmente ai lavori di Nintendo: sarà l’esplorazione e il backtracking per trovare alcuni oggetti o forse sarà la pulizia delle meccaniche, ma c’è qualcosa nel titolo di id Software che mi ha fatto sentire a casa.
Il gameplay appunto: zuffe violentissime a colpi di proiettili con i demoni più disparati, ognuno con un move-set ben definito, con tecniche d’ingaggio diverse, con punti deboli ben chiari. Muoversi in continuazione è l’imperativo categorico e restare fermi per qualche secondo vuol dire andare incontro a morte certa. In Doom bisogna muoversi di continuo e dare sfogo ad ogni bocca di fuoco a nostra disposizione, squartare i demoni per recuperare munizioni e proseguire verso la prossima stanza. Il macabro balletto che si viene a creare raggiunge il suo culmine in una meccanica di gioco davvero geniale.
I ragazzi di id Software invece di fare affidamento su un gameplay basato sulle coperture, come avviene nella quasi totalità dei giochi d’azione moderni, e su una rigenerazione costante dei punti vita del giocatore quando a riparo, hanno ben pensato di premiare le azioni più spettacolari e azzardate: per recuperare vita velocemente è necessario fare delle esecuzioni corpo a corpo dopo aver indebolito i nemici. Mostrare il fianco nei momenti di difficoltà per cercare di ottenere la salvezza. Una meccanica geniale che spinge il giocatore a rischiare tantissimo, costi altissimi in caso di fallimento ma benefici vitali in ogni scontro.
Ogni combattimento inoltre conferisce dei punti che a fine livello si trasformano in dei token da spendere per potenziare le armi. Uccidere ed esplorare si mischiano in un circolo vizioso di divertimento che è davvero raro trovare al giorno d’oggi. Un titolo che si basa tutto su meccaniche ben oleate e collaudate, con uno sprazzo di innovazione per rompere un po’ i canoni del genere.
Tutta la struttura ludica è poi arricchita da una sovrastruttura tecnico-artistica di livello. Le ambientazioni del gioco sono estremamente suggestive: le strutture della UAC, un conglomerato industriale, sono enormi, piene di stanze segrete e con effetti grafici che arricchiscono ogni situazione, l’inferno è suggestivo, mai banale e pieno di iconografie sinistre che arricchiscono l’impatto sul giocatore. Si passa da scontri a fuoco in hangar iper-tecnologici a scorribande nella bocca di antichi titani giganti ormai morti e ridotti a ossa.
La colonna sonora, sebbene non mi abbia entusiasmato, ha i toni giusti per supportare un’esperienza del genere: estremamente adrenalinica: non perde un colpo e accompagna molto bene ogni scontro a fuoco. Peccato per qualche bug audio qua e la.
Il gioco su Nintendo Switch è, considerata la potenza e la natura della console, un mezzo miracolo. Il titolo è intatto, senza compromessi sul piano prettamente ludico ed estremamente gobile. È vero: il ritmo di refresh dello schermo è dimezzato rispetto alla release per le altre console ma comunque i trenta fotogrammi al secondo sono abbastanza stabili e rendono abbastanza giustizia al gioco su una console così limitata. È altresì rilevante segnalare che il gioco rende molto, ma molto, di più in modalità portatile, laddove la riduzione della risoluzione è meno palese grazie alle ridotte dimensioni dello schermo della console. In “modalità TV” il gioco mostra il fianco di continuo con le texture poco definite e un FOV molto ridotto. Il sistema di controllo si adatta bene sia in modalità portatile che in modalità fissa, anche se ovviamente giocare il gioco con con il Pro Controller restituisce un’esperienza più precisa. Personalmente ho affrontato la campagna del gioco interamente in modalità portatile senza dover scendere a compromessi ad un livello di difficoltà medio. Purtroppo il gioco non supporta il touch screen per navigare nei menù né i sensori di movimento per la visuale in nessuna modalità. L’HD rumble invece passa inosservato.
Ci tengo a sottolineare che il titolo propone anche una modalità arcade, perfetta per una partita veloce sul pullman, e una splendida, ricca e rifinita modalità multiplayer online. Giocando con altri giocatori via internet è possibile cimentarsi in tantissime modalità di gioco, con una quantità infinita di mappe e con un livello di customizzazione dei personaggi davvero gradevole. La modalità che più ho avuto modo di provare è il deathmatch a squadre: la formula classica della modalità è stata cambiata con l’introduzione delle evocazioni. Chi riesce ad appropiarsi di una runa demoniaca, che compare in punti prestabiliti della mappa, trasforma il proprio personaggio in una delle bestie più temibili della modalità single player: dal Revenant al Pinky passando per il Barone infernale. Ognuno dei demoni ha abilità specifiche che permettono al giocatore di mietere un gran numero di vittime.
Probabilmente l’esperienza multi giocatore online più completa disponbile su Nintendo Switch.
Il gioco è di ottimo livello, mancano dei veri e propri difetti, tenendo da parte gli ovvi e inevitabili compromessi sul reparto tecnico che però non minano l’esperienza di gioco. Però mi duole muovere una critica sull’impostazione del gioco in sè, e quindi probabilmente sulla formula del gioco stesso (sacrilegio). Nella sua estrema semplicità e limpidezza, nelle sue meccaniche tarate al millimetro, con la sua profondità di contenuti, il gioco mi sembra mancare sul piano dello stupore. Non c’è mai un momento in cui mi sono davvero emozionato, un momento che mi è davvero rimasto scolpito nella mente in termini spettacolarità. Mi sarebbero bastati più boss o scontri realmente memorabili in termini di messa in scena per farmi apprezzare ancora di più un titolo che probabilmente è esente da difetti. Non fosse una serie ormai ben presente nell’immaginario moderno si potrebbe dire che questo capitolo di Doom è un ottimo punto di partenza per eventuali sequel.
Un prodotto fedele alle sue origini che si prende il rischio di sperimentare con meccaniche nuove, con un multiplayer completissimo, ma che manca di una spinta creativa che personalmente avrei gradito. Questa iterazione di Doom è da non perdere, che la giochiate su Nintendo Switch o su altre macchine. È un’esperienza che merita di essere vissuta.