Un viaggio in due dimensioni lungo quasi quattro decadi
Trentotto anni.
Un lasso di tempo enorme, un salto nel passato che ci porta all’anno 1986, un’epoca ormai lontana in cui buona parte della contemporanea generazione di videogiocatori non era nemmeno stata concepita come idea dai propri futuri genitori.
Un altro mondo, il periodo i videogiochi erano composti da pochi pixel, pochi ma sufficienti per emozionare e coinvolgere l’utenza, ancora di nicchia e ancora vista con sospetto e diffidenza.
Il 21 febbraio 1986, come titolo di lancio per Nintendo Famicom Disk System, periferica per Nintendo NES in grado di leggere i floppy disk, esce The Legend of Zelda, capolavoro creato da Shigeru Miyamoto e primo capito di una delle saghe più longeve, amate e qualitativamente rilevanti di tutta la storia del medium videoludico.
Trentotto anni dopo, nell’anno solare 2024 l’uscita di The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom rappresenta il ventesimo capitolo della saga, e ancora una volta, oltre alla possibilità finora praticamente inedita di utilizzare la Principessa come personaggio principale, promette di innovare e sorprendere, trasportando parte delle meccaniche di Breath of the Wild e Tears of the Kingdom in due dimensioni.
Ma ci sarà tempo per parlare della nuova avventura in modo estremamente approfondito, in questo speciale percorreremo un viaggio tutto in due dimensioni che comincia proprio nel 1986 e arriva fino al 2019, anno di uscita del remake di Link’s Awakening per Nintendo Switch.
The Legend of Zelda per NES, capostipite della saga, si rivelò un titolo dalle meccaniche molto avanzate per l’epoca, capace di creare un genere videoludico a se stante.
Link è il protagonista dell’avventura, un giovane che rappresenta l’ultima speranza per salvare la Principessa Zelda dalle grinfie del malvagio demone Ganon, recuperando gli otto pezzi di un misterioso artefatto chiamato Triforza, il primo atto di una sfida leggendaria che ritroveremo numerose volte negli anni e nei capitoli successivi.
L’avventura si presenta come non lineare, e getta le basi per il concetto moderno di open-world: Link può esplorare il vasto mondo di gioco alla ricerca di equipaggiamenti e poteri utili per sconfiggere Ganon, destreggiandosi attraverso labirinti e risolvendo enigmi e puzzle.
Un titolo sorprendente e innovativo, che sin da subito ha riscosso un enorme successo, pur presentando una componente narrativa ancora acerba, ma capace di immergere i giocatori nell’avventura e di metterli alla prova dall’inizio alla fine. La base della Leggenda, l’ennesimo capolavoro di Shigeru Miyamoto.
Un mix di avventura, combattimento ed esplorazione, ricchissimo di segreti da scoprire, rappresenta anche oggi una sfida, oltre che un tassello fondamentale della storia dei videogiochi e un titolo da provare e completare, indispensabile nella propria ludoteca personale.
Zelda II: The Adventure of Link viene pubblicato per NES un anno dopo il primo capitolo.
Sono passati sei anni dalla prima avventura e Link ora ha sedici anni, dopo un periodo di pace, sulla sua mano sinistra compare il simbolo della Triforza.
Non conoscendone il significato, Link chiede informazioni a Impa, la balia della Principessa Zelda, e apprende di un evento noto come la Tragedia della Principessa Zelda I, intraprendendo un viaggio come l’eroe leggendario destinato a trovare la Triforza del Coraggio e a risvegliare la principessa da un lungo sonno.
Per il secondo capitolo della saga, Miyamoto decise di cambiare tutto, rendendo The Adventure of Link un titolo completamente diverso dal predecessore.
Del team originale rimasero solamente lui e Takashi Tezuka, e il risultato finale è un titolo strano, senza dubbio il capitolo più difficile di tutta la saga a causa del suo gameplay macchinoso, e l’unico vero passo falso in quasi quattro decenni.
La visuale di gioco si alterna tra fase esplorativa e fase di azione: la prima viene utilizzata durante l’esplorazione e ricorda quella adottata dai primi capitoli di Final Fantasy e Dragon Quest per Nintendo NES, a volo d’uccello con visuale dall’alto; la fase di azione si attiva quando Link entra in un villaggio, incontra un nemico o interagisce con elementi del mondo, passando a una visuale a scorrimento laterale.
