The Diofield Chronicle – Recensione di una cronostoria

Recensione del titolo strategico in tempo reale con pausa tattica di Lancerse e Square Enix - The Diofield Chronicle

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Genere: Strategico in Tempo Reale
Multiplayer: No
Lingua/e: Inglese

KONO DIO FIELD DA!

Non c’è tregua per gli appassionati di strategici quest’anno e Square Enix continua a sfornare titoli. Dopo Triangle Strategy arriva questo gioco dal titolo alquanto inusuale sviluppato in coppia con Lancarse.

Sono stato molto incuriosito dalla demo, che invito a provare qualora siate interessati al gioco perché il gioco prova ad essere classico ed innovativo allo stesso tempo, andando a proporre un’estetica ed austerità generale tipica del genere fantasy meno fantastico e più politico, avvicinandosi quindi ai vari Tactics Ogre, Final fantasy Tactics e lo stesso Triangle Strategy, con un gameplay per il genere decisamente inusuale. Il risultato finale però mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca.

“Spieghiamo tutto guardando mappe” : THE GAME

In generale apprezzo molto le narrative che mettono in secondo piano l’elemento fantastico per concentrarsi più su quello umano dei conflitti, specialmente quando alla base c’è della sana politica e motivi verosimili. L’elemento fantastico di contorno può aiutare a cambiare un po’ il punto di vista o permettere di gestire tematiche moderne in un’ambientazione rimossa, un po’ come faceva Final fantasy XII, la cui narrativa fantastica veicola un’allegoria sulle armi nucleari.

Le premesse ci sono tutte. La titolare isola di Diofield è una monarchia che vive un po’ per conto suo, separata dal continente dove si sta sviluppando un’enorme guerra di conquista da parte dell’Impero. Questo stato ovviamente non è destinato a durare e il giocatore si troverà a seguire le gesta di un gruppo di mercenari da un lavoro all’altro, in una spirale continua di escalation. Ci sono tensioni interne, correnti di pensiero diverse, tradimenti, diplomazia ed in generale una morale grigia soverchiante. Il gioco però a mio avviso presta il fianco a diverse critiche sia lato struttura della narrativa che nella qualità della scrittura stessa, o quantomeno nella sua profondità.

Un enorme lavoro viene fatto dal narratore, doppiato in inglese dall’iconico Doug Cockle, voce di Geralt of Rivia. Il gioco utilizza enormi quantitativi di intermezzi narrativi per spiegare cosa sta succedendo nel mondo, per introdurre personaggi e condizioni e per effettuare numerosi salti temporali in avanti. L’idea alla base la posso capire. Far vedere al giocatore solo i momenti salienti, iconici, importanti, lasciando il background giustamente alle spalle. L’effetto avuto, almeno sul sottoscritto, è stato di un sovraccarico di informazioni nella fase iniziale, bombardato da nobili, regni, casate, alleanze e piani vari, tutti con non abbastanza tempo per essere metabolizzati. Inoltre i punti scelti dove focalizzarsi sui personaggi a mio parere non sono sempre i gangli più interessanti.

I cerchi e le linee aiutano la leggibilità della battaglia in modo smart. Però possono comunque sovraccaricarsi.

Così facendo si sono glissate intere narrative e numerosi punti di spunto per approfondire meglio le dinamiche del mondo sono sorvolati, lasciando in primo piano roba un po’ troppo asciutta. Questo non è aiutato da personaggi genericamente piatti e di poco spessore, che non mostrano evoluzione. Sono tutti molto seri, c’è poco spazio per la risata o alla leggerezza. Non parlo di mettere una spalla comica o rendere tutto weaboo, ma la mancanza di caratteri un po’ più particolari nel cast lo rende tutto molto omogeneo con i personaggi che si confondono tra di loro a parte un paio di casi.

