Dopo il “gatto Samus” perché non “Murray” Poppins?

Doinksoft la conoscete…tutti conoscono i gattini, questa enorme forza motrice di click e visualizzazioni, e non credo vi sarà sfuggito il precedente prodotto di questo studio, edito proprio da Devolver Digital: sto parlando di Gato Roboto, un metroidvania in stile Game Boy, in cui per l’appunto, i controlli di una tuta in stile Samus Aran sono demandati a un felino. La stessa Doinksoft è stata anche responsabile di uno dei lanci più curiosi di Devolver, un gioco che sfida le pratiche d’acquisto moderne, promuovendosi con il suo essere “esclusivamente in versione fisica”: Demon Throttle, uno shoot’em up a scorrimento verticale dall’estetica nostalgica.
Non ditemi che non avete sentito di questi due titoli, quantomeno bizzarri e che non ci mettono molto a farsi notare, se non per la qualità effettiva del gameplay, quantomeno per le strategie di marketing. Devolver Digital ha poi effettivamente proseguito il connubio con lo studio in questione, acquistandolo di fatto e pubblicando il nuovo lavoro di cui siamo oggi a trattare, ovvero: Gunbrella.
Abbiamo un debole per le “crasi” nei nomi, e “Gunbrella” spiega quasi tutto ciò che c’è da sapere sul gioco oggetto di questa recensione: si è trattato di fornire al protagonista un ombrello (umbrella) che è anche un fucile (gun) e da lì iniziare a declinare tutte le possibili sfide del gameplay e la storia che vi ruota attorno. Infatti, non solo l’azione, ma anche il platforming, sono evidentemente impattati da questa doppia funzione del marchingegno e se state pensando a una specie di Mary Poppins con il grilletto facile, non siete poi lontani dall’idea che deve essere balzata in testa ai programmatori al momento in cui hanno concepito questo improbabile ibrido.
Non dimenticare l’ombrello…ehm, volevo dire il fucile

Tornando a casa da una raccolta di funghi, il nostro protagonista trova la moglie assassinata in una scena dai toni noir e tarantiniani. L’unica traccia che dà le mosse al desiderio di vendetta è proprio la misteriosa arma/parasole (o parapioggia) che il nostro rinviene sul luogo del delitto e che decide subito di imbracciare. I dialoghi da cui emerge la trama si rivelano uno dei punti di forza del titolo (purtroppo, al momento, solo in lingua inglese) con una narrazione che vi farà ridere dell’ironia verso le convenzioni del genere (sia del filone videoludico, che di quello cinematografico), ma che riesce pure a commuovere, in alcuni scorci in cui si dipanano confessioni profondamente esplorate e motivate, sullo sfondo di una pixel art sapientemente diretta. Le conversazioni vi faranno scoprire il vostro protagonista, il suo nome, ma anche le motivazioni degli altri personaggi, estremamente tridimensionali, per quanto composti da pochi dettagli visivi: ogni piccolo scambio di battute potrebbe non avere immediatamente senso, ma tramite un sistema di scelte binarie (e superata una fase iniziale un po’ ripetitiva, dal ritmo blando e dai toni cupi) vi sembrerà di toccare veramente l’anima degli interlocutori, mentre loro toccheranno (o solleticheranno) la vostra.
You can stand “behind” my Gunbrella…ella…ella…

Per una volta, ci sentiamo di abbandonare l’iniziale impressione di trovarci di fronte all’ennesimo metroidvania e di sposare la definizione “action-platfomer”, che nel caso di Gunbrella calza come un guanto da killer. Il gioco, infatti, non prevede una progressione marcata che permette il raggiungimento di nuove aree, ma piuttosto un incedere abbastanza lineare in cui sono l’esplorazione, il platforming e il combattimento acrobatico a spiccare. Dunque, come avrete capito, oltre a sparare come un simpatico fucile a una distanza media/corta, possiamo utilizzare il Gunbrella come un deltaplano (la tentazione di dire “paravela” è sempre dietro l’angolo) per amplificare lunghezza e direzione del nostro salto, nonché parare tutti i tipi di colpi che i nostri nemici hanno in serbo per noi. Una delle meccaniche più divertenti riguarda proprio la possibilità di effettuare una specie di “perfect parry” con il parapioggia: infatti, solo aprendo l’ombrello all’ultimo secondo saremo in grado di rispedire al mittente i proiettili, causando danni spesso fatali. Il gioco, quindi, prende in prestito i controlli a un twin-stick shooter, perché vi troverete sempre a controllare la direzione dell’ombrello (e quindi la mira) con un analogico e il movimento del personaggio con l’altro.

Questo sistema, unito ai salti a muro e allo scatto che si può attivare premendo uno dei dorsali (l’altro è deputato alle cure) può creare movimenti con angolazioni quasi impensabili in altri congeneri: vi potete lasciare planare su un nemico per poi attivare lo scatto dell’ombrello che vi riporterà su in verticale (e in diagonale) per colpirne un altro sempre dall’alto e superare, al contempo, una parete appositamente decorata con delle spine. Quello che all’inizio può sembrare un sistema macchinoso, una volta padroneggiato (cosa che richiederà un po’ di allenamento) amplifica la profondità del combattimento e del platforming: il protagonista è veramente vivo solo a mezz’aria e opera un’esplorazione in verticale, più che in orizzontale. Questa qualità si esalta soprattutto nelle boss-fight, che arriveranno a creare situazioni in cui non è consigliabile toccare la terraferma. A tutto questo aggiungiamo l’interazione con oggetti distruttibili, come la possibilità di colpire barili infiammabili i cui tizzoni incendiano i nemici o la rottura di candelabri per causare sorti simili e aumentare il raggio delle nostre combo mortali. Visto questo potere iniziale, non esiste una progressione delle abilità, se non la possibilità di aumentare il danno inferto dalla vostra arma e velocizzarne il tempo di ricarica: con l’ombrello fucile si va ovunque, si raggiunge qualsiasi punto dello schermo e questo accade sin da subito.
Storie all’ombra di un parasole

