The Legend of Zelda: Breath of the Wild è morto, viva Breath of the Wild

Ha ancora senso giocare a Breath of the Wild dopo l'uscita di Tears of the Kingdom.

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L’arrivo del tanto atteso sequel ha cambiato molte carte in tavola

Sono trascorse solo poche settimane dal lancio di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, il tanto atteso sequel di uno dei giochi più rivoluzionari dell’intero panorama videoludico mondiale che ha ribaltato completamente il modo di approcciarsi all’open world.

Parliamo ovviamente di The Legend of Zelda: Breath of The Wild, il titolo che ha accompagnato sin da subito il lancio di Nintendo Switch sul mercato nell’ormai lontano 2017 e che è riuscito a modificare per sempre il modo di percepire e di pensare ai videogiochi basati sulla meccanica dell’open world. Da allora a oggi in molti si sono ispirati a lui, ma ancora nessuno è riuscito veramente ad eguagliarlo (tranne il suo diretto successore).

The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom – Recensione

A cura di emil petrov

Non è morto ciò che in eterno può attendere

La domanda sorge spontanea: dopo il lancio di Tears of the Kingdom ha ancora senso giocare Breath of the Wild? Considerando l’enorme quantità di tempo che quel gioco richiede, ha ancora senso acquistare il primo capitolo e dedicargli magari un centinaio di ore tra la ricerca di Santuari e Semi Korogu, armi leggendarie ed esplorazione?

La risposta, incredibilmente, è sì! Breath of the Wild è un gioco che ha completamente rivoluzionato il concetto di open world moderni, in cui fino ad oggi abbiamo visto giochi con mondi vasti che fungevano più da sfondo che da componente essenziale del gameplay. Prendiamo ad esempio un titolo lanciato praticamente in concomitanza ma su PlayStation 4, ovvero Horizon Zero Dawn.

L’open world creato dal team di Guerrilla Games è uno dei più belli e colorati dal punto di vista visivo. La quantità di dettagli sullo schermo è fantastica e l’attenzione dedicata al suo design è ancora oggi eccezionale. Tuttavia, al di là dell’aspetto visivo, quel mondo risulta vuoto, poco interattivo e privo di vita. Non esiste un legame tra la bellezza visiva e il gameplay, poiché il massimo che possiamo fare è scalare zone predeterminate dagli sviluppatori e raccogliere qualche oggetto o pianta, senza poter sfruttare caratteristiche specifiche come nel caso di Breath of the Wild. Non possiamo decidere di saltare oltre un nemico utilizzando l’erba per creare una corrente d’aria, né sfruttare i temporali o i fulmini a nostro vantaggio, né pescare con la luce dei fulmini, e così via. Lo stesso accade anche in altre produzioni simili, come ad esempio la serie Assassin’s Creed, con i suoi vasti open world in cui l’interazione è ridotta al minimo.

Facendo un rapido confronto con questi giochi simili, dopo 6 anni dal lancio, Breath of the Wild rimane ancora un gioco perfettamente godibile e giocabile, in grado di offrire un’esperienza di gioco solida e un elevato numero di ore di divertimento, anche grazie al rilascio di due DLC successivi al lancio.

Tears of the Kingdom, una nuova evoluzione

Dato questo contesto, è giusto fare un confronto scomodo ma inevitabile: dopo il lancio dell’ultimo capitolo, c’è ancora spazio per Breath of the Wild? Oppure l’evoluzione della serie è talmente grande da impedire al titolo precedente di trovare un posto nel vasto universo di The Legend of Zelda?

La risposta, ancora una volta, è si. Malgrado le ovvie differenze date da anni di lavoro ed evoluzione del concetto alla sua base, dall’incredibile libertà creativa concessa al team di Aonuma da parte di Nintendo (ampiamente meritata, sottolineiamolo) e malgrado anche alle tantissime novità di gameplay introdotte proprio in quest’ultima iterazione, Breath of the Wild può ancora offrire molto per ragioni abbastanza semplici.

I due giochi, accomunati da una narrazione continua dal primo capitolo al suo diretto successore, sono stati costruiti con un’idea comune ma comunque diversa. Questa esperienza è rappresentata dal modo in cui è possibile interagire con il mondo di gioco, che è simile ma diverso grazie ai poteri concessi a Link durante l’avventura.

Tears of the Kingdom è un vero gioco Next Gen

a cura di riccardo piccinini

I poteri a disposizione in Breath of the Wild sono stati totalmente soppiantati dalle nuove abilità viste in Tears of the Kingdom. Non avremo più abilità come il Glacier, lo Stasis, il Magnetismo né potremo creare e lanciare bombe a nostro piacimento. E come accennato in precedenza, questa differenza di abilità crea una differenza anche nell’approccio al gameplay, sia in combattimento che nell’esplorazione.

I due mondi, sebbene simili in alcuni aspetti, sono stati ideati, costruiti e realizzati tenendo presente questa differenza nelle abilità. Il modo di affrontare le sfide è quindi completamente diverso.

Facciamo un esempio pratico: in Breath of the Wild per attraversare un fiume o un lago dovremo ricorrere all’abilità Glacier, in grado di creare delle piccole torri ghiacciate su qualsiasi superficie d’acqua. Quest’abilità quindi permette di risolvere gli enigmi ambientali in diversi modi, non solo creandoci un ponte provvisorio ma anche un appiglio utile per la scalata magari di una cascata, o un riparo efficiente contro un attacco nemico. La stessa cosa non può avvenire, per forza di cose, in Tears of the Kingdom, dove la mancanza di quest’abilità ci obbliga a trovare delle strade alternative.

Ad esempio, per attraversare un fiume, potremmo dover costruire una piccola barca o una zattera, magari utilizzando anche un congegno Zonau per spingerci contro la corrente.

Questo è solo uno dei mille esempi possibili di come i due giochi non vadano ad annullarsi tra di loro, né di come l’ultimo capitolo cancelli tutte le possibilità offerte dal precedente. Semplicemente, Breath of the Wild continua a rimanere vivo grazie alle sue unicità, ai suoi dungeon e puzzle ambientali studiati per esser risolti grazie alle sue abilità uniche che non troveremo in Tears of the Kingdom.

Inoltre, la Hyrule che vediamo in Tears of the Kingdom è stata modificata e migliorata anche in vista delle nuove abilità. C’è molta più verticalità da sfruttare con Ascensus, ci sono ampi spazi ora ricchi di vegetazione e popolazione, sparsi per le mappe troveremo pezzi utili alla costruzione tramite l’abilità Ultramano, ogni oggetto potrà interagire in modi diversi se unito mediante Compositor e così via.

Certo, il suddetto capitolo ha anche migliorato alcuni aspetti che nel precedente erano meno evoluti, ma ciò continua a non essere una scusante sufficiente per considerare Breath of the Wild un capitolo “vecchio e sorpassato“.

Riassumendo il tutto, quindi, The Legend of Zelda: Breath of the Wild è e rimane tutt’ora un gioco eccezionale, dotato di vita propria e che ancora oggi può essere serenamente affrontato pur data l’ingombrante presenza del suo incredibile successore.

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