Xenoblade Chronicles – Le torri, l’Anello orbitale e i 3 giudici infernali

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ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sui contenuti dei DLC di Xenoblade Chronicles 3 e sulla saga di Xenoblade Chronicles in generale. Vi invitiamo a procedere nella lettura con consapevolezza.

Nel corso del lungo filmato verso la fine del DLC Un futuro riconquistato di Xenoblade 3, e ci riferiamo proprio a quel “flashback” con la radio, viene citato Yuriev quale rappresentante del distretto Minos.
Ora, molto probabilmente avrete già sentito più volte discutere della portata di tale affermazione, dal momento che il nome di quel personaggio non è, affatto, una novità per la serie… ma ci ritorneremo a tempo debito.

Ciò di cui vogliamo ora ragionare, in una breve* riflessione prodromica per il futuro, è l’altro nome proprio della frase, ossia Minos.
* lo era davvero, all’inizio, ma poi gli argomenti sono un filo sfuggiti di mano…
Esso fa il paio con Rhadamanthus, l’altro distretto finora conosciuto e al quale appartiene il Professor Klaus, come scoperto nel capitolo finale di Xenoblade 2. Minos era stato in realtà già menzionato nella serie, seppure non in forma “normale”, ovvero nella descrizione della confezione del modellino del Siren del 2018, che aveva fornito degli spunti non indifferenti sulla lore del gioco, con la descrizione della situazione della Terra negli anni precedenti all’esperimento di Klaus, che aveva di fatto creato i mondi di Xenoblade 1 e 2. (N.B.: se non la avete ancora mai letta, affrettatevi ora in quanto assolutamente necessaria per comprendere questo testo).
Rhadamanthus, Aiakos e Minos erano infatti i nomi delle 3 torri del Fagiostelo erette lungo l’Equatore terrestre, collegate tra loro tramite l’Anello orbitale.

Year 20XX – The Beanstalk,
First Low Orbit Station: Rhadamanthus

L’inizio di un video che ha sconvolto ogni certezza, nel 2017. Fonte

Il loro nome deriva, molto semplicemente, da quello dei 3 giudici infernali della mitologia greca, e di questo ci occupiamo oggi.
Prima di tutto chiariamo un aspetto di natura linguistica: Rahadamanthus e Minos compaiono nei giochi, come esposto, laddove Aiakos ancora attende il momento del proprio debutto (mai lo avrà…?) quindi la traduzione ufficiale inglese, e tanto meno italiana, nei fatti non esiste. Quanto leggete è dunque la traslitterazione del アイアコス della scatola del Siren, che riprende l’originale greco; si tratta a suo modo di una particolarità, in quanto per gli altri due casi (e nella maggioranza, in generale) gli autori hanno ripreso invece la versione inglese, che è in pratica un calco di quella latina. In latino Aiakos è stato adattato con Aeacus, e allo stesso modo è giunto in inglese. In italiano siamo abituati invece ad “appropriarcene”, per cui abbiamo i più consueti Radamante, Eaco e Minosse. Non nel caso in esame però, dato che per uniformità alle altre lingue i nostri traduttori hanno preferito non intervenire. In ogni caso, questa lungo excursus serviva soltanto a puntualizzare la questione Aiakos/Aeacus (in breve: se avete mai visto la serie Hades dei Cavalieri dello Zodiaco/Saint Seiya, sì, sono proprio quei giudici infernali).

Eaco, Radamante e Minosse ne I Cavalieri dello Zodiaco. Fonte

Chiusa questa parentesi, introduciamo il mito greco: secondo la versione più diffusa, i 3 giudici erano un tempo uomini (quasi) comuni, poi scelti per un nuovo compito dopo la morte. Il “quasi” è d’obbligo in quanto i primi due figli di un dio e di una mortale: Radamante e Minosse erano fratelli, entrambi generati dall’unione tra Zeus e la principessa Europa; mentre Eaco addirittura figlio di Zeus (per cui loro fratellastro) e la ninfa Egina, in un certo senso un semidio. Minosse fu il re di Creta, personaggio saggio ed avveduto; il cui nipote, dallo stesso nome, fu invece un crudele tiranno, a cui risale la storia del sacrificio degli ateniesi nel labirinto del Minotauro.
Radamante era ritenuto il più equilibrato tra gli umani, testimoniato dalla grande opera di legislatore. Eaco regnò sull’isola di Egina (che prese appunto il nome dalla madre), i cui abitanti secondo alcuni miti erano formiche trasformate in uomini, i Mirmidoni; ebbe 3 figli tra cui Peleo, divenendo quindi il nonno di Achille. Era rispettato in tutta la Grecia per il suo senso di giustizia, tanto da essere chiamato a risolvere le dispute tra molte diverse città, addirittura forse tra gli dèi stessi.

