Tim e Pikachu ancora alla ricerca di Harry
Quando Detective Pikachu è uscito nel 2018 su Nintendo 3DS in pochi hanno creduto nella sua formula ed era forse opinione diffusa che si trattasse di una di quelle bizzarrie di Nintendo che in pochi fedelissimi avrebbero ricordato con affetto e forse con un pizzico di nostalgia per il mancato ritorno.
Se non fosse che oggi, un film e tanto merchandise dopo, siamo qui proprio a fare ritorno a Ryme City per giocare di nuovo nei panni di Tim Goodman la spalla umana di Pikachu, che nel lontanissimo 1996 nessuno avrebbe mai immaginato nei panni di un detective, specie se dotato di una voce profonda e adulta, cosa che cozza molto col personaggio puccioso e dal verso stridulo e acuto presente negli anime. E qui è caffeinomane per giunta!
Questa nuova avventura su Nintendo Switch è un mix tra avventura testuale ed esperienza investigativa molto all’acqua di rose, cosa che non sorprende, prendendo in considerazione che il pubblico di riferimento ideale si attesta sugli 8 anni. Anzi, se c’è una cosa di cui stupirsi è proprio la mole di testo a schermo, scelta che reputo bizzarra e che mi spiego soltanto pensando ironicamente che in Giappone i bambini leggano più degli adulti.
Tornando alla parte investigativa, i protagonisti, Pikachu e Tim appunto, devono risolvere casi misteriosi di furti o sparizioni. Il primo capitolo si incentrava proprio sulla sparizione del padre di Tim Goodman, Harry, mistero da cui parte proprio questo sequel. I nostri eroi, ormai diventati affermati detective, sono stati encomiati per il brillante operato svolto, in seguito alla risoluzione del mistero sull’agente R, un agente chimico in grado di far diventare i pokémon aggressivi, e finalmente grazie al dinamico duo la pace sembra regnare a Ryme City anche se la scomparsa di Harry è ancora un interrogativo, così come l’improvvisa amnesia di un Pikachu privato dei suoi poteri ma dotato di parola, anche se a dire il vero riesce a capirlo solo Tim.
L’aspetto più potente di Detective Pikachu: il ritorno è il mondo vivido e pieno di pokémon che troviamo sparsi per i vari ambienti e con cui interagire, vivendo momenti surreali e bizzarri, che ci faranno apprezzare ancora di più il mondo creato da Satoshi Tajiri. Se da un lato l’interazione è la forza del gioco, l’estrema semplicità potrebbe far storcere il naso a non pochi giocatori. Infatti, come ho già anticipato, il target di riferimento è un pubblico di giovanissimi che magari non potrebbe apprezzare la complessità di un mister Layton nel risolvere gli enigmi.
Di fatto, questo gioco è praticamente privo di un game over e anche una scelta sbagliata è priva di conseguenze, se non quella di permettere al giocatore di passare a una scelta alternativa, presa da un parterre di opzioni già abbastanza limitato. La risoluzione del mistero è sempre piuttosto semplice, guidata e lineare, con Tim e Pikachu in giro a cercare indizi e parlare con umani nel caso di Tim e pokémon nel caso di Pikachu e una volta che si sono accumulati abbastanza indizi sul taccuino si trae la somma del caso, senza possibilità alcuna di errore.
Insomma se siete adulti dovete scendere a patti con una estrema semplificazione del genere e trovare forza nell’affezione verso il brand o per i toni surreali di tutto quel che accade a schermo, oltre che alla simpatia in generale dei protagonisti, coppia perfetta, visto che al carisma di Pikachu si contrappone la piattezza di Tim, il cui elettroencefalogramma potrebbe rivaleggiare con quello di Magikarp. A questo proposito, in determinate fasi è possibile vestire i panni di Pikachu, anziché quelle di Tim, ed è un cambio di prospettiva apprezzabile.
Piuttosto che la sfida, gli sviluppatori sembrano essersi impegnati soprattutto nell’infondere una personalità ai tanti pokémon presenti nel gioco, caratteristica in cui anche la serie main deficita. Nonostante i dialoghi siano davvero estenuanti, specie perché spesso si è già capito dove la trama va a parare e si vuole andare avanti, parlare con gli NPC permette di scoprire sezioni di gioco e subquest magari superflue ai fini della trama, ma che permettono una divagazione che dà sollievo in un’avventura altrimenti troppo monotona.
Detective Pikachu: il Ritorno infatti è decisamente carente di sorprese. Appare evidente fin dai primi minuti di gioco che il budget impiegato non è eccessivamente alto, ed è tutto fin troppo semplice, a partire dalla grafica, con ambientazioni e modelli dei personaggi tanto semplici da rimandare a una generazione di console precedente a quella di Nintendo Switch, alla struttura di gioco, volutamente scarna e lineare.
Si difende un po’ meglio il comparto sonoro, da sempre un’eccellenza in qualsiasi avventura Pokémon. Ovviamente non troviamo le composizioni orchestrali armoniose tipiche dei giochi principali, ma i motivetti sono tutti orecchiabili e gradevoli.
Ovviamente c’è del buono in Detective Pikachu: il ritorno, specie se si considera la varietà di situazioni che vedono i Pokémon al centro della scena, ma in definitiva, si è persa un’occasione per rendere Detective Pikachu una serie adatta a tutti, offrendo un gioco che avesse un minimo di sfida e un aspetto più curato, anziché godibile dai soli fan dei Pokémon, i quali apprezzeranno sicuramente la decina di ore immersi in Ryme City.