Forse ne avrete letti molti di pezzi al riguardo. Sia dagli urlatori di piazza che viaggiano solo a slogan, sia da organi più pacati e ragionati. In podcast ed in video. La mia voglia di contribuire a questo discorso deriva da un paio di frasi di persone ben più celebri ed importanti di me che ho avuto modo di sentire di recente, in occasioni diverse.
L’arte non è mai finita, ma solo abbandonata
Leonardo Da Vinci
Questa frase, così semplice, va ad esprimere un concetto del quale ci scordiamo sempre, eppure molti di noi proviamo sulla nostra stessa pelle nella nostra vita, ogni volta che dobbiamo dare vita a qualcosa. Può essere tanto l’articolo che state leggendo, che è passato sotto numerose riscritture e revisioni, senza mai essere veramente convinto del risultato fino in fondo. Alla fine ho deciso che il lavoro svolto era sufficiente. Perché ho perso l’impeto di scrittura o forse perché era finito il tempo, o il budget. O perché chi ha commissionato il pezzo ha dato la sua approvazione e deve uscire così com’è.
Fatto sta che i videogiochi sono un manufatto umano estremamente complesso nella sua realizzazione. Un lavoro che vede un numero variabile di persone che lavora con strumenti di svariata natura per portare alla luce un’opera. Di cui non si sa assolutamente nulla. Che viene rilasciato non in uno stato di perfezione e di completamento, ma in uno stato di abbandono ritenuto soddisfacente in quel momento.
Ovvio, la massa intesa come tale si intende sempre ignorante di ciò che usa. Se dovessi chiedere come funziona e come viene costruito un telecomando non so quante risposte sensate andrei ad ottenere. Esistono però mondi più o meno sdoganati, i cui meccanismi sono più capiti rispetto ad altri, anche solo ad un livello superficiale.
Possiamo pensare al Cinema. Gli attori ed i registi vengono intervistati in lungo e largo. Chiacchierano di quello che fanno, ci sono gli speciali dei dietro le quinte inseriti nei blu ray. Si vede il regista sulla sua sedia, i vari cameramen che riprendono, gli attori con i fogli che memorizzano le battute e vediamo la loro interpretazione nel prodotto finale. Informazione che, in maniera molto informale passa anche nella comunicazione di massa.
Lo vedi nelle conversazioni con gli amici, con le persone random su internet, su tanti argomenti. Mi conoscete per le mie analogie nel mondo dell’automotive e quale occasione migliore per? Tra il prendere la patente, avere qualcuno appassionato di moto o formula 1, tra il parlare dei nostri prodotti di punta ingegneristici, alcune conoscenze si insinuano nel substrato culturale. Certo, immagino che i più non sappiamo cos’è la potenza specifica areale e come la si ottenga, ma altre cose basilari si. Ora che si sta assistendo alla rivoluzione elettrica, si può constatare come le basi di elettrotecnica siano estremamente scarse e come vadano adeguatamente costruite.
Il mondo del videogioco ha però una peculiarità rispetto a tanti altri prodotti artistici. Se comporre musica, dipingere un quadro o produrre un film è rimasto grossomodo un processo stabile, il videogioco ha assistito contemporaneamente ad un aumento di popolarità e di complessità, andando a scontrarsi con un pubblico generalista in una formula più imperscrutabile.
Quindi, malgrado negli ultimi anni sia gli strumenti di sviluppo che la condivisione della conoscenza sono diventati sempre più accessibili, anche grazie al lavoro di diversi creator come Mark Brown, e Noclip giusto per citarne un paio, ci ritroviamo con un messaggio generale banale, che non è riuscito ad approfondire ed ora ci si ritrova con lo scoglio di superare la barriera della “non penetrazione dell’informazione” per farsi strada.
C’è anche un altro meccanismo che si innesca nelle conversazioni di scambio di informazioni. La differente cultura tra gli interlocutori è a volte una barriera per la trasmissione dell’informazione. Chi fa un qualcosa con passione, lo si vede. Quando ne parla si illuminano gli occhi, si vede tutto l’entusiasmo che inizia a pervadere la persona. Il problema è dall’altra parte se ci capiscono o meno. Sia per passione che per lavoro, mi capita spesso di scendere in dettagli che l’interlocutore arriva a fraintendere, a non capire, a prendere e riportare fuori contesto. E questo mi rende meno restio a comunicare in futuro, a meno di non trovare qualcuno che condivida un minimo del background, che possa capire quello che sto dicendo.