I 3 giudici. Fonte

In tutti e 3 i casi, i meriti sulla terra garantirono una ricompensa nella vita ultraterrena: diventare giudici delle anime dei defunti negli Inferi. Secondo quanto scritto da Platone, a Radamante spettava autorità sugli asiatici e ed Eaco sugli europei, col voto decisivo espresso da Minosse. Questo modo “geografico” di suddividere l’umanità rispecchia la visione della civiltà greca dell’epoca, col mondo conosciuto sviluppato attorno alle coste del Mediterraneo. Il giudizio consisteva, molto semplicemente, nel destino finale degli spiriti in base alle loro azioni invita, ovvero se condurli al paradisiaco Elisio, ai prati dell’Asfodelo o alle sofferenze del Tartaro. L’Asfodelo era la sorte “standard” per le persone, coi Campi elisi riservati a coloro che si fossero particolarmente distinti in bene, e viceversa per il Tartaro. In alcune tradizioni, a presiedere sull’Elysium (nome greco) vi era lo stesso Radamante, e qui il parallelismo col videogioco è evidente.
Al fine di raggiungere una decisione il più possibile corretta ed imparziale, non dipendente da influenze esterne, le anime erano poste davanti alla giuria nude, e lo stesso accadeva per essa.
Seppure interessante, finora ci siamo limitati ad esporre ciò a cui MONOLITHSOFT si è ispirata, ma la parte migliore arriva adesso.

Secondo le credenze antiche, gli dèi, di fatto creatori degli uomini, per giudicarli dopo la morte scelsero i migliori tra loro.
Nel mondo di Xenoblade, le 3 torri dell’Anello orbitale assolvevano allo scopo, tra le altre cose, di avere un luogo separato dal pianeta per gli esperimenti e lo studio del Varco (il Conduit/Gate), dal momento che l’eventuale apertura di un condotto dimensionale sulla superficie terrestre avrebbe avuto, in caso d’incidente, delle conseguenze catastrofiche. (Col senno di poi, non pare che averlo piazzato nello spazio abbia mitigato particolarmente i danni…).
Al fine di governare il Varco, l’organizzazione Aoidos scelse non di intervenire direttamente con i propri membri, o comunque con persone appartenenti allo Unified Government mondiale (non esistendo una traduzione italiana, ci manteniamo al giapponese), bensì di creare un’intelligenza artificiale che rendesse l’apparato del tutto autonomo: i Processori Trinità. Sviluppati con dei biocomputer all’interno di una realtà virtuale in modo da acquisire una propria personalità, i Processori furono in grado di controllare il sistema senza alcuna interferenza umana. Per garantire la propria difesa, l’IA iniziò anche a costruire gli Artifici (tra cui il Siren, come spiegato in apertura) alimentati direttamente dal Varco tramite gli Slave Generator nei cristalli con la sua stessa forma. Per questa ragione essi vengono definiti, nella chiusura della descrizione del modellino, “una fulgida lama da rivolgere contro coloro i quali i Processori Trinità ritenessero delle minacce“.

E qui risiede il punto di contatto che ci ha spinto a scrivere questo articolo: un tempo, come spiegato, si riteneva che per giudicare le azioni compiute in vita fossero “sufficienti” individui appartenenti alla stessa razza umana, mentre nel futuro di Xenoblade l’umanità, al fine di controllare un oggetto di origine pseudo-divina, decise di affidarsi all’intelligenza artificiale, di porre un’entità al di sopra degli uomini. Prendere le persone più sagge e spogliarle (letteralmente!) dei propri oggetti che le legavano alla vita terrena non era dunque abbastanza, occorreva affidarsi ad un prodotto che, seppure di creazione umana, avesse modo di svilupparsi in una realtà virtuale per assurgere al ruolo di guida oggettiva e perfetta per la relazione col divino.
Ecco quindi che Rhadamanthus, Aiakos e Minos, da giudici della morte sotterranea, si trasformano nei pilastri su cui fondare una nuova civiltà nei cieli a diretto contatto con la porta verso un nuovo universo; per la razza umana, citando il titolo del romanzo di Arthur C. Clarke poi fortemente ripreso in Xenogears, era “finito il tempo dell’infanzia“.

