Esce il SuperNES: siamo nel 1990? Forse sì
Ci risiamo, altro giro, altra corsa. Vedo già masse di retrogamer incalliti pronte a denigrare il nuovo giocattolino nintendoso e fiumi in piena di acquirenti che entrano in tackle nei gruppi di discussione per difendere il prossimo acquisto, apportando come valide argomentazioni la qualità dei giochi, l’offerta conveniente, il poterci giocare comodamente su qualsiasi schermo che non abbia le dimensioni e il peso di un cucciolo di rinoceronte, orgogliosamente tronfi manifestanti del diritto di giocare 24:7 senza doversi sentire in colpa di alcunché.
Valgono tutti i discorsi fatti in occasione del Mini-NES, di cui avevo già parlato proprio in questa rubrica a suo tempo. Anche in questa occasione troviamo un nutrito catalogo di giochi, venti più uno, tutti capolavori e anche in quella occasione avevo espresso come l’iniziativa era un successo annunciato, al contrario di altri toy-game-tv, perché Nintendo ha saputo curare bene le sue IP nel corso del tempo. Discorso che regge tuttora, perché se si parla spesso di F-Zero, un gioco il cui ultimo episodio risale al 2004, un motivo ci sarà.

Il tocco in più? L’inedito. Questo The Best of, che come ogni raccolta di successi aprirà sempre l’annoso dibattito su quali canzoni includere e quali togliere, comprende Star Fox 2, un titolo che i più scafati avranno sicuramente giocato con altri mezzi, sulla cui legalità non metto bocca, ma che il grande pubblico non ha mai visto. Torto non proprio riparato, ma meglio che niente, con tanto di sviluppatori dell’epoca che festeggiano e si incontrano chissà dopo quanti anni che non si vedevano, uno sviluppo finito a tarallucci e vino, o più letteralmente a sushi e saké.
I am #DrinKING with Star Fox 2 Fellows.@dylancuthbert pic.twitter.com/oak5WyfTq0
— SWERY (Swery65) (@Swery65) June 27, 2017
Nonostante questo i retrogamer hanno ragione a manifestare rimostranze perché prodotti del genere alimentano la confusione verso il loro mondo, fatto di recuperi difficili, fedeltà all’originale e tanta dedizione (ed esborsi monetari non indifferenti). Il target di Nintendo Classic Mini: Super Nintendo Entertainment System (e anche per quest’anno l’ho scritto per intero in un pezzo almeno una volta, obiettivo raggiunto) non è il retrogamer duro e puro ma il quel gamer che vuole recuperare determinati titoli nella maniera più comoda possibile, e/o l’appassionato che conosce già buona parte quei titoli e si porta la nuova-ma-vecchia mini-console nella baita in montagna per pestare i propri amici a Street Fighter 2 nel caso una bufera impedisca l’escursione (o il corrispettivo estivo in spiaggia fate voi), e con la scusa recupera qualche perla del passato che non ha ancora giocato.
Da questo punto di vista questo super nintendo in miniatura è l’ennesima occasione mancata. Magari sarò un po’ ingiusto a tacciare Nintendo che forse più di tutte si prodiga a svelare particolari dello sviluppo dei propri giochi, nonostante durante l’arco dello sviluppo segretezza sia la parola d’ordine. Nintendo infatti non si sottrae alle conferenze GDC, spesso diffonde filmati con gustosi aneddoti raccontati dai propri sviluppatori divertiti, e solitamente non ci sono tantissime altre software house, soprattutto giapponese, disposte a scavare in profondità e a riportare alla luce i propri segreti riposte nelle scartoffie d’archivio e nelle labili menti umane di chi ha lavorato al gioco. Tacciare di cosa? Di immobilismo.

Ma il tema videogiochi = cultura non è morto con le riviste cartacee negli anni ’90? Beh forse sì. E anche no. Io ci credo ancora. Io credo ancora che il videogioco possa avere una sua identità culturale alla pari di cinema, musica e perché no, libri. Chiaramente bisogna soppesare bene quest’affermazione. Il videogioco non sarà mai letteratura, ma non vuol dire che non possa avere intenti letterari. Il videogioco non sarà mai arte. Ma può avere aspirazioni artistiche. Sì, il videogioco è soprattutto gioco e quindi divertimento, intrattenimento spicciolo e industria, ma lo stesso non si potrebbe dire degli altri media già citati? Cosa manca allora al videogioco per fare il grande passo, per avere una categoria dedicata in ogni agenzia di stampa? Semplice: una presa di coscienza.
“Il cinema racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica.” Akira Kurosawa
Lo stesso vale per i videogiochi: abbiamo dei modellatori che scolpiscono poligoni virtuali, dei disegnatori che si occupano del character design e di molto altro, compositori che creano melodie ad hoc, spesso affidandosi a musicisti esperti o addirittura a orchestre nell’esecuzione delle sue partiture, degli sceneggiatori che mettono in piedi una trama e tanto altro ancora. Insomma se c’è un media che riunisce numerosi talenti e artigiani è proprio il videogioco. Com’è possibile che il mondo intero, soprattutto nell’ambito dell’insegnamento e della formazione degli individui, vedano ancora il settore gaming come un gigantesco fast food che ingrassa imbecilli rei di non scegliere un’alternativa gastronomica più salutare come ascoltare Chopin o i Beatles?

