O Miracolo
Tra tutti i port realizzati negli anni per Nintendo Switch, in pochi si sarebbero aspettati Nier: Automata, qui riproposto con l’aggiunta di The End of YoRHa alla fine del titolo. Questo includendo il DLC “3C3C1D119440927” e qualche extra minore per Nintendo Switch.
Il gioco fu pubblicato originariamente su PC e Playstation 4 nel 2017 e l’anno successivo su Xbox One. Acclamato da critica e pubblico, il suo vero punto debole era nella parte tecnica. Non era particolarmente raffinato o complesso in quello che metteva in mostra e malgrado ciò aveva un profilo di performance non allettante. Nessun antialiasing, 900p come risoluzione obiettivo e 60fps mai raggiunti. Il fatto che sia arrivato su Nintendo Switch, con un livello di performance e qualità visiva generale adeguato ed in proporzione meno problematico dell’originale è tanto.
Virtuos oramai è molto esperta nel portare giochi su Nintendo Switch e si vede. Se siete più curiosi sulla parte tecnica, vi rimando all’analisi di Digital Foundry, in quanto qualsiasi cosa possa andare a dire sarebbe ridondante.
Nier: Automata è un progetto interessante in quanto va ad unire nomi che non si sono mai incrociati prima. Yoko Taro è considerato uno degli autori di videogiochi più peculiari, per via del suo modo di comunicare attraverso il gamedesign e la sua visione molto malinconica del mondo, esploratore degli aspetti più bui della psiche umana, e Platinum Games, costruttori dei migliori giochi action moderni, in grado di unire semplicità di esecuzione a profondità e stile. Seppur con qualche passo falso lungo la loro carriera.
Nier: Automata The End of YoRHa è nel suo cuore base un gioco action in terza persona, con elementi di progressione ripresi da giochi di ruolo e tipi di gameplay iniettati al momento in base a cosa funziona meglio per quel che si deve raccontare. Sezioni più simili ad un action in 2D, momenti da sparattutto a scorrimento laterale o verticale. Si passa da gestione di orde di nemici a sconti 1V1 contro boss al cardiopalma. E tutto questo il gioco non ve lo nasconde, non aspetta ore ed ore per mostrare quello che è in grado di fare. Tutta la sequenza di apertura, senza possibilità di salvare per qualcosa che può protrarsi per quasi 1 ora, è un esempio di come il gioco si può presentare strutturalmente.
Uno dei migliori modi ad oggi di mostrare le carte al giocatore. Pad alla mano il gioco è veloce e divertente. Il sistema di combattimento è aggressivo ed elegante. Attacchi pesanti si concatenano con quelli leggeri, entrambi immersi in un costante tripudio di fuoco di soppressione ed attacchi speciali del robottino di sostegno sempre presente per aiutare il giocatore. Sì, i puristi potrebbero dirvi che a 30fps e meno il lag dei comandi è superiore rispetto alle altre versioni, ma nel mio giocato questo non ha rappresentato affatto un limite, né tantomeno lo è considerando lo spirito del gioco in generale, che si pone come un’esperienza totale e non finalizzata solo al combat system.
La parte di progressione è quella che tiene il loop del gameplay attivo per lunghe ore. Più che varietà di attacchi e combinazioni, sono nuove armi, salire di livello e accumulare soldi per comprare chipset da installare per potenziare matematicamente il proprio essere a farla da padrone.
Il gioco è anche particolarmente scalabile nel fattore accessibilità. Nella modalità facile è possibile utilizzare facilitatori come schivata ed anche attacco automatico. Cosa che i meno avvezzi a questo genere di gioco potrebbero comunque fare, per poter ammirare un combat system fluido e godersi la storia del gioco.
Ed è proprio la storia dove tutta la valutazione personale di Nier: Automata si concentra. È un gioco molto autoriale, uno di quelli dove giocandolo potete percepire le intenzioni dell’autore, non filtrate dal team di sviluppo. Un gioco che solo per la narrativa andrebbe giocato da tutti. Ma come questa rimane poi effettivamente impressa dipende dal proprio background, da quante volte avete già visto ed elaborato questi temi.
La premessa narrativa sulla quale si incastrano le vicende personali è la seguente: la Terra è stata invasa da alieni, che hanno rilasciato robot da combattimento per uccidere gli umani. Quasi estinti, si sono rifugiati sulla luna, lanciando nel tempo una controffensiva grazie ad unità androidi da combattimento. Al momento ci si trova in uno stato di stallo per entrambi gli schieramenti. La protagonista 2B ed il suo compagno d’arme 9S intraprenderanno un viaggio che li porterà ad affrontare questa minaccia.
Col il tempo colpi di scena e momenti emotivi pesanti andranno a sconvolgere questo stato, affrontando temi esistenziali. E devo dire che io mi sono scontrato più volte con le intenzioni del gioco. Le performance del cast inglese sono davvero ottime, vendono molto i loro personaggi, le musiche sono assolutamente sopraffine, andando a dare la giusta carica ad ogni evento e vi rimarranno impresse per tanto tempo. Ma quel che esce dalla bocca dei protagonisti? Dipende.
La narrazione dei loro stati d’animo è principalmente espositiva. Spendono molto tempo a parlare di come si sentono, senza mostrarlo. E quando lo fanno, sfociano nell’esagerazione tipica delle produzioni giapponesi. Ci sono un paio di istanze dove ho davvero pensato che Yoko Taro avesse aperto un libro di filosofia ad una pagina a caso ed avesse copiato dei pezzi e messi dentro ad alcuni dialoghi. Tanto è mostrato, ma esplorato a profondità pozzanghera.
In un altro espediente ci si ritrova a dover ammettere se i sentimenti che si stanno istaurando all’interno del giocatore sono giusti perché servono alla trama o sbagliati perché possono alienare dall’esperienza, che è un po’ il punto del discorso? Si potrebbe andare a parlare di spoiler, ma credo che sia doveroso avvertire persone che non hanno mai vissuto il gioco che per poter arrivare alla conclusione delle vicende, si ritroveranno a dover ripetere lunghi pezzi di gameplay più volte, procedendo negli stessi eventi.
Questo ha l’effetto di rendere il donde ciuffole in un sacco di persone, facendoli annoiare, facendoli sentire intrappolati. E sono emozioni che bisogna provare per poter risonare con i protagonisti fino alla conclusione. Siamo soliti associare queste situazioni negative da un punto di vista di divertimento all’interno del loop di gameplay come un qualcosa da evitare, ma se si vuole creare un messaggio specifico a volte sono da imbracciare come solo il media videoludico può fare.
La ricerca del proprio scopo all’interno del mondo, la definizione di umanità e “il soffrire tutti insieme per uscire da una situazione spiacevole” come quella dell’esistenza sono i temi centrali. Io personalmente, pur avendo apprezzato ciò che ho visto, non ho trovato un’introspezione veramente interessante. Allo stesso modo invece, molte altre persone ne sono rimaste scosse, motivate, è stata la miccia che ha fatto partire in loro qualcosa di più.
E questa è la bellezza di un’opera. Non a tutti colpisce allo stesso modo. Ma ha il potenziale di farlo, ha il potenziare di lasciarci in uno stato diverso rispetto a come eravamo prima di averla iniziata. E solo per questo, dovreste giocarlo.