Tears of the Kingdom è un vero gioco Next Gen

The Legend of Zelda Tears of the Kingdom, per quanto non sia un campione di pixel e framerate, mette in scena un tecnicismo spinto, unico nel campo dei tripla A.

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Dopo le focose recensioni che vedono Tears of the Kingdom come un 10 secco ovunque (anche qui da noi), le voci di discontento dell’online si sono fatte sentire, sia da gente che non lo sta minimamente giocando, sia da persone che potrebbero non trovare nelle proprie corde il titolo.

Molte delle lamentele lette, di quelle sparate a 0, riguardano il fatto che il gioco “abbia una grafica da Playstation 2” e quindi non meriti un 10, che ricordiamo non rappresenta una perfezione ma un’indicazione del fatto di come sia un titolo da comprare ad occhi chiusi senza badare al prezzo di copertina e giocare se si vuole avere una panoramica omnicomprensiva sul mondo del gaming. Qui purtroppo si evidenzia principalmente l’incapacità di guardare al gioco da un lato tecnico a 360 gradi fermandoci semplicemente al lato superficiale.

Coglievo l’occasione per quindi dare una panoramica generale dei punti sui quali basare un’analisi tecnologica di un titolo, per aiutare a formulare critiche più mirate. Un videogioco viene realizzato avendo un obiettivo di come dovrebbe essere, che viene aggiornato dinamicamente durante lo sviluppo in base ai risultati, e scegliendo gli strumenti necessari a raggiungere l’obiettivo. I motori grafici, o meglio dire i Game Engines, sono l’insieme strumenti dati in mano agli sviluppatori per perseguire i propri scopi. Ed ogni progetto deve trovare il giusto compromesso.

Il primo grande punto che secondo me si tende a dimenticare è questo: se devo valutare l’operato grafico e tecnico di un prodotto, non posso rimuovere dall’equazione la piattaforma obiettivo. Zelda Tears of the Kingdom è progettato per Nintendo Switch. E pertanto i suoi risultati devono essere valutati in quanto girano su questa piattaforma. Il fatto che Switch sia incredibilmente poco potente per gli standard attribuiti ad altre piattaforme non dovrebbe portare ad una denigrazione a priori, quanto ad una contestualizzazione. Anche perché è un ragionamento che non ha mai fine. Anche i giochi su Playstation 5 e Xbox Series X sono castrati perché esistono PC con 7800X3D, 64GB di RAM, SSD gen 5 e con una RTX 4090 con capacità di Ray Tracing fuori scala. E tra qualche anno ci saranno componenti ancora più nuove.

Quindi, assunto che un gioco per Nintendo Switch si valuta rispetto a cosa fa su un Nintendo Switch, quali sono i punti principali intorno ai quali intavolare un discorso grafico-tecnologico di un videogioco?

Pixel – l’unità di misura base

La prima cosa che salta all’occhio di un giocatore è la Qualità dell’Immagine, che ovviamente in inglese si traduce come Image Quality. Possiamo definirla come la pulizia dei pixel che arrivano ai nostri occhi. Come l’immagine vene generata è un processo oramai molto complesso, pieno di tanti step. Da quando siamo passati dalla tecnologia a tubo catodico a quella dei cristalli liquidi, l’informazione delle immagini a noi presentate è diventata discretizzata in pixel precisi. Il colore di ogni singolo pixel deve essere calcolato con precisione per mostrare ai nostri occhi la giustezza dell’immagine, con i bordi degli oggetti che siano effettivi bordi e non appaiano scalettati ad esempio. Idealmente, più sono i pixel (risoluzione), più precisione avrò nel mostrare l’immagine e più questa apparirà pulita e stabile.

Di fronte però ad un’analisi oggettiva come quella della banale conta dei pixel, la percezione umana incasina un po’ tutto. Quel che conta è la densità di pixel che arriva ai nostro occhi ed è una combinazione del numero di pixel, grandezza dello schermo e distanza tra noi e l’immagine. Normalmente programmare per una console solamente portatile da numerosi vantaggi: si sa sempre la dimensione esatta dello schermo e la distanza media di utilizzo e si possono adottare numerose tecniche che prestano il fianco se visionate a schermo intero.
A questo link potrete trovare un calcolatore fatto da Nvidia per ottimizzare la distanza visiva da uno schermo.

