Talmente siamo abituati a considerare la mitologia al pari della classica narrativa di fantasia che sarebbe davvero curioso capire come reagiremmo dovessimo scoprire che, in realtà, dei, divinità ed eroi leggendari sono realmente esistiti, e alcuni di loro sono tuttora tra noi. Questo è ciò che succede a Grace, la protagonista del curioso RPG musicale intitolato Stray Gods: The Roleplaying Musical, opera prima del team di Summerfall Studios approdata di recente su Nintendo Switch.
Come si può intendere dal titolo, trattasi di una produzione che mette in scena una storia ricca di inserti musicali, in cui il giocatore può intervenire effettuando delle scelte in linea con il sentimento della situazione o per assecondare in cui immaginiamo la nostra protagonista. Siamo molto vicini al concetto di Visual Novel, peculiare sotto alcuni aspetti e un po’ più rigida in altri, costruita su menù molto sintetici e sviluppata su un numero piuttosto contenuto di scene da navigare grazie a una mappa molto semplificata.

Ma di che parla questa nuova avventura videoludica? Grace è una giovane ragazza che, come tante, è indecisa sulla strada da intraprendere nel suo futuro, e passa i propri pomeriggi a provare con la band creata insieme alla sua amica Freddie. Mentre segue le audizioni per la ricerca di un nuovo membro del gruppo, che possa magari dare una scossa a quella che per loro ormai è una quotidianità stantia, Grace si imbatte in Calliope, una ragazza capace con la sua sola voce di trascinare chi l’ascolta in un palcoscenico, sul quale può diventare protagonista della scena. Sarà solo suggestione o c’è qualcosa di più? Difficile capirlo, anche perché la misteriosa ragazza scompare senza lasciare traccia.
Grace lo scoprirà suo malgrado quando una Calliope gravemente ferita le farà visita e, in punto di morte, le donerà la sua stessa essenza vitale, ovvero lo spirito dell’ultima musa dell’Olimpo, che da millenni viene tramandato di erede in erede. Gli eventi non possono che richiamare l’attenzione delle altre divinità, definite “Idoli”, che la convocano immediatamente in quanto accusata dell’omicidio di Calliope e condannata a morte. Dopo aver appurato, seppur incredula, come il nostro mondo ospiti tutt’ora divinità immortali come Athena, Persefone, Afrodite e Apollo, Clare riuscirà a ottenere da loro una settimana di tempo per provare la propria innocenza: ci riuscirà? E chi potrà aiutarla nelle sue indagini in questo mondo del tutto nuovo, di cui ora fa parte come nuova musa?

Da qui parte un viaggio estremamente promettente per quel che concerne sia lo stampo narrativo dell’opera che le possibilità offerte dal giocatore. Grace è infatti in grado di utilizzare i poteri di Musa per trasformare ogni dialogo in una canzone, riuscendo a far esprimere ai propri interlocutori i propri sentimenti in modo onesto, intenso e coerente con la linea data alla canzone.
All’inizio infatti il giocatore potrà scegliere l’indole della protagonista tra tre tratti caratteriali, dal più accomodante e amichevole a quello più “focoso” e indipendente, passando per l’approccio più ragionato. Questa scelta permette di accedere ad alcune scelte di dialogo esclusive durante le conversazioni standard, mentre durante le canzoni potremo comunque scegliere di volta in volta quale approccio seguire.

Dopo un paio di esibizioni ci si rende conto che come i giocatori abbiamo letteralmente il controllo dei partecipanti alla canzone, e di come si possa pilotare scambi ed esiti in modo piuttosto convincente. Non possiamo decidere cosa diranno o decideranno i nostri interlocutori, ma sicuramente siamo in grado di guidarne le emozioni con il giusto approccio, portandoli verso quanto è di meglio per loro (e di conseguenza anche per noi) e aprendo al tempo stesso a parti di canzoni diverse per testo e genere musicale. È estremamente divertente guidare Grace attraverso i suoi “cambi di umore” e vederla battagliare a suon di musica in modo più o meno respingente con gli altri personaggi.
Non mancano le opzioni romantiche, che si sviluppano di dialogo in dialogo nei vari incontri se vengono selezionate, ma che possono presentarsi anche quando meno ce l’aspettiamo, andando a cambiare in modo radicale l’andamento di alcuni rapporti. Non aspettiamoci però chissà che cosa: le opzioni sono limitate e tendenzialmente soddisfare la romance porta più che altro rimodulare alcune situazioni, con risultati non troppo determinanti sulla linea narrativa principale.
Ed è qui che inevitabilmente andiamo a parlare del grande difetto di Stray Gods: The Roleplaying Musical, ovvero la (quasi) totale assenza di potere del giocatore sullo svolgimento della storia. Indipendentemente da come affronterete gli eventi, da chi vi farete amico, da chi avrete come romance e da come deciderete che alcune situazioni specifiche prendano forma, i nodi principali e realmente vincolanti della trama saranno inevitabili, che si tratti del destino di Grace che di altri personaggi, anche nel caso di tragedie. All’inizio è solo un sospetto, che diventa certezza dopo la seconda run.