Pur consapevoli di ribadire l’ovvio, ricordiamo che in molte religioni, specialmente monoteiste, è diffusa la credenza che la vita dopo la morte sia determinata dalle azioni in vita ma, a differenze della concezione antica, il mondo ultraterreno non risiede esclusivamente negli Inferi bensì si divida tra Inferno sottostante per i dannati e Paradiso superiore per i beati. La divergenza è più concettuale che pratica, in quanto la morale di fondo rimane quella di indurre le genti a comportarsi rettamente nella vita terrena per ottenere una ricompensa nella successiva, non più legata ai dettami del tempo.

Dalla traduzione amatoriale italiana dello Xenogears Perfect Works

Il mondo ideato da Takahashi invece capovolge questa struttura, arrivando a configurarsi come una sorta di utopia: nello spazio al di sopra del pianeta sono presenti i governatori dell’umanità, i quali a loro volta si servono del potere divino del Varco mosso dall’intelligenza artificiale per indicare la via del progresso; le divinità non rappresentano quindi più un concetto astratto presente dopo la morte, ma esistono realmente al di sopra dei vivi, e possono giudicarne “in tempo reale” le azioni. Senza troppi sforzi, ritornano alla mente le parole del Perfect Works di Xenogears in cui si descriveva, con rigore quasi analitico, l’atto di alzare gli occhi al cielo e pregare, nella speranza che qualcuno lassù ci ascoltasse.
L’Elysium non è dunque più una promessa di salvezza, ma un luogo reale, costituito da case, prati e strade, in cui vivere nel presente, la realizzazione dell’agognato sogno di un “Paradiso in terra”. Ironico notare come, millenni dopo su Alrest, sia sia persa la contezza della reale esistenza di esso riconfigurandosi come la leggendaria origine degli abitanti del mondo per mano dell’Architetto, con la deprimente scoperta della verità di Rex e compagni.

Le rovine di ciò che un tempo rappresentava il luogo perfetto per l’umanità. Fonte

Ovviamente, va da sé che per alcuni individui questa società sopra descritta personifichi al contrario una distopia, e nel gioco vengono ritratti come i ribelli Savioriti che pretendevano che il Varco venisse consegnato loro; non ne vengono mai menzionate le motivazioni, ma non è difficile immaginarsi che i propri ideali non corrispondessero a quelli dello Unified Government, e si sentissero non protetti dal sistema ma piuttosto sottoposti alle decisioni dall’alto dell’èlite mondiale, e in ultima analisi da dei computer con intenzioni oscure. Non sappiamo come le guerre si siano scatenate, ma l’epilogo è stato l’esperimento di Klaus di collegamento al Varco per creare un nuovo universo, che può essere interpretato (ma prendetela come un’opinione personale) come un grido di disgusto nei confronti dell’attuale umanità e speranza che con un gesto così drastico finalmente le cose potessero cambiare, ricominciare da 0 per trasformarsi in “something much more“.

Ritornando al discorso delle torri, spendiamo qualche parola sulla loro reale collocazione geografica: sappiamo che sono state elevate lungo l’Equatore, e questo in primo luogo contraddice una delle informazioni in-game, ovvero il cartello stradale statunitense presente nelle Terra di Morytha col logo della Interstate 90: si tratta infatti una autostrada realmente esistente negli USA, che parte nella sezione settentrionale del paese, approssimativamente dal Rhode Island per giungere in Montana, attraverso la città di Chicago. Non sappiamo quanto estesa sia la superficie al di sotto della torre Rhadamanthus che è stata trasportata in un nuovo universo (Alrest) al momento dell’esperimento, ma di certo non poteva essere un lembo di terra che partendo dall’Equatore (che passa per l’America del Sud) raggiungesse quella del Nord. Per di più, l’altro cartello di Morytha indica Interstate 236, ma questa nella realtà nemmeno esiste (ci sono la 235 e 238), per cui possiamo presumere che le scritte siano state scelte in modo abbastanza casuale per dare un maggiore effetto straniante alla loro prima apparizione, ma non rappresentino dei luoghi reali.