Switch, data la sua natura ibrida, presta un po’ il fianco, non potendo beneficiare veramente di questo vantaggio. I target sono due: Uno schermo 720p di pochi pollici di diagonale a relativamente alta densità di pixel, ed una ignota TV quando si gioca in Docked. E dettagli grandi come un grattacielo su una TV, possono diventare ininfluenti sul piccolo schermo integrato.

Nella settima generazione di console, si diffusero molti sistemi Anti Aliasing in post process, come l’FXAA, che lasciavano l’immagine estremamente sporca, come se fosse ricoperta di vasellina. Ora sono spariti in funzione di soluzioni temporali come il TAA.

Dall’era Playstation 4/Xbox One, si sono diffuse sempre di più tecniche di upscaling via via più avanzate. Si tratta di calcoli matematici che permettono di ottenere un’immagine con tanti pixel partendo da una con meno pixel. Per farlo, devono calcolare il colore dei pixel mancanti, inventandosi di sana pianta quale deve essere il colore dei pixel.

Per fare un esempio numerico: un’immagine 1280×720 ha 921.600 pixel. Usandola come punto di partenza, per raggiungere il full HD, ovvero 2.073.600 pixel, devo crearmi dal nulla il colore di oltre un milione di pixel. Questo porta alla creazione di artefatti grafici che sono visibili ai nostri occhi e che rendono l’immagine più sporca.
I videogiochi non sono un’immagine statica però. Sono una sequenza molto veloce di immagini. Dai 30 al secondo ad oltre. Quindi le immagini upscalate non solo devono essere stabili in termini spaziali, ovvero considerando un singolo frame, ma anche temporale, ovvero guardando alla successione di immagini che possono cambiare dinamicamente.

Per questo si sono sviluppate tecniche di upscaling che invece di eseguire calcoli su una sola immagine, usano più immagini successive insieme, aumentando sia la stabilità spaziale che temporale.

Se Mario Odyssey usa una tecnica di ricostruzione temporale, Zelda Tears of the Kingdom si lascia andare al solo metodo spaziale, chiamata FSR, ideata da AMD, ma in grado di girare ovunque. Questo rende la generale qualità dell’immagine altalenante sul titolo Nintendo. Come tecnologia FSR ha sempre mostrato il fianco sia su PC che su Steam Deck, dove è presente come opzione applicabile ad ogni titolo. Questo proprio perché non ha alcuna componente di tipo temporale. Non è inusuale vedere diversi dettagli sottili in Tears of the Kingdom diventare estremamente rumorosi. A questo si aggiunge un filtro di affilamento, di sharpening, che tende a rendere più definita l’immagine, ma non esente da artefatti.

Spero possiate apprezzare come alcuni elementi, come le scale, si rompano un po’ con la telecamera in movimento. Registrato su una OLED via cellulare.

Ho anche avuto una discussione moderatamente lunga atta a capire se gli artefatti a schermo erano un problema di una console specifica o semplicemente il prodotto combinato di FSR e risoluzione dinamica, dove durante i movimenti di telecamera, causavano una riduzione del dettaglio di numerosi elementi a schermo. Effettivamente mi sento di dire che il make up visivo di Tears of the Kingdom mostra il fianco nella pulizia visiva offerta.

Le risorse a disposizione di un videogioco sono però limitate. Gli sviluppatori devono capire dove posizionare la coperta corta per ottenere il miglior compromesso. Quindi se ho fatto delle concessioni nella qualità dell’immagine che arriva agli schermi, dove sto usando la coperta?

THE DEVIL IS IN THE DETAIL

Il secondo punto dove l’occhio del giocatore cade è quello della qualità dei pixel ed il dettaglio di quello che viene messo su schermo. Qui cosa andare a guardare si spreca. Mole poligonale, qualità dell’illuminazione, distanza di rendering, dettagli ad alta frequenza, una lista infinita. Bisogna quindi osservare il gioco e capire come il make up grafico scelto si inserisce nel resto della struttura.

Tanto Breath of the Wild quanto Tears of the Kingdom sono giochi esplorativi. Pertanto, il loro intento è mostrare punti di interesse in lontananza al giocatore, per attirare l’attenzione e guidarlo inconsciamente. I sacrari, con la loro cresta colorata, devono essere visibili da estreme distanze. Ed il terreno non deve ingannare il giocatore.

