Una donna e 1/3?

C’è una sottile linea che separa un progetto che riesce a implementare una o più caratteristiche non proprie del genere in cui si identifica aggiungendo reale valore al gameplay, da uno che utilizza semplicemente idee insolite ma fini a se stesse, per rinfrescare la formula: con il titolo di oggi, questo preambolo risulta quanto mai calzante. The Knight Witch entra in scena in un’esplosione di colori, come un metroidvania con la tipica mappa fatta di zone interconnesse, ma con un’entusiasmante consapevolezza iniziale: i piedi della vostra “strega-cavaliere” non poggiano su alcuna piattaforma, anzi, non toccheranno mai terra e per una volta non ci saranno spade da sguainare, perché l’anima del nostro codice è quella di una navetta spaziale umana che spara e schiva dentro a un bullet-hell. Eh, ma…non è finita qui, perché esiste anche una terza componente di gameplay che è quella di deck-builder, applicata nella gestione degli incantesimi della protagonista.
Se in una coppia si inserisce un terzo elemento esterno è probabile che qualcuno resti deluso e le domande sul bilanciamento delle 2 parti e mezzo di questo cocktail di gameplay sono stimolanti e delicate da valutare. In passato, il mercato indie ci ha abituato a interessanti variazioni sul tema metroidvania, con il magistralmente riuscito inserimento di meccaniche pinball, in Yoku’s Island Express. Forse a qualcuno il movimento della nostra eroina potrebbe anche ricordare le fasi di Owlboy, in cui il vostro protagonista gufetto poteva utilizzare un compagno per dei lievi diversivi basati sullo shooting…ma si trattava appunto di accoppiamenti e non di “triangoli” di meccaniche. Viene dunque da chiedersi se i ragazzi di Super Awesome Hyper Dimensional Mega Team siano riusciti a non trascurare nessuna delle parti che formano il copione di gioco.
Vorresti sparare, ma prima…fatti raccontare una storia.

Se i moschettieri erano 3 e D’Artagnan era l’outsider, le Knight Witch sono 4 e Rayne, che controlleremo, è inizialmente in disparte: essa ha ricevuto i poteri come le altre, ma è sempre rimasta lontano dalle luci della ribalta, soprattutto nel momento in cui le quattro Knight Witch hanno dovuto lottare contro la famiglia reale di Daigadai, che succhiava risorse vitali dal pianeta anche quando questo aveva inziato a dare diversi cenni di collasso. La forza delle Knight Witch si nutre della fiducia (quanto mai “gaimaniana”, se pensiamo ad “American Gods”) che le persone ripongono in loro. Nel prologo, infatti, controlleremo Robyn, la più forte delle streghe-cavaliere, che grazie alla fede della gente, nella resa dei conti finale (o iniziale?) sconfigge un boss con un colpo talmente forte da aprire un cratere nel suolo. Questa apertura rivela un sistema di tunnel sotterraneo che diventa il rifugio dell’umanità in seguito agli effetti catastrofici dello scontro. Ovviamente, i Daigadai non sono stati del tutto sconfitti e quando le altre Knight Witch vengono eliminate dall’equazione, starà a Rayne trovare l’avallo degli abitanti con espedienti mutuati dalle meccaniche massmediatiche moderne.
Sin dal prologo notiamo che il gioco si sofferma con più zelo dei normali metroidvania sulla descrizione e la caratterizzazione dei personaggi e scene di intermezzo e dialoghi sono superiori in quantità alla media del genere. A livello qualitativo, l’ambientazione steam-punk/fantasy tenta di spiazzarci non tanto con l’accento sulla questione ambientale (purtroppo già vista e rivista in migliaia di titoli), quanto con la centralità della comunicazione “social” delle Knight Witch per raccogliere consenso e potere: il vero senso della trama risiede quindi nella critica al networking odierno e alla manipolazione delle opinioni a livello mediatico, elementi che costituiscono un aspetto innovativo nella narrazione, ma difficile da trattare in modo non banale e superficiale.
Un occhio al mirino e un occhio alla mano…di carte.