Tutta la magia e l’innovazione di The Legend of Zelda si perdono in un mix tra un jrpg e inevitabili richiami visivi a Super Mario e purtroppo, non aiuta una trama eccessivamente contorta e ancora acerba.
The Adventure of Link è nel complesso ampiamente dimenticabile, ma probabilmente, senza la sua estrema natura sperimentale, la strada per il futuro della serie non sarebbe stata tracciata.
Una strada che portava a fare un passo indietro ed esaminare cosa rese così grande il primo capitolo.
Quattro anni dopo, il salto generazionale di console vede arrivare su Super NES quello che per tanti giocatori rappresenta il capolavoro massimo in 2D della saga: The Legend of Zelda: A Link to the Past.
Semplicemente, un titolo perfetto, uno dei più importanti titoli usciti sulla console a 16-bit Nintendo, un connubio perfetto tra giocabilità, trama, longevità e colonna sonora.
La mitologia attorno a Link, Zelda e Ganon viene riscritta, per la prima volta appaiono elementi chiave della serie come la Spada Suprema, le tre divinità supreme, location ricorrenti e il viaggio si dipana per la prima volta attraverso due mondi, due mappe contrapposte che rappresentano Hyrule e il Mondo Oscuro, una terra privata della luce e soggiogata ai poteri di Ganon.
Una notte di pioggia, Link viene svegliato dalla voce della Principessa Zelda, tenuta rinchiusa nelle segrete del castello di Hyrule dal malvagio stregone Agahnim.
Dopo avere scortato la Principessa al sicuro nel Santuario di Hyrule, Link intraprende un viaggio alla ricerca dell’unica arma in grado di annientare lo stregone: la Spada Suprema.
La leggendaria lama che esorcizza il male è custodita nel cuore della foresta e solo il prescelto in possesso dei tre amuleti delle virtù, Coraggio, Forza e Saggezza, è in grado di estrarla.
Ed è solo l’inizio del viaggio, poiché la vera battaglia per il futuro del mondo si svolgerà a cavallo tra Hyrule e il Mondo Oscuro, attraverso labirinti iconici, perfetti nella varietà, negli enigmi e nella difficoltà crescente man mano che Link si avvicina allo scontro finale.
La mappa di Hyrule di A Link to the Past rappresenta la base per quasi tutti i titoli negli anni a venire, definendone la geografia come mai fatto prima d’allora.
A Link to the Past è stato definito più volte dalla stampa e da una moltitudine di giocatori nei decenni successivi come uno dei più grandi e importanti videogiochi di tutti i tempi, un puzzle in cui ogni pezzo è incastrato perfettamente, senza la minima sbavatura.
Bisogna attendere due anni per vedere un nuovo capitolo: nel 1993, per Game Boy esce The Legend of Zelda: Link’s Awakening, riscuotendo da subito un successo enorme.
Per la prima volta, l’avventura si svolge lontano da Hyrule, nella remota e misteriosa isola di Koholint, in cui Link approda in seguito a un naufragio durante una tempesta, nel viaggio di ritorno verso casa.
La trama di Link’s Awakening si stacca dalla mitologia classica, presentando una storia totalmente inedita e protagonisti che richiamano vagamente nell’aspetto alcuni abitanti di Hyrule.
Mano a mano che i misteri dell’isola iniziano a svelarsi, la malinconia permea il giocatore, chiamato a difficili scelte pur di salvare gli abitanti e trovare un modo per riportare Link a Hyrule.
La stessa malinconia che negli anni a seguire, caratterizzerà numerosi capitoli della saga, lasciando un sapore agrodolce una volta terminata l’avventura.
L’isola di Koholint è ricca di misteri e fascino, presenta alcuni tra i dungeon più ispirati e complessi visti nella saga, costruiti interamente attorno agli strumenti che si trovano al loro interno; per la prima volta vi sono camei e influenze di altre serie Nintendo, e svelare tutti i segreti dell’isola richiede impegno e dedizione.
A oggi, il capitolo per Game Boy è quello che ha avuto più riedizioni e remake, con una primo porting per Game Boy Color chiamato Link’s Awakening DX del 1998 e un remake uscito nel 2019 per Nintendo Switch. Link’s Awakening DX sfrutta la potenza cromatica del successore del Game Boy dando nuova vita a Koholint e introduce un nono dungeon, totalmente inedito, basato sui colori.