Quando uscì Xenoblade Chronicles X io fui molto critico del fatto che la distanza di disegno degli oggetti fosse troppo bassa per il design del gioco. Guardare dall’alto dei cieli a bordo del proprio mech una piana verde erba, per poi avvicinarsi e vedere comparire dal nulla una foresta, tradisce il design di poter guardare lontano per decidere la meta. Nei due Zelda così non è, ho sempre strutture in lontananza, siano esse costruite dall’uomo o naturali.

Non c’è bisogno di dettaglio se è TUTTO BUIO!

Quindi tutta la progettazione deve seguire questo mantra. Zelda lo fa in maniera egregia vista la piattaforma. Ricordiamo che Breath of the Wild gira su Wii U e ci mostra le distanze visive su una macchina con 1GB di memoria utile per le applicazioni. Tears, essendo nativo Switch, riesce a migliorare in diverse aree dove la memoria poteva essere un collo di bottiglia, potendo accedere a ben 3GB per l’applicativo. Ed in tutte le altre aree tecnologiche, usa la testa invece che la forza bruta.

Il dettaglio dei singoli oggetti è importante.

Non esiste un modo univoco nel mondo del gaming per presentare un dettaglio. Ad esempio: ho una superficie ruvida e non lineare da costruire. Volendo potrei usare la tessellazione, una tecnica che permette di generare tanti micropoligoni che danno tridimensionalità ad una superficie. Se non ho la potenza computazionale per questo processo, posso usare mappe di deformazione che riassumono la superficie e la approssimano non generando nuove geometria da calcolare. Queste si chiamano Parallax Occlusion Mapping. Che a loro volta possono essere scalate verso il basso in parallax mapping e poi in normal maps, perdendo sempre più informazioni, diventando più leggere ma offrendo comunque l’illusione di effetti. Ha senso che quel dettaglio usi una di queste tecniche considerando il budget di rendering che ho a disposizione? Questa è la domanda che dovremmo farci. Perché se aumento il dettaglio di X, da qualche parte devo diminuire il dettaglio di Y a parità di budget.

Altro esempio è l’illuminazione. Sapete benissimo quanto io dia importanza all’avanzamento tecnologico per migliorare l’illuminazione e ne ho parlato in abbondanza in passato. E negli anni 2000, quando l’illuminazione dinamica prese piede su PC, venne anche usata per arricchire il gameplay, tra F.E.A.R., Doom 3 e diversi altri titoli. Dopo questa sua natura fu un po’ dimenticata e divenne un puro elemento per esaltare la resa visiva di un titolo. Al momento oserei dire che il peso massimo dell’illuminazione raster (ovvero senza ray tracing) completamente dinamica è la remaster di Dark Souls per Playstation 5, mentre Cyberpunk 2077 con la modalità Path Tracer è l’espressione più avanzata al momento di illuminazione in Ray Tracing.

Questi due titoli funzionano non solo perché sono tecnicamente avanzati ed impressionanti, ma perché la loro visione artistica è coesa alle tecnologie usate. Zelda fa lo stesso girando su una macchina 2 ordini di grandezza meno potente di una Playstation 5. L’illuminazione lascia indietro tantissime tecniche pesanti e complesse, rimpiazzandole con scelte artistiche per ricreare un effetto giusto e tarato.

Illuminazione precalcolata per una resa ottimale. Basta non volere mondi dinamici.

Questa disconnessione tra le tecniche utilizzate si è vista anche in Metroid Prime Remaster, dove lessi molte persone incredule su come una cosa del genere potesse girare su Switch. La risposta è “semplice”. Metroid Prime remaster è un gioco con interattività 0 da parte del giocatore sull’ambiente, non ha un ciclo giorno notte dinamico ed è lineare. Pertanto, tutte le informazioni dell’illuminazione possono essere calcolate in anticipo, salvate come informazioni su delle “texture” ed applicate come oggetti statici all’ambiente. Il risultato è impressionante, ma il mondo risulta statico e “non vivo” perché noi sappiamo come la luce interagisce con gli oggetti e ci aspettiamo che se manipolo oggetti all’interno di un mondo virtuale questi modifichino tutti gli effetti derivati, come fare ombra.

