Ogni storia ha un eroe e un cattivo da sconfiggere per ristorare la pace nel regno e questa storia non fa certo eccezione. The Plucky Squire è una collana di racconti per l’infanzia che ha per protagonista il coraggioso scudiero del titolo, un bambino sì, ma già esperto nel brandire una luccicante spada, costantemente alle prese con Humgrump, il più classico degli stregoni malvagi, tanto potente quanto avido e perdente per natura. Ogni libro, ogni singola storia lo vede sconfitto e con le pive in saccoccia, questa volta però sembra avere un’arma speciale: la consapevolezza di sé.
Humgrump ha capito infatti di essere il personaggio di un racconto e con i suoi terribili poteri riesce a bandire (almeno temporaneamente) dal libro il nostro protagonista, che si ritroverà a lottare con i terribili pericoli che si nascondono nella cameretta di Sam, il bambino proprietario del libro, 10 anni appena compiuti ma tanta, tantissima immaginazione. Chissà se anche la cameretta di Jonathan Biddle e James Turner, fondatori di All Possible Future a cui dobbiamo il gioco, era colma di libri, miniature e vernice. Dev’essere stato senz’altro così.
Già dal primissimo trailer siamo stati conquistati dalle imprese della Mowjaw Gang, il trio composto dal già citato protagonista Jot, Trash, un troll molto metal, e Violet, un’apprendista strega con inclinazioni artistiche. Finora tanti videogiochi si sono professati maestri nello sperimentare il mix 2D-3D, ma The Plucky Squire porta questa tecnica a una nuova dimensione, integrandola non solo nel gameplay, ma nella trama stessa. Va da sé che “Rottura della quarta parete: the game” sarebbe stato un nome alternativo azzeccato.
Nel libro le azioni di Jot e della sua allegra brigata sono in 2D con visuale a volo di uccello e il combat system ispirato a Zelda, con tanto di azione rotatoria acquistabile, insieme ad altri potenziamenti (pochini a dire il vero), da una mercante occasionale. Si scorre di pagina in pagina e la portabilità di Nintendo Switch fa un gran lavoro nell’illudersi di avere tra le mani un vero e proprio libro, e talvolta anche un audiolibro, grazie alla voce perentoria di Philip Bretherton in funzione da narratore. Peccato solo che la localizzazione in italiano non sia presente, una mancanza che non aiuta certo l’immedesimazione.
L’eliminazione dei nemici non è l’unico requisito che garantisce l’accesso a una pagina successiva, anzi. Grande importanza ricoprono i puzzle, tutti ben congegnati e intelligenti. Le didascalie del racconto sono spesso composte da parole removibili e rimpiazzabili che vanno a modificare elementi di scenario. Le parole possono essere funzionali alla soluzione o semplicemente strappare un sorriso quando vanno a creare un effetto superfluo ma buffo. Questa attenzione ai dettagli è gradita e fa pensare a un gioco fatto di cuore, pensato per raccontare qualcosa che susciti emozione.
Non mancano puzzle più classici con pulsanti da attivare e casse da spostare, rinfrescati dalla già citata rottura della quarta parete. Sovente viene chiamata in causa l’abilità di Jot di sgusciare fuori dal libro per poterlo manipolare. Infatti, senza andarvi a spoilerare sorprese sfiziose, dopo qualche capitolo il mentore di Jot, Moonbeard, un mago a metà strada tra Mago Merlino e David Guetta, allenerà il giovane eroe all’uso di guanti magici con i quali può girare le varie pagine del libro per poi entrarvi tramite portali, passando da zona a zona, prelevando parole qua e là, ma non solo. Può anche socchiudere il libro per far scivolare elementi dello scenario, usare appositi timbri per bloccare o far esplodere determinati oggetti e altro ancora.
Fuori dal libro Jot non si “limiterà” a interagire con lo stesso, ma potrà esplorare liberamente la stanzetta di Sam. Fatta eccezione per sporadiche e francamente poco ispirate fasi stealth, qui l’azione è più simile ai classici Rare, con grande enfasi sull’esplorazione e un lieve platforming. Quello che emerge è la volontà di sorprendere costantemente il giocatore mentre viene raccontata una storia buffa ma con picchi emozionali toccati da personaggi carismatici e ben delineati.
