Esegesi della parola “Estate” del Summer Game Fest
C’era una volta l’E3. Non è facile spiegare bene cosa provava un hardcore gamer (qualsiasi cosa voglia dire questa definizione) nel periodo in cui l’ Electronic Entertainment Expo era in auge perché tra gli argomenti troviamo un mondo privo di social, meno veloce e connesso, con meno accesso a footage e demo e quindi con più fiducia che le aspettative sul gioco prediletto non venissero disattese, specie dopo che la fiammella della speranza veniva spregiudicatamente alimentata da giornalisti, titolati o wannabe, non si sa quanto onesti o prezzolati. Sempre se non si cadeva nelle grinfie dei fantomatici insider. Insomma il rischio è di somigliare al nonno che condisce aneddoti dei bei tempi con retorica romanticista smielata poco aderente alla realtà. Quindi occorre un po’ di contesto.
Si potrebbe pensare che l’assenza di internet equivaleva a una scarsità di informazioni. Non è propriamente così. I giornali facevano un buon lavoro per quietare la sete del gamer già durante l’anno, le recensioni erano perfino più affidabili di adesso, perché la tv e la radio avevano poco interesse nel veicolare i videogiocatori verso un acquisto piuttosto che un altro, e questo garantiva quel minimo di potere necessario a resistere alle bordate dei pr di turno. Allo stesso tempo, i negozi specializzati dell’era pre-Blockbuster (se non sapete cosa sia Blockbuster, sostituite pure con GameStop) erano un ritrovo per disadattati veri e consumatori occasionali di pixel e adrenalina.

Tra giugno e luglio la nostra rivista preferita aumentava considerevolmente il numero di pagine, come spesso evidenziato in copertina, e probabilmente anche sponsor e introiti derivanti, tutto grazie alla copertura della fiera Los Angelina. Era quindi il press tour per antonomasia, la Champions League del gaming, e altre metafore sportive che non posso utilizzare perché ero troppo impegnato a battere un boss di Megaman per interessarmi ad altro. In realtà avevo tanti altri interessi ma rovinerei la poesia e la balordaggine della frase precedente ad aggiungere dettagli sulla mia vita privata.
Fatto sta che appassionati come me, lanciati verso un futuro di scrittura sulla nostra splendida passione, fantasticavano quella vita lì: volo business pagato, cene luculliane e fanciulle invitanti. Invitanti alle demo si intende. Questi vaneggiamenti sono invecchiati malissimo nel 2024 ma all’epoca facevano parte del sogno. Tutto intorno a me aveva un odore nuovo: la fine della scuola, l’inizio delle poco meritate ma tanto attese vacanze, e quella sensazione di mille porte che si aprono verso strade inesplorate, l’eccitazione nell’aria. Bastava poco? Riviste e chiacchiere tra amici erano già tanto ma effettivamente l’avvento di internet è stato come attaccare il jack dell’amplificatore. D’improvviso le chiacchiere erano tra amici di tutta Italia, anzi del mondo intero e le immagini erano in movimento. Era l’epoca dei forum e dei meme disegnati male, di irc e soprattutto dei primi live streaming.
In questa fase le conferenze E3 erano veri e propri show ad alto budget, e sembrava che la riuscita stessa dell’evento potesse influenzare l’andamento sul mercato delle console e il gradimento del pubblico. Sony, Microsoft e Nintendo si sfidavano a colpi di annunci, poco importa se il gioco mostrato era in stato primordiale, o se addirittura fosse ancora nelle teste di designer e artisti: l’importante era fare la migliore impressione e sbaragliare la concorrenza, rispondere alla domanda “who won E3?” con un altisonante “US!”. Nello sfondo noi, deliranti ciarlatani pronti a fare il tifo per quella o l’altra console, a scandagliare i meandri di Neogaf per beccare screenshot di quel gioco passato in sordina, dopo giorni passati a fantasticare sulle casse e cassoni fotografati da chissà chi, e noi a vederci Donkey Kong nelle macchie di umidità di colonne sporche di anonimi magazzini o le spine di Sonic attraverso un telo che copriva una scala.
Una vera e propria overdose di videogiochi e demenza, elevata all’ennesima potenza dagli States, dove tutto deve essere bigger, harder, stronger. Sony ha preso il cartellone più grande? Allora Nintendo plasma e plastifica le scale del Kodak Theater abbellendole con le sue mascotte mentre Microsoft si affitta il palazzo di fronte e destina un piano a postazioni piene di indie. E a proposito di indie, Devolver percula tutti organizzando una grigliata, perché se non puoi stare al loro stesso tavolo da gioco te ne fotti e fai capire a tutti quanto questo mondo fatto di gioconi e giochini sia in fondo tossico e malato portando tutto all’estremo. E se invece di stupirci con effetti mirabolanti Shigeru Miyamoto fa il pirla con un telecomando Wii in mano distruggendo la musica del suo amico Koji Kondo? E se Kaz Hirai si mortifica in diretta esclamando Ridge Racer con in mano una PSP fiammante e capace di ben altro? E se Peter Molyneux ci presenta un gioco per Kinect che è una distopia perfetta per coppie che non possono avere figli e per inciso non uscirà mai? Nonostante siano tutti stati colpi all’autostima e punti a sfavore nella console war, si rideva lo stesso.
Eppure non tornerei mai indietro. Da quando Nintendo ha anticipato i tempi con la creazione dei tanto attesi (e a volte vituperati) Nintendo Direct, il mondo che vi ho descritto ha iniziato lentamente a sgretolarsi e a ripiegarsi su sé stesso. Nel 2023 l’azienda che metteva in piedi il baraccone ha ufficialmente gettato la spugna, ma diciamoci la verità, sentivamo la puzza di carogna da mesi, anni. Ci costringiamo a vedere lo spettacolino imbarazzante che è il Summer Game Fest a base di frasi a effetto altisonanti, applausi finti, nerd trattati come rockstar del cazzo, con annunci impossibili da prendere sul serio, il tutto nell’anno di gaming più oscuro di sempre, con console costose che vedono giochi tripla A con la stessa frequenza con la quale portavo voti buoni ai miei genitori e con lo spettro dei licenziamenti da parte di pesci grandi che ingurgitano e rigettano i pesci piccoli, un elefante sul divano così gigantesco che perfino Geoff Keighley non ha potuto far finta di nulla, menzionando il fatto in apertura di Summer Game Fest. Per poi proseguire come nulla fosse, proprio come il meme a due vignette di Jeremy Clarkson che esclama “Oh no! Anyway…”.
Non che voglia fare la Cassandra del malaugurio “de noi artri” o dare una visione scostata dalla realtà, intendiamoci: il settore è ancora vivo, i titoli usciranno, avremo sempre da giocare. Ma un pochino di ipocrisia in meno ed essere trattati da adulti, seppur giocanti, non sarebbe male. Alla fin fine l’E3 è morto, sostituito da annunci preregistrati dalle corporation e da spettacolini cringe messi in piedi per giornalisti e operatori del settore che evitano gli specchi in sala perché non vogliono invecchiare. A noi restano comunque informazioni e aggiornamenti sui giochi in uscita sempre più simili come filosofia ai Nintendo Direct, e forse è sempre e solo questo quello che conta, quello che abbiamo sempre voluto. Un altro Nintendo Direct.