Il titolo risulta piuttosto breve da completare (è possibile terminarlo in circa 6-8 ore), eppure il cammino da un luogo ad un altro e le situazioni/quest che propone ci hanno fatto sentire come se avessimo trascorso molto tempo in viaggio. Non esiste una mappa, ma non se ne sente realmente il bisogno: ogni tanto vi imbatterete in alcune biforcazioni e converrà sempre esplorare prima l’una e poi l’altra via, per terminare alcune delle quest affidatevi dai vari personaggi. Gunbrella desidera che voi vi fermiate a parlare con tutti i vari abitanti delle città e questi vi affideranno missioni che vedranno il vostro rapporto evolversi (con conseguenze durature anche sull’intera partita). Una delle trovate più interessanti è la scelta binaria in molti dialoghi, che quasi sempre avrà ricadute sulla storia dei personaggi con cui interagirete e sul tipo di beneficio che ne otterrete in seguito: ad esempio, darete la gemma al viscido mercante, o al barbone incontrato nelle fogne che continua a sostenere di esserne il legittimo proprietario? Benché nessuna di queste scelte impatti il gameplay in modo da renderlo più o meno difficile, siamo di fronte a una gradita trovata di scrittura e di coinvolgimento, che spezzerà l’azione facendovi sentire a volte fieri, a volte in colpa, prima di ripartire per il vostro cammino di vendetta. Per tutti gli amanti dei finali multipli, beh, sappiate che esistono anche dei bad ending ed un good ending.
Can(n)oni inattesi

Non di solo combat e platforming vive il titolo! Gunbrella si impegna ad arricchire la linearità dell’esplorazione con alcuni eventi mutuati da altri generi (e se non volete spoiler, vi consiglio di saltare al paragrafo successivo, in quanto gran parte della soddisfazione deriva dal fatto che questi eventi sono inaspettati): in alcune fasi terminali dei primi livelli, ad esempio, sarete rincorsi dalle “wraith” che sono apparentemente immortali e che potrete solo rallentare con un colpo di fucile ben piazzato, mentre cercate di guadagnare l’uscita dal quadro…vi ricorda qualche survival-horror? In un’altra variazione sul tema, il gioco tirerà fuori dal cilindro una divertente, per quanto semplicistica e classica, sequenza in stile montagne russe con le berline in miniera, in cui potrete dilettarvi tra salti e colpi di fucile sfrecciando sulle rotaie.
Tutte queste meccaniche funzionano egregiamente, e benché nessun evento in particolare sia il migliore che abbiate mai visto nel genere, tutti quanti strappano un sorriso e rafforzano il contenuto di quello che è già di per sé un ottimo action/platformer, che ci aspettavamo ruotasse soltanto intorno alle possibilità aperte (è proprio il caso di dirlo) dall’ombrello-fucile. La sottotrama ecologica che fa da sfondo alle vicende è trita e ritrita, ma sono le caratterizzazioni a renderla interessante, e anche alcune situazioni, per quanto già viste, sono vincenti perché non calcolabili in una produzione indipendente di questo tipo.
Performance e suoni di un noir digitale

Come nel caso di Gato Roboto e Demon Throttle, il gioco, non richiede particolari sforzi all’hardware di Nintendo Switch e gira fluido sia in modalità “docked” che in portabilità, che rappresenta sempre un plus rispetto ad eventuali versioni per altre console.
La soundtrack segue le ispirazioni noir comunicate da un jazz malinconico, per poi passare ai sintetizzatori e a musica più minimale nelle fasi eldritchiane dell’avventura: trattandosi di una produzione indipendente, anche la colonna sonora risulta contenuta nel repertorio dei motivi, ma proietta la sua ombra sulle emozioni di ogni momento. Gli effetti audio non sono particolarmente esaltanti, anche se vi sfidiamo a non girarvi ogni volta che sentirete quello della porta che si apre e si chiude. Come al solito, è apprezzabile il grammelot dei personaggi, che quantomeno ne comunica l’essenza e l’intenzione dei dialoghi non doppiati.
Piove sempre sul bagnato?

Quando le nubi si diradano, Gunbrella ne esce come un salto di qualità enorme nelle produzioni proposte da Doinksoft, sia per profondità che per qualità. La meccanica del fucile-ombrello è estremamente attraente e vende da sola l’anima action e al tempo stesso platformer del titolo, creando situazioni interessanti, sfidanti (ma mai eccessivamente frustranti, una volta presa la mano) e insolitamente piene di verticalità. La scrittura è frizzante e autoironica, ma regala anche momenti di vera commozione e si inserisce in un sistema di scelte di comportamento binario che, per quanto rare, portano varie conseguenze e ripercussioni per chi gioca. Tutti questi piccoli contenuti tipicamente non propri del genere, non fanno gridare al miracolo per l’originalità, ma risultano inattesi in questo contesto e, forse grazie al gunbrella, in questa produzione non piove sul bagnato. Non resta che capire quali altre cartucce potrà sparare questo talentuoso studio con la sua prossima produzione, vista la corrente ascensionale di qualità che ha saputo prendere, aprendo bene l’ombrello. Quel che auspichiamo, è che la prossima volta il loro attacco ci piombi addosso dall’alto.