Se a questo aggiungiamo l’impossibilità di ottenere game over o di incappare in ramificazioni realmente tangibili utili ad evitare destini avversi o trasformare il finale, è chiaro come sia davvero difficile valutare la bontà dell’opera senza considerare come l’elemento interattivo risulti più un corredo, quasi un’aggiunta di colore, per un’esperienza che per quanto interessante non offre chissà quale grande coinvolgimento.
Tutto ruota sull’indagine atta a trovare il vero assassino di Calliope, ma la direzione, gli eventi e il modo in cui si verrà a scoprire la verità saranno sempre gli stessi, quasi inevitabile nel loro dipanarsi quanto sarà ininfluente il nostro operato. Potranno cambiare alcuni passi sul cammino, così come potrebbero essere diversi i nostri interlocutori (o gli stessi, ma presentarsi in tempi leggermente diversi), ma non avremo mai in mano scelte cruciali, bensì verremo condotti in modo precipitoso sul luogo del delitto, in coda a un sospettato e infinine alla verità in una serie di scene praticamente sequenziali, cosa che rende anche il primo playthrough non troppo entusiasmante.

Sebbene il gioco sia incapace di dare forma a una linea direttrice coinvolgente, risplende invece quando si tratta di lavorare sui personaggi. Ogni divinità è caratterizzata in modo peculiare, giocando spesso su quella che è la percezione di loro che ha l’umanità per via dei racconti tramandati di generazione in generazione, da cui spesso orgogliosamente distaccano in maniera convinta, ma che a volte, per via del passare del tempo, è difficile non credere possano contenere frammenti di realtà.
Anche il tema dell’immortalità è affrontato in modo affascinante (forse la tematica più riuscita dell’intera opera, su cui evitiamo spoiler) ed è innesco per alcuni dei momenti più emozionanti e struggenti della produzione. Stray Gods: The Roleplaying Musical è scritto da David Gaider, autore con alle spalle una pluriennale esperienza su Dragon Age, il quale è stato capace in questo nuovo formato videoludico di mantenere una certa freschezza nello sviluppo delle conversazioni a scelta multipla, che con il giusto approccio possono portare ad approfondire psiche, passato e sentimenti in modo sorprendente. E deo gratias non siamo di fronte all’ennesima storia di dilemmi giovanili dal lieto fine scontato e zuccheroso, affrontando invece difficoltà all’apparenza tradizionali (come l’amore e il senso di colpa) a cui però corrispondono conflitti profondi e conseguenze tremende, da strappare il cuore.

La volontà di tenere aperte tutte le opzioni di “ingaggio” in ogni canzone, senza inserire paletti o effettive conseguenze per il giocatore, porta però con sé qualche piccola incongruenza: è capitato ad esempio che dando corda alla Grace “ribelle” io abbia volutamente e letteralmente provocato uno scontro (con inevitabile canzone), con tanto di dialogo a confermarlo. Partita la musica, nelle primissime opzioni di dialogo era disponibile una ben poco credibile apertura pacificatoria “Non voglio combattere con te”, decisamente poco in linea con il precedente scambio in cui più o meno si recitava “Ora basta, vuole la rissa, qualcuno dovrà pure farle il culo”.
Al netto di questo, è molto divertente esplorare le personalità dei vari personaggi e scoprire i loro lati più affascinanti. Si tratta sempre di creature millenarie che sono sopravvissute al mondo e alle sue crisi, portando con sé bagagli di esperienza in grado di viziare in modo a volte inattaccabile il loro approccio alle sfide, al dolore e alle responsabilità. È in questa occasione che Stray Gods: The Roleplaying Musical dà il suo meglio, nello scontro dissonante tra le priorità di una giovane umana, la cui vita rappresenta ben poco nonostante racchiuda in sé lo spirito dell’ultima Musa, e quelle dei coprotagonisti, segnati da profonde cicatrici e intrappolati in una catena di rimorsi e rimpianti che impedisce loro di offrirle un adeguato aiuto con la giusta lucidità.