Forse mancano i geni in grado di leggere e spostare le geometrie, ed elevare il media come Bob Dylan e Leonard Cohen hanno fatto nel loro ambito, consapevolmente o meno? Probabilmente annoveriamo già grandi menti, sviluppatori geniali che hanno buttato giù le regole per l’apparizione degli oggetti rari in Bubble Bobble, o che hanno spostato i confini toccando tematiche più mature. Ma se una cosa è certa, è che l’industria non ne fa un gran parlare. In parte non abbiamo un settore giornalistico in grado di indagare sul perché delle cose e di fare le domande più ficcanti (con rare eccezioni come Retrogamer ed Edge o le interviste per Time, ma già solo il fatto di dover citare una rivista non specializzata…) a gente di interesse, in parte le stesse aziende si limitano a trattare il frutto dei propri creatori come meri prodotti. Che è quel che sono, intendiamoci, ma forse un libro è solo un articolo in un supermercato? O un blu-ray è solo merce sullo scaffale?
Per quanto la 20th Century Fox promuova i propri film, organizzando interviste ed eventi in occasione e/o ancor prima del lancio nelle sale, e inserendo poi documentari ed extra succosi sulle lavorazioni nel blu ray, forse sono più gli appassionati a cucire letteratura addosso alle sue produzioni. Sono i critici a scrivere libri, giornalisti a scrivere dossier, studenti a comporre tesi, appassionati a imbastire fansite e gruppi social. Ed è grazie agli appassionati che oggi un ENORME patrimonio di giochi non solo non è andato perduto, ma è addirittura fruibile da chiunque. Le aziende, sempre in prima linea a difendere le proprie IP, a volte mettendo alla berlina iniziative senza scopo di lucro(chi si ricorda il cortometraggio live action italiano di Metal Gear Solid?), sono le prime a tacciare la scena dump di pirateria, ma forse è grazie a questi che Star Fox 2 (e tanti altri) è sopravvissuto, ed è capitalizzabile ai giorni nostri. La preservazione dei giochi, oggi più che mai con l’affermazione del digital delivery e del suo fallace catalogo con giochi rimossi all’improvviso, è un argomento tremendamente attuale e di cui nessuna azienda si fa carico. Che poi la scene si sia mossa su spazi d’ombra è innegabile, ma anche grazie al cielo per averlo fatto!

Essendo il videogioco un’industria in cui vige molto riserbo, per ovvi fattori come la difesa delle proprie tecniche di programmazione dalla concorrenza (e altri), chi non lavora nel settore può informarsi solo a un certo punto. In questo periodo storico ludico sono sempre di più i visual compendium, gli artbook, la letteratura di approfondimento in arrivo sul mercato, anche grazie alle piattaforme di crowdfunding che permettono a giornalisti e semplici appassionati di avere quella spinta economica necessaria per confezionare il prodotto finale. Il fatto che Nintendo abbia curato le proprie IP e la propria storia non deve portarci a pensare che l’intento sia genuinamente sano, ma al contrario l’interesse è puramente commerciale. Se le sue IP non si perdono per strada, sono ancora commercializzabili in varie forme.
E il progresso culturale del settore non può certamente passare da una caffettiera android con le rom installate. Ma pensate se questo oggetto da collezione avesse incluso anche un libro con retroscena su ogni singolo gioco, art book che ripropongono documenti di repertorio, minidocumentari video e altri contenuti che possano portare un po’ di sapere, conoscenza sulla materia in più. E poi ancora, ancora e ancora con altri prodotti o iniziative che alzino l’asticella verso l’alto, fino a quando l’immagine associata alla parola videogiocatore non sarà più quella del nerd inquietante grasso e brufoloso, ma una più simile a quella che abbiamo in mente quando pensiamo a un lettore di libri.
Pensate se un giorno possiate sedervi a tavola e vostro padre o vostro fratello parlassero di Rhythm Tengoku anziché di calcio. Pensate se vostra moglie accendesse la tv e lasciasse su un notiziario o un rotocalco a tema videogiochi. Pensate se andaste in biblioteca per poter prendere in prestito una cartuccia nel Neo Geo. Pensate a un mondo migliore che invecchia di meno, perché gioca. Ed invecchia bene, con le musiche di Koji Kondo a far da cornice a una vita migliore. Pensate a Nintendo come a un patrimonio dell’umanità e teniamoci per mano al prossimo raduno streetpass, consapevoli di vivere per la pace e per la gioia.