Un dettaglio del cartello di Morytha. Fonte

L’Equatore attraversa un ridotto numero di paesi, dato che per la maggior parte giace sugli Oceani, quindi i possibili luoghi in cui erigere le torri non sono numerosi: supponendo di partire da occidente in una cartina con l’Europa al centro, il primo paese del Sud America che si incontra è l’Ecuador (ci avevate mai fatto caso al nome? Ecco), seguito poi da Colombia e Brasile. Se ipotizziamo che la prima torre fosse stata costruita all’inizio dell’Ecuador, procedendo verso Est dopo poco più di 13’000 km si giunge in Africa, precisamente in Kenya. La ragione di tale numero è che, molto semplicemente, abbiamo assunto che le costruzioni siano equidistanziate, ipotesi più efficiente dal punto di vista ingegneristico ed in un certo senso pure estetico (anche i 3 cristalli Aegis del Processore Trinità sono disposti a triangolo equilatero), perciò abbiamo diviso per 3 i circa 40’000 km della circonferenza terrestre. Sappiamo che il Varco è stato scoperto in Africa (allora era semplicemente noto come Magnetic Abnormal Matter) ma senza precise indicazioni, tuttavia in nostro soccorso giunge la Xenosaga, la precedente opera nella serie Xeno: infatti il gioco si apre con il Varco lo Zohar che viene ritrovato sulle sponde del Lago Turkana, esattamente in Kenya. Il punto da noi individuato si troverebbe a meno di 500km dalle sponde del lago. Il luogo scelto non è casuale ma, come saprete, rappresenta al di fuori della finzione letteraria una delle sedi dei ritrovamenti dei più antichi resti di ominidi primordiali, ed è in un certo senso visto come la culla dell’umanità. Quei corsi e ricorsi storici che si fanno sempre apprezzare nella serie… e forse rappresenteranno in futuro ben più che una citazione.
Continuando ad oriente, l’unica nazione asiatica toccata dall’Equatore è l’Indonesia, ma il terzo edificio si verrebbe a trovare molto al largo delle sue coste, circa a nord delle Isole Salomon. Non è troppo difficile credere che nel futuro molto più avanzato tecnologicamente ci siano pochi problemi nel creare delle piattaforme artificiali come fondamenta, e comunque almeno una, a prescindere dal punto di partenza, verrebbe a trovarsi in mare.

Entrando nel dettaglio di quale torre sia precisamente delle possibili, abbiamo ben pochi indizi a cui aggrapparci, per il semplice fatto che l’unica mostrata (la Rhadamanthus) non aveva alcun segno particolare che la distinguesse dalle altre; volendo forzare l’analogia mitologica potremmo pensare che essa, basata sul giudice degli orientali, fosse quella nell’Oceano Pacifico, con la Aiakos in Sudamerica per gli occidentali -per quanto i Greci intendessero gli europei, non conoscendo il mondo “al di là delle colonne d’Ercole”- e la Minos, il giudice col voto decisivo, al centro in Africa per maggiore importanza. La suddivisione però sembrerebbe piuttosto arbitraria, dal momento che sappiamo che nell’istante dell’esperimento il Varco, così come l’Elysium, fossero sulla Rhadamanthus, assieme ai 3 cristalli Aegis del Processore Trinità. In questo senso, sarebbe credibile che dal luogo del ritrovamento sia stato direttamente trasferito alla più vicina torre in Africa, innalzata per l’occasione, a sottolinearne il valore predominante rispetto alle altre. Allo stesso modo, sarebbe accettabile che il gruppo dei Savioriti, secondo le notizie della famosa radio del filmato del capitolo 5 di Future Redeemed, fosse in qualche modo inizialmente nato in seno al distretto di Minos, e che nutrisse quindi una sorta di insofferenza (esasperata poi nella distopia di cui sopra) verso i “capi” dell’Aoidos stanziati sulla Rhadamanthus.
Seppure le fonti siano discordanti, questo conflitto potrebbe nuovamente ricalcare quanto avvenuto nella leggenda greca: Minosse e Radamante vennero cresciuti dal padre adottivo Asterio, re di Creta, che al momento della morte lasciò il trono al primo; tuttavia egli, pare per gelosia nei confronti del grande credito come legislatore di cui godeva il secondo, esiliò il fratello dall’isola divenendo di fatto l’unico regnante (in ogni caso fortemente rispettato dal proprio popolo). Comunque, alla fine nella loro nuova occupazione ultraterrena si riappacificarono.
Se Takahashi abbia voluto attribuire realmente l’appartenenza dei ribelli (e non dimentichiamo Yuriev) al distretto Minos per via di questo fatto non è dato sapere, ma testimonierebbe, nel caso, la cura maniacale ai dettagli.