Lo straordinario remake per Nintendo Switch sviluppato da Grezzo, splende con un nuovo stile visivo in 3D, fedele al gioco originale ma allo stesso tempo estremamente moderno, motore grafico di cui fa uso Echoes of Wisdom. L’isola di Koholint è viva come non mai, l’ambiente e i suoi abitanti sembrano fatti di plastilina, risultando vivi e vibranti, un vero e proprio diorama in movimento.
I miglioramenti alla giocabilità sono numerosi, l’avventura si presenta come estremamente moderna e una nuova modalità che consente di creare il proprio dungeon aggiunge ulteriore varietà e freschezza, permettendo di riscoprire l’avventura come se fosse la prima volta.
Nel 2001, dopo due titoli epocali come The Legend of Zelda: Ocarina of Time e The Legend of Zelda: Majora’s Mask per Nintendo 64, la saga torna in due dimensioni su Game Boy Color con Oracle of Ages e Oracle of Seasons, sviluppati da Flagship, una filiale di Capcom.
Per la prima volta, due capitoli del franchise non vengono creati direttamente da Nintendo ma affidati a una casa esterna, una novità assoluta che porterà in seguito allo sviluppo di altri due titoli.
Oracle of Ages e Oracle of Seasons sono titoli profondamente interconnessi: per vedere il vero finale, il giocatore deve completare una delle due avventure e iniziare la seconda utilizzando il Game Link, una password fornita alla fine, così da poter proseguire conservando il proprio equipaggiamento e acquisendo nuove armi e abilità, due titoli che possono essere giocati in modo indipendente o continuato, una soluzione assolutamente inedita per l’epoca.
In Oracle of Ages, Link viene incaricato dalla Triforza di svolgere una missione nelle terre di Labrynna, proteggere l’Oracolo del Tempo, Nayru. Una volta arrivato incontra Impa, storica assistente della Principessa Zelda e dopo essersi recati insieme da Nayru, Impa si rivela posseduta dalla malvagia strega Veran. In pochi istanti, la malvagia entità prende possesso dell’Oracolo del Tempo e insieme scompaiono quattrocento anni nel passato, cambiando la storia di Labrynna e cambiando il presente.
La missione di Link sarà quella di viaggiare tra presente e passato e recuperare le otto essenze del tempo, salvando Nayru e tutta la popolazione di Labrynna.
Le conseguenze di Link nel passato hanno effetto nel presente, ancora una volta l’avventura si svolge attraverso due mondi distinti, che sulla piccola console portatile Nintendo splendono sfruttandone le capacità cromatiche e dando vita a un fantastico erede di Link’s Awakening.
La trama di Oracle of Seasons è simile, Link viene inviato a Holodrum, dove deve salvare Din, l’Oracolo delle Stagioni, rapita dal malvagio Generale Onox. La sua scomparsa ha gettato Holodrum nel caos, mandando fuori controllo i naturali cambiamenti tra le quattro stagioni.
Utilizzando lo Scettro delle Stagioni, Link diventerà in grado di manipolare le stagioni a proprio piacimento, fino a trovare la strada verso la sfida finale con il Generale Onox.
Anche in questo caso, Capcom ha utilizzato in modo sapiente le capacità del Game Boy Color per rendere al massimo dal punto di vista stilistico e cromatico le quattro stagioni, con i tipici colori che le caratterizzano.
Oltre alla possibilità di giocare tramite Game Link per capire chi è il vero nemico che agisce dietro le quinte per conquistare Labrynna e Holodrum, i due titoli sono connessi anche attraverso password da utilizzare durante l’avventura che sbloccano extra, ottenibili completando missioni secondarie.
Complessivamente, i due Oracle rappresentano ancora una volta un trionfo di creatività e game design, un’ulteriore evoluzione di un franchise che ad ogni uscita dimostra di non aver limiti.
La fortunata e felice collaborazione con Capcom prosegue nel 2002, quando per Game Boy Advance viene pubblicato un porting di A Link to the Past che racchiude al suo interno un titolo inedito: Four Swords, il primo capitolo di The Legend of Zelda dedicato al multiplayer.
La trama di Four Swords inizia quando la principessa Zelda viene rapita dal malvagio mago del vento Vaati, tenuto sigillato per migliaia di anni da una lama leggendaria chiamata Quadrispada.
Utilizzando la lama, Link è in grado di quadruplicarsi, permettendo da un minimo di due a un massimo di quattro giocatori collegati in wireless locale di affrontare l’avventura insieme.