E questo porta discretamente nel vero punto centrale del make up tecnologico di Tears of the Kingdom

FISICA – Se già uno andava male in matematica, figuriamoci qui

Il calcolo della fisica non è qualcosa di semplice. La matematica non è banale e richiede potenza di calcolo. Le semplificazioni usate per rendere il tutto sufficientemente snello da poter essere fatto in tempo reale portano a possibili bug dovuti ad arrotondamenti sbagliati delle forme o forze che stanno agendo sui corpi interessati.

Gli anni 2000 furono molto interessanti non solo lato illuminazione, ma anche per la fisica. Si stava iniziando a sperimentare molto con calcoli di tipo sistemico ed inserirli nei videogiochi. Half Life 2 nel 2004 presentò al mondo la gravity gun. Far Cry 2 nel 2008 mostrò al mondo il suo sistema di propagazione del fuoco. Red faction nel 2001 stupì tutti con i suoi ambienti distruttibili. Ed erano tutte esperienze inserite in giochi per l’epoca “grossi” e “completi”. Con il tempo questa direzione si è persa totalmente, arrivando ad esistere in giochi che si concentrano su quella singola gimmick e mai incastrati in un contesto più ampio. Nella costruibilità di Tears of the Kingdom ho rivisto un Besiege, gioco che si basa solo sul costruire macchine da guerra partendo da elementi base e poi la fisica fa il resto. Snowrunner ha la miglior simulazione del contatto veicolare ruote-suolo e come si comportano tutte le sospensioni e componenti meccaniche.

Però poi? Finiscono lì. Tears è invece la colla tra tutte queste piccole esperienze. Per ammirare la sconcertante abilità dei tecnici Nintendo, basti pensare al potere Reverso (no, non quel Reverso). Prendo un oggetto dal mio inventario lo poggio a terra, lo manipolo con l’ultramano ed il gioco tiene traccia del vettore velocità dell’oggetto per un tempo anche abbastanza lungo in memoria. E lo fa anche per gli oggetti combinati con l’ultrahand. Questo è molto difficile da notare come esempio di tecnologia e prova di abilità tecnica, perché banalmente, è roba per programmatori. Il giocatore vede un oggetto comportarsi in modo atteso, come “nella realtà”, o comunque in modo prevedibile. Un programmatore vede il totale delirio degli effetti su scena e rimane sconcertato per quanto bene funzionino.

Stiamo assistendo ad un ponte di corde dinamico, sotto tensione costante che interagisce con un oggetto che si muove indipendentemente, il giocatore ed un fluido SENZA IL MINIMO GLITCH o BUG.

Qual è l’ultimo gioco ad alto budget realizzato per una console principale che ha un livello di simulazione fisica di questo livello, che non ha bug sconcertanti e che gira su 3 core ARM da 1Ghz? Ci sono momenti molto belli e scenici che usano la fisica, basti pensare alla sequenza del treno di Uncharted 2. Tutti calcoli fatti in anticipo. Alla console viene già passata la soluzione, deve solo mettere in sequenza i numeri. In Zelda, essendo l’interattività necessaria alla missione del gioco, deve essere tutto in tempo reale.

E, ripeto, la consistenza e complessità che mette in scena come se nulla fosse è sconcertante. Certo, ci sono alcune concessioni sull’hardware di Switch, con il framerate che cala a 20fps quando la banda passante offerta dalla memoria non riesce a seguire le richiese di CPU e GPU. Ed infatti, aumentando la velocità della memoria di Swith si ottengono i benefici maggiori in termini di stabilità del framerate, provando quale sia il collo di bottiglia per il sistema in questa situazione.

Il motore fisico di Tears of the Kingdom, che ricordiamo essere alla fine il vecchissimo e glorioso Havok di Halflifiana memoria, è “la next gen”, è l’elemento distintivo ed è un modo di sfruttare la capacità di calcolo moderna unita agli algoritmi effettivamente ottimizzati e ripuliti da un anno di lavoro.