Ragioniamo un po’ anche della reale fattibilità di un simile progetto di primordiale colonizzazione spaziale: nel mondo reale, la prima idea degli ascensori spaziali è vecchia di almeno un secolo come “semplici” edifici con un’altitudine pari a quella dell’orbita geosincrona, ossia quasi 40’000 km, e traiettoria geostazionaria, ovvero sempre al di sopra dell’Equatore. Nel corso del tempo essa si è perfezionata intorno a criteri più realizzabili, e la moderna visione è basata su un singolo cavo mantenuto in tensione da un contrappeso posizionato direttamente nello spazio al di sopra della quota prima menzionata, una tensostruttura in cui la forza centrifuga controbilancia quella di gravità sottostante. Trattandosi dell’orbita geostazionaria, la velocità di rotazione sarebbe identica a quella della Terra, in modo tale da compiere un giro completo in un giorno e mantenere, rispetto alla superficie, una posizione fissa.

Tuttavia, questo tipo di elevatori assolve al principale scopo di fornire da contatto diretto tra il pianeta e l’universo circostante da un punto di vista logistico, principalmente come zona di scambio che elimina (per le astronavi) la necessità di atterrare e poi decollare di nuovo.
Invece, seppure con scopi iniziali analoghi, il concetto di un anello orbitale è decisamente più recente, risalente agli anni ’80 circa, con una costruzione posizionata molto più vicina alla Terra e ad essa concentrica. L’altitudine è del tutto compresa nell’orbita bassa terrestre (indicativamente, tra i 200 e 2000 km), ove risiedono i principali satelliti, telescopi e le varie stazioni spaziali. Come nel caso degli ascensori, l’anello dovrebbe essere in rotazione perenne in modo tale da subire una accelerazione centrifuga diretta verso l’esterno pari (in realtà leggermente maggiore, in modo da mantenere una tensione interna, ma non appesentiamo la trattazione) all’accelerazione gravitazionale terrestre, risultando quindi di fatto al proprio interno in “caduta libera”. Un piccolo esempio pratico: se avete mai avuto modo di vedere dei video degli astronauti sulle varie stazioni spaziali in orbita bassa, sono sempre “fluttuanti” come se fossero in una stanza priva di gravità: ebbene, l’attrazione terreste è invece presente, circa il 90% di quella sulla superficie a causa della maggior distanza dal centro, ma a generare l’effetto di assenza apparente di peso è la loro accelerazione centrifuga uguale ma contraria all’altra. Questa forza è dovuta, come per ogni corpo in moto circolare, alla velocità lineare di movimento ed aumenta con essa ma diminuisce con l’aumentare del raggio: per questa ragione, al fine di mantenersi in orbita attorno ad un oggettivo massivo come la Terra, è richiesta una velocità estremamente elevata, pari a quasi 8 km/s (cioè 28’000 km/h). Tali numeri sono possibili soltanto, ovviamente, grazie all’assenza di atmosfera che elimina l’attrito aerodinamico.

Comoda grafica dei gruppi di orbite esistenti (basse, medie e alte). Alla Fonte è animato

In ogni caso, sia gli elevatori sia gli anelli per ora sono relegati a semplici progetti, dal momento che l’ostacolo principale alla loro realizzazione -senza contare i costi, stimabili in miliardi…- sono i materiali: attualmente non se ne conoscono in grado di sopportare simili sollecitazioni, e anche riuscissimo ad individuarli, la costruzione effettiva di strutture lunghe decine di migliaia di km (lo stesso anello avrebbe una dimensione superiore alla circonferenza terrestre, per forza di cose) dovrebbe avvenire direttamente nello spazio. Ci preme però sottolineare, in questa breve carrellata nel mondo reale, chi sia stato il responsabile dell’espansione di tali futuristiche questioni anche al vasto pubblico: questo nome corrisponde, poco sorprendentemente, al già citato Clarke: nel suo romanzo di fine anni ’70 Le fontane del Paradiso si parla dell’umanità, guidata da un governo mondiale, alle prese per la prima volta con la costruzione di un ascensore spaziale. Parimenti, nel libro 3001: Odissea finale del 1997, il conclusivo della serie, è presente un anello orbitale sostenuto da 4 torri abitabili disposte lungo l’Equatore… Takahashi ha abbassato il numero a 3 solo per non essere troppo esplicito nell’ispirazione… o magari perché, tramite l’analogia dei giudici infernali, tutto sembrava più interessante. E per fortuna altrimenti non stareste leggendo questo articolo.