Il Link principale ha una tunica verde, mentre gli altri tre si distinguono vestendo il rosso, il blu e il viola.
I dungeon da affrontare sono generati casualmente e la loro disposizione e difficoltà sono influenzate dal numero di giocatori attivi.
Due anni dopo, per Nintendo Gamecube esce The Legend of Zelda: Four Swords Adventures, seguito dell’avventura per Game Boy Advance che ne espande le meccaniche in modo esponenziale.
La pace a Hyrule dura davvero poco e il risveglio di Vaati porta nuovi guai che inevitabilmente, tocca a Link risolvere.
La modalità principale del titolo è Hyrule Adventure, affrontabile da uno a quattro giocatori.
In single player, tutti e 4 i Link sono controllabili sia uno alla volta che contemporaneamente con i tasti del controller, con la possibilità di scegliere tra quattro differenti formazioni di battaglia.
In multiplayer, da due a quattro giocatori possono affrontare l’avventura collegando il Game Boy Advance al Gamecubo attraverso il cavo di collegamento incluso in bundle nella confezione.
Visivamente, Four Swords Adventures appare la naturale evoluzione di A Link to the Past e si presenta come un’avventura appagante, ricca di enigmi ed esplorazione.
Purtroppo, a oggi risulta uno dei pochi capitoli che non ha avuto nessun porting sulle console Nintendo di generazioni successive.
Il 2004 è soprattutto l’anno di The Legend of Zelda: Minish Cap, titolo nuovamente sviluppato da Capcom e terza avventura che vede protagonisti la Quadrispada e Vaati, narrando gli eventi che forgiarono la leggenda alla base di Four Swords e Four Swords Adventures.
Migliaia di anni prima dei suddetti titoli, a Hyrule ogni anno si festeggiano i Minish, leggendarie creature simili a folletti che si narra abbiano aiutato un eroe a liberare la terra dal male.
Ogni cento anni il portale che collega il mondo degli umani a quello dei Minish si apre, permettendo ai bambini di vederli e per l’occasione, viene indetto un torneo che permette al vincitore di toccare la Spada Minish, una lama che sigilla gli spiriti maligni sigillati dall’eroe delle leggende.
Il vincitore del torneo è Vaati, un giovane mago che cercando la leggendaria Forza che possedeva l’eroe, spacca la Spada Minish, liberando gli spiriti maligni nel mondo e pietrificando la Principessa Zelda.
Link, suo amico d’infanzia, intraprende un viaggio per sconfiggere gli spiriti malvagi e forgiare nuovamente la leggendaria spada, i cui poteri rappresentano l’unico modo di salvare Zelda dalla pietrificazione. Grazie all’alleanza con un cappello parlante di nome Egeyo, Link acquisisce l’abilità di rimpicciolirsi, accedendo al mondo segreto dei Minish.
E l’interazione con i piccoli folletti rappresenta la meccanica principale dell’avventura: cambiando dimensioni attraverso speciali portali, Link può accedere a luoghi sconosciuti e inesplorati, risolvere enigmi e creare nuove strade.
Inoltre, forgiando la Quadrispada Link diventerà in grado di utilizzare copie temporanee di se stesso e controllarle in modo simultaneo.
Dal punto di vista stilistico, Minish Cap rappresenta un evoluzione di Four Swords, utilizzandone lo stesso motore grafico ricco di colori a pastello e tratti morbidi. Un’avventura ricca di spirito fanciullesco, leggera e piena di buoni sentimenti, rimasta nel cuore di milioni di giocatori in tutto il mondo.
Nel 2007 e nel 2009, il Nintendo DS ospita i due sequel di The Legend of Zelda: Wind Waker, ovvero Phantom Hourglass e il successivo Spirit Tracks.
Il meraviglioso motore grafico in cel shading di Wind Waker si abbina a una visuale isometrica dall’alto, presentando per la prima volta nella serie un mix tra modelli in tre dimensioni e azione bidimensionale.
I due titoli esplorano le avventure di Link e Zelda dopo aver salvato gli oceani sopra Hyrule in Wind Waker, alla ricerca di nuove avventure e soprattutto nuove terre.
Il touch screen della piccola console a due schermi viene sfruttato fino in fondo e viene implementato per controllare le azioni di Link, annotare appunti e informazioni sulla mappa per la risoluzione di enigmi, e per tracciare nuove strade con i mezzi a disposizione, un battello in Phantom Hourglass e un treno in Spirit Tracks.