Fluidità e stabilità

L’ultimo aspetto è quello della velocità con la quale il gioco mostra i risultati dei suoi calcoli all’utente. Il famigerato framerate. Anche qui, il bisogno di avere un framerate alto e consistente, dipende dal passaggio tecnologico dal tubo catodico a pannelli a cristalli liquidi. La frequenza standard di rinfresco dei pannelli LCD è 60Hz, ovvero la loro immagine viene rinfrescata 60 volte al secondo. Sarebbe ideale ricevere per ogni rinfresco una nuova immagine dalla scheda grafica di una console, così da mostrare 60 fps. Il framerate può essere anche visto come il suo inverso, ovvero come il tempo all’interno del quale eseguire tutti i calcoli necessari, 60fps vuole dire dare un’informazione nuova all’utente ogni 16.6 millisecondi. Per questo un gioco ad alto framerate è più reattivo, si gioca meglio ed è più fluido. Ha una minore latenza.

I nostri occhi vedono più immagini da combinare insieme per ottenere un’immagine fluida e continua, mentre le risposte alla pressione dei tasti sul controller viene elaborata e mostrata velocemente.

Non sempre però è possibile raggiungere i propri obiettivi all’interno di questi limiti e quindi si chiede più tempo. Per come funzionano gli schermi, l’ideale per avere consistenza e prevedibilità nel gameplay è avere 30 frame al secondo, così che su uno schermo a 60hz, ogni immagine si ripeta per due aggiornamenti. Questo da al gioco ben 33.3ms per eseguire tutti i calcoli necessari.

Il framerate non influisce però solo la giocabilità e fluidità percepita di un gioco, ma anche come alcuni tipi di dettagli arrivano ai nostri occhi. Zelda Tears of the Kingdom è molto pacato nell’usare dettagli ad “alta frequenza”, quelli dinamici che si aggiornano costantemente e che se il framerate fosse basso, risulterebbero assai poco aggraziati.

Purtroppo qui c’è poco da scampare in termini assoluti. Maggiore è il framerate e meglio è. Sempre. Però bisogna sempre contestualizzarlo al gioco. Su uno sparatutto, un picchiaduro o un action frenetico, difficilmente vedere 30fps mi rendono felice. Su un gioco più lento, che richiede tempistiche più rilassate, lo posso ben che accettare, se questo significa portare un vantaggio da qualche altra parte.

Su una console portatile può voler dire anche una durata della batteria maggiore. Altrimenti, quei 33ms di tempo devi usarli per farmi vedere qualcosa di meraviglioso, complesso e mai visto prima. Graficone da paura con illuminazione Ray Tracing? Accettabile. Motore fisico mostruosamente solido? Altrettanto valido. Un port “impossibile”?. Eh, io già storco più il naso per il risultato, però ammetto le doti ingegneristiche.

Always look at the big picture

Quindi, seguendo bene le quattro direttive: IQ, Dettagli, fluidità e Fisica/Interattività, le considerazioni tecniche su tears of the Kingdom non possono minimamente essere “sembra un gioco PS2”, anche perché forse ci siamo un po’ scordati com’erano i giochi della Playstation 2. Ma un: ha una qualità dell’immagine che può risultare sporca e rumorosa in determinati frangenti per l’interazione tra risoluzione dinamica, ricostruzione FSR e filtro di sharpening applicati, risultando in un quadro immagine non sempre ottimale, ma mette in scena un livello di dettaglio perfettamente consono all’Hardware che adempie alla missione di un gioco che deve essere interattivo ed esplorativo, quindi con molti elementi a lunga distanza e dinamici mantenendone il costo più basso possibile e soprattutto ha un livello di calcolo ed interazione fisica dinamica letteralmente fuori scala in un gioco ad alto budget incapsulato in una struttura non gimmick ma di ampio respiro. Che interviene prepotentemente nel gameplay.

La next gen non è la tecnologia in se, ma come la usi.

Uguale a Tears of the Kingdom

Abbiamo Pokémon per lamentarci della resa grafica sotto tutti i fronti avendo sempre ragione. Non applichiamo la stessa cieca rabbia anche a Tears of the Kingdom, ma cerchiamo di analizzare ogni componente nel suo merito e darle il giusto peso all’interno del progetto. Perché fa cose tecnologicamente che non si trovano altrove.

Su questioni tecniche e misurabili, possiamo con molta più facilità far coesistere in modo molto più consapevole la parte soggettiva ed oggettiva, dando il giusto peso ad entrambe.

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