The Plucky Squire è un gioco vitale, che con i suoi colori infonde gioia e sollucchera la mente con i suoi momenti più riflessivi, ma non è scevro da imperfezioni. Il character design fa pensare al fumetto tratto dalla serie Netflix Hilda, sia per lo stile, sia per lo humor che per le tematiche. Tuttavia, sebbene l’amicizia e lo scompiglio della guerra assumano un ruolo centrale nel racconto, è tutto troppo leggerino per poter fungere da spunti di riflessione. L’avventura del resto è abbastanza lineare e strutturalmente priva di sconvolgimenti drastici. Sembra insomma che non si sia voluto affondare il colpo, per proporre un videogioco più semplice e accessibile.
Nello start screen è possibile scegliere tra modalità Avventura e modalità Storia, con la seconda consigliata per godere del gioco senza preoccuparsi della sfida. È possibile perfino districarsi tra varie opzioni per facilitare ulteriormente il gioco, addirittura aggiungendo l’invincibilità, e altre possibilità offerte molto sporadicamente su console, ma che accolgono il mio consenso, soprattutto perché rendono accessibile il gioco anche a soggetti con disabilità o in situazioni particolari. Al di là di questo, anche la modalità Avventura è tutt’altro che sfidante.
I combattimenti richiedono un tempismo di facile assimilazione che ben presto si tenderà a ignorare dato che i cuori vengono elargiti in maniera chirurgica alla bisogna. I checkpoint sono altrettanto generosi, anche durante le boss fight, minigiochi che sono smaccati e gradevolissimi citazioni a grandi classici dei videogiochi come Punch Out o Rhythm Tengoku. Con tutto questo altruismo verrebbe da pensare che il gioco sia indirizzato verso i giocatori più giovani, eppure gli enigmi e una certa capacità di manovra richiesta in specifiche frazioni dimostrano il contrario.
Se proprio vogliamo poi mettere i puntini sulle i, nonostante abbia completato The Plucky Squire impiegando una decina di ore, tutte ugualmente valide, ho ancora delle riserve sulla fluidità dell’avventura nella sua interezza, con le già citate fasi stealth, noiose e poco originali, e alcuni enigmi che spezzano un po’ troppo il ritmo di gioco. Tutto questo non rovina un’esperienza che ritengo splendida e assolutamente degna di essere vissuta ma per dovere di cronaca devo anche approfondire gli aspetti tecnici del titolo.
Qui urge specificare che il codice gentilmente fornitomi dal publisher è quello per PC. Per giocare in maniera più simile all’esperienza Switch ho provato le impostazioni medie e il gioco si comporta bene, con 30 fps più o meno costanti, dove i meno non intaccano la giocabilità. Su Steam Deck si va di impostazioni alte, ma non con texture settate su Epic, poiché la gestione delle fasi 3D è troppo dispendiosa per la ram dell’handheld Valve. È certamente un peccato non poter godere delle impostazioni più elevate su entrambi i portatili, anche perché The Plucky Squire è davvero un gioiellino luccicante da ammirare meravigliati. Il gioco rimane comunque godibilissimo anche con qualche sfocatura in più e qualche effetto in meno, e aggiornamenti post lancio sono garantiti.
The Plucky Squire conquista il giocatore con la sua inventiva che passa attraverso trucchi narrativi, disegni accattivanti e gioiosi, colpi di scena persino su elementi mai messi in discussione, personaggi ammalianti, un tono generale molto leggero e sarcastico, specie nella narrazione e fasi ludiche soddisfacenti. Probabilmente il trailer svela più dettagli di quanti ne abbia voluti riportare in questa recensione, ma vi invito a giocare sapendo il meno possibile.
Si poteva chiedere poco di più a un’opera prima (giunta da veterani precedentemente in forze presso Game Freak e Onebitbeyond ma pur sempre opera prima) come The Plucky Squire. Marcare l’accento sulle relazioni tra personaggi e approfondire tematiche importanti ma appena scalfite. Infine, manca un po’ di equilibrio tra le vari fasi. L’esplorazione di Mojo in 2D e l’interazione con il libro sono le fasi più interessanti, mentre l’esplorazione della cameretta di Sam in 3D è meno briosa e affascinante, pur potendo annoverare alcuni dei momenti migliori, specie quando si naviga dentro tazze facendo amicizia con dinosauri e razzi parlanti. Forse qui è la trama a limitare un po’ le potenzialità del gameplay: la cameretta di Sam sta un po’ stretta a Jot, e chissà se vedremo mai un sequel in cui varcherà quella benedetta finestra per andare in città.
Forse osando un po’ di più sul fronte approfondimento tematiche avremmo avuto un capolavoro irrinunciabile, così abbiamo “solo” uno dei giochi più interessanti del 2024, e con idee tanto numerose e varie da allontanare lo spauracchio della vecchiaia.