Chants of Sennaar – Una recensione tra segno e significato

Chants of Sennaar
Chants of Sennaar è un curioso indie incentrato sulla decrittazione di lingue sconosciute, ma esiste davvero uno spazio da colmare tra segno e significato?

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Genere: Rompicapo
Multiplayer: Assente
Lingua/e: Testi in italiano

Come ritrovarsi “persi nella traduzione”

No, questa non è Piazza dei Miracoli e quella non è la torre di Pisa.

Apro questa recensione con un consiglio: se vi piacciono i puzzle-game o vi interessate di traduzione o di linguistica, non leggete oltre, ma comprate e supportate Chants of Sennaar sulla fiducia. Per tutti coloro che dopo questo cappello non fossero persuasi (e oggettivamente la cover-art del gioco non rientra nelle più accattivanti mai viste) sappiate che anche il solo esplicitare alcune meccaniche di gameplay purtroppo produce degli spoiler su brani di giocato che invece risultano tanto più efficaci, quanto più emergono dalle capacità e dai tentativi del giocatore.

Quando mi è stata proposta la recensione di Chants of Sennaar, ammetto che ero a conoscenza della sua esistenza, ma non della sua proposta ludica. Dopo qualche trailer e qualche ricerca, il gioco mi ha subito riportato alla mente Heaven’s Vault (presente anch’esso nella libreria di Nintendo Switch) un’avventura archeologica molto profonda, che vi vede impegnati nel decifrare i geroglifici della lingua di un’antica civiltà composta di oltre mille parole, appositamente per il gioco. Certo, molti indie di qualità negli ultimi tempi ci hanno abituato alla comprensione e decrittazione di linguaggi fittizi: dall’alfabeto di Fez, alle iscrizioni di Hyperlight Drifter, fino ai più recenti simboli di Tunic, l’introduzione di un linguaggio misterioso, ma decifrabile con una stele di Rosetta o con il trial and error, hanno composto parte del mistero e del fascino dei giochi citati.

Se questo tipo di fascinazione però diventa la meccanica trainante del titolo, il risultato è proprio Chants of Sennaar, uno dei primi titoli pubblicati sotto la neonata etichetta Focus Indie Series (a riconferma che anche Focus Home Entertainment sta cercando di consolidare la propria posizione nel mercato delle sorprese indipendenti) e sviluppato da Rundisc.

Avete mai visitato la torre di Babele? Siete pronti a scoprire la differenza (e la distanza) tra quello che credete di aver capito di una lingua e ciò che effettivamente vuole significarvi?

Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro

Ecco una lente…devo solo fare qualche chilometro per metterla dove veramente mi serve.

Il titolo del gioco ne suggerisce l’ambientazione: Sennaar è una regione dell’antico Oriente posizionata nella valle dell’Eufrate, che gli antichi identificavano come Babilonia, e che compare in un ben noto episodio della Genesi (da cui è tratta la frase qui sopra). Il nostro protagonista incappucciato si risveglia alla base della torre, senza una definizione precisa di chi sia e come sia giunto in quel luogo, ma coperto solo dal proprio mantello e pronto ad esplorare. Il gioco si configura come un investigativo, un puzzle-game dall’aspetto 3D isometrico, che nello stile artistico si ispira non poco a Moebius, anche se dispensa i colori poco per volta, lungo i vari piani dell’edificio, per differenziare le cinque caste presenti. Non ci metteremo molto a capire che la torre di cui sopra è proprio quella di Babele, e che ognuno dei cinque piani (che poi non sono altro che i livelli di gioco) ci pone una sfida di traduzione e comprensione dei segni linguistici dei popoli che la abitano e che un tempo parlavano un idioma comune.

Semiotica interpretativa: corso base videoludico

Se non capisci il fumetto, prova a colmare le distanze con le leve.