Ma veniamo alle canzoni, punto focale dell’esperienza: alla composizione troviamo un vero e proprio pezzo da novanta per il settore, ovvero Austin Wintory. Il pluripremiato autore statunitense torna dopo i suoi eccellenti lavori su Journey, The Banner Saga e ABZU (oltre che nel cinema) per offrire una serie di pezzi estremamente variegata e in grado di mutare nell’esecuzione in modo fluido, senza soluzione di continuità.
A livello tecnico e di funzionalità, lavoro ineccepibile: la brillantezza con cui i pezzi passando dai ritmi lenti al rap o si adagino sul jazz è a tratti esilarante. Quando poi si riescono a intercettare le scelte di dialogo che portano agli esiti musicali più riusciti, le canzoni vengono elevate in modo potente, esprimendosi al meglio.
D’altro canto però questa flessibilità si paga e purtroppo buona parte delle canzoni è classificabile quasi come una “parlata sulla musica”, senza riuscire a trasmettere le giuste emozioni. I pezzi realmente travolgenti e le esibizioni in grado di generare un legittimo crescendo emotivo a tempo di musica si contano sulle dita di una mano. Un vero peccato, perché con titoli simili il traguardo minimo sarebbe quello di lasciare nella mente e nel cuore del giocatore melodie che risuonano anche giorni dopo aver completato il cuore, mentre nel mio caso principalmente ricanticchio un paio di incontri avuti con l’imprevedibile Pan – uno dei migliori personaggi del gioco, senza ombra di dubbio.

Ed è un peccato perché anche il cast di doppiatori, capitanato dagli ormai prezzemolini (ma sempre apprezzatissimi) Laura Bailey e Troy Baker, svolge un ottimo lavoro a livello interpretativo, donando il giusto carisma a personaggi molto intriganti e diversificati, i quali però non sempre riescono a sfuggire dall’immaginario stereotipato (donna forte, indipendente e omosessuale? Taglio corto e rasato sui lati prego!). Ci si passa sopra, per carità, una volta che si realizza come i tratti di inclusività non vengano sbattuti in faccia al giocatore ma risultino invece, come è giusto che sia, elemento perfettamente integrato in contesto e narrativa.
A livello tecnico però c’è qualcosa che non va per quel che concerne il missaggio: spesso alcune linee di dialogo vengono riprodotte a un volume sensibilmente più basso delle altre, risultando quasi difficili da ascoltare, anche se a conti fatti la struttura estremamente statica del gioco non giustifica un posizionamento 3D delle varie voci – dovesse essere quello il problema. Si spera risolvano con una patch.

A livello di estetica invece non si può che esprimere un giudizio positivo per quel che si mostra come una fusione perfettamente riuscita tra personaggi da comic rappresentati in stile rotoscope e fondali disegnati in cui spiccano specifici elementi 3D. Bene, bravo, bis, vorrei vedere tantissimi giochi così, non fosse che su switch – forse per le consuete difficoltà con Unreal Engine – la qualità dell’immagine risulti un po’ bassa e nel complesso “sporca”, soprattutto in modalità TV, andando a distruggere l’impatto visivo graffiante sfoggiato su altre piattaforme.
Che dire di questo Stray Gods: The Roleplaying Musical? Un titolo di cui mi sono innamorato dal primo annuncio, che ho atteso con ansia e che per buona parte della prima run mi sono goduto con un certo trasporto. Proseguendo nella prima partita e durante la seconda ho invece realizzato come mancasse davvero qualcosa per rendere il titolo davvero speciale. La storia manca di una componente investigativa credibile, le relazioni tra i personaggi non influenzano realmente (in positivo o negativo) eventuali e importanti diramazioni di trama e le interazioni quindi risultano quasi superflue. Rimane divertente da matti essere “padrone” dei momenti di musical, da provare e riprovare alla ricerca della migliore interpretazione, e i personaggi sono comunque estremamente piacevoli (con alcuni picchi, in particolare tra i secondari), ma forse l’esperienza complessiva meritava un po’ più di spessore e di credibilità come “videogioco” per essere apprezzata al meglio.