Il drive narrativo ed il momento si mantiene molto basso, con eventi apparentemente importanti che vengono spesso liquidati da un deus ex machina o con un paio di righe di commento e poi via come se nulla fosse successo. Quando stavo perdendo le speranze, verso la metà gioco la narrativa ha iniziato ad ingranare con un paio di colpi di scena interessanti che hanno dato del pepe. Quindi è terminata in uno stato migliore rispetto a quando era iniziata, ma non abbastanza per rimanere impressa.

Beh dai, direte voi, la trama quindi alla fine è servizievole, ci può stare se il gameplay è interessante. Eh. Sì. Se. A primo acchito il gioco propone una formula nuova, diversa dal solito giapponese. Invece di avere una suddivisione del tempo in turni discreti, gestiti in maniera IGYG o AA, il sistema di combattimento è un RTWP. Belle le sigle eh? Stiamo parlando di un Real Time With Pause, ovvero di un sistema che agisce in tempo reale, ma con possibilità di pausa per definire i comandi. Ogni qualvolta si deve gestire un movimento o la selezione di un bersaglio o di un’abilità il gioco si congela permettendovi di pianificare e combinare gli effetti a proprio piacimento.
Non si tratta di una pausa generale dalla quale entrare dare tutti i comandi ed uscire, ma è discretizzata per ogni singola unità sul campo, quindi risulta essere più scattosa rispetto ad un vero RTWP.

Il vantaggio di avere una struttura del genere è quello di permettere di gestire le scaramucce contro nemici minori in tempo reale con automatismi senza dover ingaggiare il cervello, che viene chiamato in causa solo nelle situazioni tattiche interessanti, come contro boss o la persecuzione di obiettivi complicati. Un modo per permettere di avere battaglie di scala maggiore senza rallentare troppo il ritmo, mantenendo il tatticismo ed offrire molta velocità.

C’è un hub superspoglio dove perdere tempo mentre si naviga tra un menu e l’altro.

E funziona come sistema. Nelle prime missioni si prende confidenza con il sistema e diverte, è bello da vedere e da eseguire. Quindi il giocatore in queste fasi iniziali è concentrato con risolvere il puzzle, nel capire come le abilità interagiscono, come evolversi nel tempo. E capisce subito che basta spammare senza cognizione l’abilità Assassinare del protagonista per sciogliere ogni cosa.

Questa tattica in teoria dovrebbe essere testata da un’evoluzione delle minacce. I nemici hanno più vita, possono eseguire attacchi diversi, hanno specifiche debolezze o resistenze o le mappe richiedono l’utilizzo di tattiche diverse per uscire vincitori. Ed invece no. Dopo le prime ore di gioco avrete visto “tutto”, avrete già risolto il puzzle e lo applicherete imperterrito fino alla fine, solo matematicamente più opprimente. Ed è questo quello che ammazza più il gioco sul lungo periodo. È piatto tatticamente.

I personaggi sono bloccati nel loro ruolo e nella loro classe, gli attacchi speciali ed abilità sono poche e tutte le evoluzioni sono lineari, non c’è particolare libertà nel come gestire la propria squadra al di fuori di scegliere quali personaggi portare in battaglia ,visto che da un roster di oltre una dozzina di personaggi è possibile scendere in campo con 4 primari e 4 di supporto.

E quindi ci troviamo ricercando risposta alla domanda: perché ci sto giocando? Per la storia? No. Per il gameplay? Neanche. Per sentire Geralt che mi racconta una storia? Forse. Diciamo che ha un suo perché nella sua brevità, sulla ventina di ore per arrivare alla conclusione e nelle sue missioni molto brevi perfette per essere fatte a piccoli bocconi e la base di tutto è comunque servizievole, può essere quel tipo di gioco da gestire nei momenti più di calma, come sottofondo.

Ma a 60€? Troppa concorrenza.

Ho portato a termine l’avventura principale e diverse secondarie in una ventina di ore grazie ad un codice fornito dal publisher. Credo. Ho lasciato il gioco in standby troppe volte ed ho un file con 90 ore di gioco tracciate.
Pro: No ragazzi, non riesco a trovare la frase pro. Non è insufficiente in niente. T’oh.
Contro: Piatto, sia narrativamente che tatticamente.
6

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