Fortunatamente per noi il gioco parla e comprende l’italiano, così che potremo partire dalla nostra lingua madre per tradurre i segni e i comportamenti che incontreremo in parole a noi molto vicine. Infatti, mossi i primi passi, ci ritroveremo a contatto con alcuni individui che abitano la torre e che, attraverso semplici gesti, ci indicheranno leve da premere od ostacoli da superare: attraverso i fumetti sopra le loro teste inizieremo a raccogliere i primi simboli della loro lingua, che potremo tentare di associare in modo del tutto arbitrario a quello che pensiamo sia il loro significato. Proveremo, ad esempio, ad appuntare delle ipotesi di senso come nota sul simbolo selezionato, che in seguito richiameremo tramite un menu a tendina contenente tutto l’alfabeto svelato sino a quel dato momento. Si procederà dunque con un’alternanza di parlato via via sempre più comprensibile, eventi, enigmi ambientali, minigiochi dalle trovate originali e interazioni varie con l’ambiente, nonché lettura delle varie insegne, iscrizioni, pagine che troveremo, finché di tanto in tanto il gioco deciderà che abbiamo sufficienti elementi per passare ad una corretta associazione di un gruppo di simboli: a quel punto, il nostro incappucciato aprirà il suo taccuino e disegnerà un gruppo di figure che rappresenteranno concetti astratti o concreti; accanto a questi troveremo uno spazio vuoto in cui inserire il simbolo corrispondente (secondo le ipotesi da noi precedentemente annotate).

La magia si crea nella differenza tra segno e senso

Finché è una denotazione, tutto bene, ma quando si tratterà di una connotazione?

Non appena azzeccheremo la corretta associazione (non importa se la nostra traduzione è perfetta o meno), il gioco ci fornirà il reale significato di ogni segno. Questo costituisce la principale magia di Chants of Sennaar: il senso di soddisfazione dato dalla conferma delle nostre ipotesi, qualora abbiamo fornito l’interpretazione corretta, o il senso di scoperta dato dalla differenza marginale oppure enorme, tra ciò che avevamo ipotizzato e ciò che effettivamente il simbolo significa nella lingua di quel dato popolo. Prima che ve lo chiediate, sì, è possibile tirare a indovinare finché non azzecchiamo le associazioni corrette, fatto che denota l’essenza del tutto rilassata e contemplativa del titolo.

Una scalata sul monte della traduzione, per mettere tutte le lingue sullo stesso piano

Questo è quello che noi chiamiamo “Scudo di Rosetta”.

I creatori hanno indirizzato la progressione delle prime fasi a partire dalle definizioni verbali dello spazio, con associazioni semplici come “aperto/chiuso” che si scoprono tramite dialoghi iniziali volti a interagire con le prime porte e leve, per poi finire a interpretare concetti come l’amore per l’arte o codici di comportamento militari. Sarà stimolante scoprire il carattere che un popolo utilizza per indicare che la parola a esso successiva è plurale, mentre un’altra popolazione (dal linguaggio meno strutturato) ripeterà semplicemente due volte lo stesso sostantivo, sempre per indicare la pluralità. Vi sentirete dei geni, quando capirete che una strana stringa di caratteri, in realtà è solo un segno convenzionale per indicare l’inizio di una frase interrogativa nella lingua del popolo presso cui vi trovate.

Scoperte come queste forniranno un senso di avanzamento, che inizierà a farci sentire meno persi, dato che, nonostante il layout dei livelli non sia gigantesco, non esiste niente che assomigli ad una mappa. Una delle pecche del titolo risulta essere proprio la mancanza di scorciatoie e l’accessibilità simultanea a tutte le zone e a tutte le iscrizioni scoperte (come invece accadeva nel più furbo Obra Dinn, che contiene tutti, ma proprio tutti gli elementi dell’investigazione all’interno di un comodo registro), costringendo a un estensivo backtracking per rimettere insieme indizi, oggetti e loro definizioni. Potremo infatti salvare in qualunque momento, ma gli unici “teletrasporti” (che fungono anche da “citofoni” tra le varie culture) sono quelli da un piano ad un altro della torre, o al massimo da una zona iniziale a una zona terminale dello stesso piano.

Ecco, mi vedete? Sono l’ultimo della fila…e quella che ho in mano è una bottiglia. Il solito ubriacone!

Come brevemente accennato, gli enigmi ambientali e le combinazioni tra vari oggetti sono la base del titolo, ma non mancano eventi diversivi come minigiochi, che servono a chiarificare l’utilizzo di alcuni simboli (ne esiste uno simile a quello delle tre carte, che è un pretesto per far capire alcune gerarchie delle principali caste). Purtroppo esistono anche delle fasi stealth banalmente accennate e che hanno più la funzione di quick-time event per passare da un luogo ad un altro precedentemente inaccessibile, piuttosto che rappresentare una vera componente di gameplay.