Il gameplay invece, non va per il sottile. Dopo pochi minuti e ben poche indicazioni vi troverete a controllare Robyn (si, non Rayne, la vera protagonista…) all’interno del prologo già più punitivo delle successive fasi iniziali del gioco vero e proprio. Mentre i nemici possono assorbire molti dei nostri attacchi, ogni colpo subito dalla nostra equivale a un cuore perso (inizieremo con tre). Avrete poche certezze: la prima è che con il tasto “r” si spara, mentre con i tasti Y, X, A, giocheremo una delle carte a nostra disposizione, lanciando il relativo incantesimo: questi vanno dalla creazione di scudi protettivi dietro cui barricarsi, alle classiche “bombe” care a tutti i fan dei bullet-hell, che permettono di cancellare automaticamente tutti i proiettili in rotta di collisione con noi, o ancora uno sparo triplo, animaletti-aiutanti e quant’altro. Ogni singola carta produrrà un effetto diverso che contribuirà a colorare i già maestosi fondali e disegni di gioco.
Il numero totale di incantesimi reperibili esplorando risulta notevole, ma i vostri mazzi potranno essere composti da un massimo di sette carte: questo sicuramente aumenta la possibilità che nelle tre carte attive, che ruotano randomicamente dopo essere state utilizzate, sia assicurata una certa consistenza a livello di strategia e di magie che volete usare. Per rafforzare questo concetto strategico, ben noto a tutti i giocatori di titoli con base deck-builder, sappiate che incontrerete un personaggio che vi permetterà di duplicare permanentemente alcune delle carte che possedete (tutte tranne quelle che conferiscono le abilità speciali dei boss, che sono effettivamente “rotte” e per cui ha senso la limitazione all’utilizzo “una tantum”) per un corrispettivo nella valuta di gioco (facilissimamente reperibile). Potrete optare per strategie totalmente offensive, con carte i cui effetti riempiono lo schermo di attacchi a ricerca e non lasciano scampo ai nemici su nessuna linea di tiro, oppure per barriere e strategie difensive (questo anche a seconda del contesto che vi troverete ad affrontare): potrete scegliere sinergie con carte che vi permettono di guadagnare mana via via che colpite i nemici, utili in situazioni molto affollate, o carte di soli attacchi ad area dal bersaglio sicuro, o ancora trucchi che vi fanno scartare la mano continuamente al fine di andare a cercare sempre e solo i vostri incantesimi più potenti (controbilanciate dalla possibilità di pescare un maleficio che avrà effetto negativo per voi).

Come avrete intuito, ogni carta avrà un suo costo di mana a seconda della potenza dell’effetto e sarà possibile recuperare il mana speso ad ogni lancio mentre cadrà con ritmo casuale dai nemici.
Il sistema di deck-building inserito nel contesto shooter-vania risulta quindi piuttosto articolato e va incontro a due problematiche. La prima, strettamente di “quality of life” del gioco, è che potrete modificare le carte presenti nel vostro mazzo solo presso le colonne di luce che servono da check-point nelle varie zone (e che respawnano tutti i nemici tranne i boss e le imboscate…qualcuno ha detto “focolari”?) a volte purtroppo molto lontane tra loro e faticose da raggiungere proprio per via del reset appena citato. Viene quasi da chiedersi se l’intera esperienza non uscirebbe snellita dalla possibilità di apportare modifiche in qualsiasi momento prima del combattimento. La seconda, e forse più importante pecca, è il fatto che il design di gioco ha relegato le tre carte attive (e l’indicazione dei corrispondenti tasti) nell’angolo in basso a destra dello schermo: purtroppo l’anima bullet-hell dei combattimenti vi costringerà ad evitare le miriadi di proiettili che incendieranno le zone (mentre contemporaneamente cercherete di mirare anche ai nemici) non permettendovi di tenere sotto controllo agilmente anche le magie di cui disponete in un dato momento, con quale tasto si attivino e se avete abbastanza mana per farlo…a meno che non vi spunti un terzo occhio.
Superato il prologo scoprirete che è possibile sparare senza mirare (cosa che sicuramente vi permette di concentrarvi solo sullo schivare e sul lanciare magie) ma che così facendo i vostri colpi hanno danno dimezzato. Già da questa descrizione delle meccaniche, dunque, potete intuire che il titolo è piuttosto impegnativo e in alcune fasi può risultare veramente frustrante, se si sceglie di concentrarsi solo su una zona dello schermo.
Un albero binario che germoglia grazie ai vostri follower.

Come ogni metroidvania che si rispetti l’esplorazione farà guadagnare alla nostra eroina alcune abilità che le permetteranno di raggiungere zone precedentemente inaccessibili: la possibilità di diventare un sottomarino e interagire con cannoni subacquei nella mappa, ad esempio, mette in risalto non certo l’originalità delle abilità stesse, quanto il level design ed i puzzle ambientali che risultano calcolati al millimetro, con caratterizzazioni ispirate dalle varie zone e a volte risolvibili anche tramite l’utilizzo dei poteri delle carte.
Di contro, sembra che in alcuni casi la disposizione millimetrica dei livelli punti troppo sulla presenza di spazi angusti (in cui i proiettili non sono facilmente evitabili) e pareti urticanti che comunque stonano per “pigrizia” rispetto a quanto di buono è stato fatto con l’animazione e la creazione delle ambientazioni.