Le meccaniche dei due titoli sono simili, entrambi sono stati elogiati dalla stampa specializzata e dai giocatori soprattutto per la varietà di situazioni ed enigmi che presentano, oltre che per la struttura del mondo e dei labirinti.
Spirit Tracks inoltre, presenta una Principessa Zelda in una veste inedita di spirito guida e nel complesso, risulta un’evoluzione del precedente titolo sotto ogni punto di vista.
Il 2013 vede arrivare su Nintendo 3DS un altro capolavoro, il successore spirituale del capitolo per SNES: The Legend of Zelda: A Link Between Worlds.
L’avventura è ambientata tra i mondi di Hyrule e Lorule, una terra inedita che ricorda il Mondo Oscuro di A Link to the Past, governato dalla Regina Hilda e si svolge attraverso i due schermi della console Nintendo, utilizzando quello inferiore come mappa e come menù per gestire l’equipaggiamento di Link.
I nuovi poteri consentono all’eroe di diventare a tutti gli effetti bidimensionale, permettendogli di muoversi attraverso i muri dell’intero mondo di gioco, la meccanica è parte integrante della risoluzione dei dungeon e dell’esplorazione, sfruttando anche la stereoscopia del Nintendo 3DS.
A Link Between Worlds presenta una struttura libera che richiama il primo capitolo della serie, Link non è obbligato a seguire un percorso ma può scegliere come e quando affrontare la maggior parte dei dungeon, affittando l’equipaggiamento dal mercante Ravio.
Qualche anno prima di Breath of the Wild, al giocatore viene concessa la possibilità di vivere la propria avventura personale, creando la propria strada ed esplorando a piacimento.
E ogni minuto a Hyrule e Lorule è ben speso, A Link Between Worlds è pura gioia, puro piacere videoludico di esplorare e scoprire ogni mistero e angolo dei due mondi.
Il plauso universale della critica coinvolge anche il lato narrativo, presentando una trama tra le più oscure della serie e approfondendo anche Link sotto una nuova luce.
Un titolo che complessivamente non ha punti deboli, un’avventura che ha saputo superare lo scetticismo iniziale del paragone con il capolavoro SNES, ritagliandosi un proprio posto nell’olimpo dei migliori The Legend of Zelda.
E tra l’altro, è stato cronologicamente anche il primo titolo a prendere un 10 proprio su NintendOn!
L’ultimo paragrafo dell’avventura in 2D del lungo viaggio fino a Echoes of Wisdom è dedicato cronologicamente a The Legend of Zelda: Tri Force Heroes per Nintendo 3DS, del 2015.
Sequel di A Link Between Worlds, è un’avventura votata al multiplayer, giocabile esclusivamente con la cooperazione di tre giocatori differenti, selezionati casualmente su internet o connessi in locale via wireless.
L’avventura e i dungeon sono studiati per la cooperazione tra i giocatori e per procedere sono richieste sincronia e affiatamento. Se da una parte la struttura dei labirinti e i puzzle da risolvere sono di ottima fattura, Tri Force Heroes è purtroppo stato poco apprezzato a causa di un’infrastruttura online che presentava spesso lag ed errori di connessione, rendendo difficile apprezzarlo fino in fondo.
E probabilmente, è il titolo della saga che meriterebbe più di tutti una moderna riproposizione, beneficiando dei servizi online Nintendo, decisamente migliorati negli anni, anche se ancora lungi dall’essere perfetti.
The Legend of Zelda è una saga che in quasi quattro decadi di vita videoludica non ha mai cessato di evolvere e di stupire, portando costantemente meraviglia nei giocatori.
In fondo, i capitoli 2D e 3D sono parte di uno stesso percorso, che porta ogni nuovo episodio ad andare avanti contaminato dai precedenti, senza mai tornare indietro ma mirando a riscrivere ogni volta pagine di storia videoludica.
E uno speciale, che sia esso di mille o diecimila caratteri, non può che racchiudere un breve riassunto di esperienze di decine di ore che meriterebbero e dovrebbero essere provate in prima persona, almeno una volta ciascuna nella vita.
Magari, cominciando proprio da Echoes of Wisdom, che ancora una volta, promette di narrare un’avventura totalmente nuova e meravigliosa e andando poi a ritroso.