Questa piccola gemma indie poteva fermarsi qui, ma prosegue inserendo ulteriori sfaccettature delle quali non vorrei rovinarvi la sorpresa: sappiate solo che, a un certo punto, vi troverete a tradurre simultaneamente da una lingua all’altra e che per vedere il vero finale dell’avventura dovrete far parlare i vari popoli tra di loro.

Tecnica e suono dell’investigazione linguistica

No no, quella è acqua, non…cedrata.

Il gioco si comporta molto bene tecnicamente, per via del suo pacing estremamente riflessivo, e lo scarso stress sull’hardware di Switch, sia in docked che in portatile. L’unico difetto potrebbe essere costituito dall’assenza di opzioni per ingrandire il testo, che in portabilità affatica la lettura in quanto può risultare molto piccolo.

Le musiche non sono niente di inaudito, ma creano un sottofondo ben contestualizzato, lasciando spesso spazio al silenzio delle maestose architetture e vedute, o sottolineando i caratteri distintivi dei vari piani, mentre i vari brontolii dei personaggi, invece, comunicano molto bene il carattere dell’interiezione relativa, aiutando non poco nella comprensione dei caratteri nei balloon.

Per terminare Chants of Sennaar abbiamo impiegato circa una quindicina di ore, tempo che potrà aumentare o diminuire, a seconda di quanto inciamperete nel trial and error e, in generale, di quanto siete avvezzi a puzzle anche abbastanza estesi e concatenati, in cui un solo lampo di genio può immediatamente innescare una positiva soluzione a catena. Un po’ di tempo, purtroppo, va perso nel cercare effettivamente la zona che ci fornirà la chiave dell’enigma successivo e, come detto, avremmo forse gradito qualche feature che rendesse tutte le zone e tutte le frasi ascoltate immediatamente richiamabili, consultabili o raggiungibili attraverso il nostro taccuino, invece di dover fare affidamento sulla sola memoria fotografica o ritornando faticosamente sul luogo dell’evento.

C’è un linguaggio che esiste fuori e dentro le lingue, ed è fatto per unire

Alle “tre carte” non vinco mai, ma con le “quattro carte” sono fortissimo.

Il risultato più impressionante di Chants of Sennaar è la creazione di uno spazio interpretativo dalle sottili o abissali sfumature, che però dona piacere o stupore con ogni successiva scoperta, pur rimanendo fortemente bilanciato. Inoltre, il gioco cattura proprio tramite design, eventi e meccaniche che manifestano intrinsecamente le differenze create dalla parola tra i vari popoli, e come la traduzione possa effettivamente unirli. La magia deriva proprio dalla sensazione di distanza che si crea tra la nostra interpretazione e la soluzione effettiva con i suoi significati, questo per far capire la somiglianza e la distanza tra la comprensione di lingue simili, ma profondamente diverse. Al netto di alcune fasi meno efficaci di altre (le sezioni “stealth” su tutte) e di un backtracking basato solo sulla memoria, per via dell’assenza di una mappa o di opzioni per il richiamo degli indizi, siamo di fronte a un titolo che non può essere giudicato solo dalla propria “cover art”. Se fosse arrivato durante i miei studi semiotici all’università, questo gioco avrebbe reso più digeribile e divertente lo studio di alcuni concetti!

Il vero fine del titolo non è solo quello di tradurre correttamente tutti i segni di tutti i livelli della torre, ma di mettere in contatto i diversi idiomi, i “canti”, quasi imparando a suonare una nuova lingua, una stessa musica, che può far tornare lo scambio tra popoli orizzontale, e non verticale.

Il citofono unisce le persone dai tempi de “La Cremeria”.
Ho studiato e tradotto simboli come il Robert Langdon della Torre di Babele, per circa quattordici ore (sia in docked che in portatile), grazie ad un codice gentilmente fornito per la recensione.
Pro: Tradurre lingue sconosciute giocando eventi non banali e tuttavia scoprire che c’è qualcosa di “perso nella traduzione” (come spiegava un ottimo film). Il filo conduttore del titolo ha uno scopo più ampio di quanto appaia inizialmente.
Contro: Alcune fasi diversive non sono all’altezza del piatto principale. Manca tantissimo una mappa o un menu (già visto in titoli simili) che faciliti il richiamo di tutti gli indizi e le conversazioni scoperte e non costringa a tornare fisicamente, ogni volta, sul luogo dell’interazione.
8.6

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