Tornando ora al contesto effettivo di Xenoblade, il tipo di piattaforma presente è concettualmente addirittura meno sofisticato: l’Anello orbitale è, nonostante il nome, fisso invece che orbitante e quindi privo di forza centrifuga, per cui il proprio peso viene in maniera “classica” scaricato sulle 3 torri collegate al suolo. Le quali si comportano appunto anche da ascensori spaziali, ma nella più vecchia concezione di oggetti in compressione diretta invece che in tensione dallo spazio. Una prova al fatto che le stazioni orbitali che vediamo nel gioco siano prive di traslazione orbitale aggiuntiva (in termini fisici, ruotino alla stessa velocità angolare terrestre) deriva dal filmato introduttivo del capitolo 10 di Xenoblade 2, in cui il personale di bordo cammina normalmente, sottoposto all’usuale forza di gravità. Il problema tecnico costruttivo è, come ribadito, il materiale in cui il tutto possa essere stato eretto, ma probabilmente gli scrittori hanno risolto la questione con un semplice “nanomacchine che creano microstrutture di carbonio ultraresistenti” o, ancora meglio, con “il Varco genera energia infinita che sfrutteranno per qualcosa, non vi pare?”.

Per essere alta almeno 200km, la torre porta alla sua sommità una stazione spaziale piuttosto ridotta, a vedersi.

Avendolo nuovamente menzionato, lavorando un po’ di fantasia il Varco potrebbe anche essere impiegato per la sua prima proprietà scoperta, ossia quella di generare anomalie magnetiche: se il suo campo fosse in qualche modo “orientabile” imponendo di assumere una forma circolare che racchiuda l’intero pianeta, sarebbe forse in grado di sostenere del tutto il peso dell’anello orbitale, supponendolo dotato, nella parte inferiore, di magneti rivolti verso l’esterno con polarità uguale rispetto al Varco. Insomma, l’anello risulterebbe fluttuante nello spazio grazie ad un campo repulsivo (per interazione di due poli con lo stesso verso) proveniente da una regione intermedia tra esso stesso e la Terra. Certo, una simile intensità di campo andrebbe con buona probabilità a ripercuotersi su quello geomagnetico interferendo con ogni dispositivo elettronico, per non parlare di ogni altro satellite in orbita costretto a non montare materiali ferromagnetici (tradotto, il buon vecchio acciaio), e allo stesso tempo costringerebbe ad adottare importanti contromisure tutti gli uomini a bordo dell’anello; creando forse più disagi che benefici. Insomma, stiamo parlando di fanta-fantascienza, cercando risposte a domande che con una certa dose di possibilità nemmeno gli autori si sono posti, per cui inutile persistere nelle ipotesi -anche se prima o poi nella serie, tra antimateria, spazi extradimensionali e simili qualche accenno ai monopòli magnetici ce lo si aspetta…-

Seppure faccia sorridere ammetterlo, una soluzione molto più “realistica” era rappresentata dalla stazione spaziale originale, quella presente nel filmato conclusivo di Xenoblade 1, in quanto era realmente distaccata dalla superficie e l’Anello orbitale era soltanto una “luce” che ne descriveva la traiettoria, su cui viaggiava poi anche l’impulso generatore (termine ora coniato) lanciato da Klaus. Un retcon che, alla prova dei fatti, ha però permesso di costruire uno dei momenti più alti di Xenoblade 2 portando la serie su binari all’epoca inimmaginabili.

La stazione originaria, nella versione Wii. Fonte

Siamo così giunti alla conclusione di questo lungo articolo, in origine si trattava di una veloce riflessione per la curiosa analogia dei nomi scelti dagli sviluppatori, ma poi ci siamo resi conto di quanta sostanza si nascondesse dietro ad un dettagli all’apparenza secondario. Speriamo di avervi stimolato su argomenti ancora poco conosciuti!

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