Non mancheranno alcuni shop in cui sarà possibile portare progetti che aumenteranno le potenzialità protettive delle nostre armature, ma il focus generale del gioco è nella gestione delle carte e non in un concetto ruolistico che preveda il crafting di equipaggiamenti complessi.
Inoltre, la duplice natura di strega e cavaliere si manifesta con l’avanzare del “livello di Link” di Rayne: come dicevamo le Knight Witch vivono del consenso del popolo e il loro potere aumenta a seconda di quante persone riescono ad accontentare; per questo, ogni volta che completeremo una missione secondaria aumenteremo il nostro livello di Link, ovvero la connessione che abbiamo con l’approvazione del popolo. Ad ogni nuovo livello raggiunto potremo operare una scelta tra aumentare i nostri poteri di strega, ad esempio incrementando il mana disponibile o la facilità con cui i nemici lo rilasceranno o ancora il danno magico, oppure quelli di cavaliere, che impatteranno il rateo di fuoco, il danno inflitto o la salute massima. Si configura quindi una progressione scarna e binaria che tuttavia fornisce un senso di crescita e di personalizzazione dei poteri del nostro personaggio ibrido.
Comprarsi una buona reputazione con il vil danaro.

Un aspetto che appare purtroppo non rifinito e probabilmente inserito come posticcio è quello legato alle scelte morali che aumenteranno il nostro livello Link: al termine delle missioni principali, infatti, saremo chiamati a parlare ai mass media e potremo scegliere di mentire su alcuni accadimenti per giustificare la nostra condotta, o rivelare gli scheletri nell’armadio dell’interesse non esattamente puro dei sopravvissuti di Dungeonidas. Le vostre risposte faranno aumentare o diminuire il consenso che la massa ha per voi. Se da un lato la capacità del gioco di dipingere uno scenario con forze politiche non banalmente polarizzate è interessante, dall’altro la meccanica si nullifica quando scopriamo che, di fatto, la scelta “cattiva” ci dona sempre un maggior numero di punti Link per aumentare la nostra progressione, laddove quella buona ce ne fornisce veramente pochi: in alcuni casi lo sbilanciamento è 10 a 100, cosa che ci sembra oggettivamente da rivedere. Questo espediente di game design si nullifica quando scopriamo di poter offrire la valuta di gioco per spostare il consenso in nostro favore, qualora questo fosse andato in negativo per via delle nostre risposte egoistiche: con il danaro in-game si può comprare quasi tutto, tranne la vittoria.
Quanto siete disposti ad attendere per vedere questi colori e udire questi suoni?

A livello tecnico il titolo funziona ottimamente anche su Nintendo Switch sia in portabilità che in docked e se ci sono dei rallentamenti, sono quasi impercettibili e solo nelle fasi in cui lo schermo è completamente pieno di nemici e razzi che esplodono in ogni dove. Per una volta anche su Switch la performance è ottima, solo a scapito dei caricamenti tra una zona e l’altra, che sono veramente lunghi e che costituiscono l’unico vero “minus” a livello di performance.
Per quanto riguarda la soundtrack ed il sonoro in generale, notiamo un’ampia gamma di strumenti e arrangiamenti molto orecchiabili. Grande importanza è data agli archetti che sottolineano l’epica fantasy del gioco. Altro pregio che farà la gioia di molti è che il gioco è totalmente localizzato in italiano nei testi, non prevedendo di base il doppiaggio dei personaggi.
Se esplorerete ogni anfratto alla ricerca delle carte più potenti e non vi scoraggerete a ritentare alcune fasi dietro cui si celano side quest e premi interessanti, The Knight Witch durerà all’incirca una decina di ore. Sarete in grado però di raccogliere tutte le medaglie completando alcune fasi entro un certo tempo limite oppure senza subire danni?
Molto più che una dicotomia, ma con un equilibrio migliorabile.

Come si evince da quanto descritto finora, la compresenza di tutte queste meccaniche è lodevole, ma è anche l’unico punto debole di The Knight Witch. Forse sarebbe bastato fare un po’ meno, aggiungere meno ingredienti al miscuglio cavalleresco e stregato di gameplay, per ottenere un prodotto più rifinito e meglio bilanciato. Come detto il level design è certosino, ma a volte punitivo nei confronti del giocatore (leggasi “spazi stretti”), il sistema di costruzione del mazzo di carte è interessantissimo e vario, ma difficilmente gestibile nella follia del bullet-hell; la moralità delle scelte è interessante, ma totalmente ignorabile grazie ad alcune meccaniche che permettono di aggirarla e soprattutto il backtracking previsto dal genere diventa fastidioso quando si cerca di superare una zona ed il checkpoint/respawn si trova diversi quadri prima e, come in un “souls”, resuscita anche tutti i nemici nel tragitto.
Se poggiamo tutti i vari pesi sulla bilancia, non possiamo non considerare che la volontà di offrire varietà e di distinguersi dalla massa dei metroidvania trova un buon equilibrio nell’intreccio creativo delle meccaniche, ma lo fa con molta fatica e rischiando che le varie possibilità si aggirino a vicenda o provochino un minimo di frustrazione (è possibile addirittura sbloccare dei cheat, per rendere il gioco più semplice, qualora troviate il codice relativo).
Un comparto tecnico e artistico lussuoso (ottimo anche su Nintendo Switch e anche in portatile) e un accento sulla storia insolito, dipingono un gioco multiforme, che ha molto più delle due anime nominali e che potrebbe pensare di abbandonarne qualcuna in seguito, per risultare duro e compatto come un vero diamante del genere.