Ecco quindi che tutta una serie di autodidatti che si sono improvvisati giornalisti videoludici quando non c’era modo di capire, quando le informazioni erano poche, quando era tutto più lento, si ritrovano oggi a navigare con l’esperienza ed ad aver formato già un dialogo basato sul non dialogo. Con la stragrande maggioranza delle informazioni veicolate dal blocco PR che intercede.
Quando a incontri organizzati con sviluppatori, piccoli o grandi che siano, si presentano in 5 persone, di cui forse 1 veramente interessata ad ascoltare quello che si dice, e mezza a fare domande che abbiano senso per ottenere informazioni utili da riportare al mondo, dove vogliamo andare?
È sbagliato pensare che il compito della fisica sia scoprire come sia costituita la Natura. La Fisica si occupa di cosa noi possiamo dire sul suo riguardo
Niels Bohr
Questa è la seconda frase che mi ha fatto riflettere un po’ sullo stato delle cose appena sopra dette. L’evoluzione della fisica e della scienza, è un lunghissimo processo di autodidattica che va a formare la nostra impressione della realtà del mondo. C’è la famosa domanda: se nessuno guardasse la Luna, sarebbe ancora lì? E la risposta è un semplice non è dimostrabile.
Il videogioco però non è la Natura. Perché il creatore esiste. Anzi, perché esiste sempre un osservatore, che coincide con chi ha realizzato il progetto. E la possibilità di interfacciamento esiste. I pipponi infiniti, al di fuori di quelli fatti per esprimere opinioni personali, dovrebbero ritrovare sostanza nell’interfacciamento sempre più diretto con chi effettivamente le opere le porta alla luce. Quando oramai si parla di storia si sfocia nell’archeologia, quando ci sono i segreti industriali si va sulla speculazione, ma quando è tecnica, analisi, informazione, perché lavorare solo da un lato?
C’è un cortocircuito, a mio avviso evidente. Non è stato creato un ambiente all’interno del quale poter parlare di tutto e condividere le informazioni che contano davvero e trasferirle al pubblico nel momento storico giusto.
Anche perché il discorso nel tempo si è focalizzato sullo strumento sbagliato. La recensione sembra sia il centro dell’universo. Qui il mio parere sullo strumento (adesso forse da aggiornare), ma indipendentemente da questo, è l’importanza che gli è stata attribuita dal sistema composto da pubblico-testate-publisher.
Usarlo come strumento di riferimento per parlare di un qualcosa, va a sciogliere ogni dibattito solo sulla percezione di “è bello”, “è brutto”, annullando qualsiasi altro passaggio in mezzo, esattamente come quando un esame è dato superato o non superato. Per questo ultimamente l’enfasi si sta spostando sempre più sugli influencer, perché accentuano questo meccanismo ancora di più. Ovvio, arma a doppio taglio quando il prodotto non è all’altezza, ma lì è saper fare bene strategia.
Ah gli han dato 9, 8, 7. Ah ma io non seguo le recensioni mai. Ah, ma io sento solo il parere di X. E si finisce nell’immensa rete del pregiudizio di conferma, dove noi andiamo a cercare e leggere solo opinioni che confermano la nostra idea pre-esistente, annullando ogni forma di confronto.
A questo punto dovremmo provare a capire come uscire da questo empasse, da questo cortocircuito. Dove gli strumenti sono presenti ma non vengono usati per le distanze tra le parti e gli interessi discordanti, per i target non ideali.
Qualcuno potrebbe dire di formare un movimento rivoluzionario, solo per poi scoprire di essere dei ribelli, tanto autoritari come i precedenti o dei semplici opportunisti. Osservando le rivoluzioni, specialmente quelle moderne che hanno caratterizzato il 900, queste nascono dall’unione di due elementi che devono coesistere. Il primo è una critica all’ordine sociopolitico esistente, il secondo è la crisi dello stesso. Inoltre il modello rivoluzionario deve essere pronto ad essere messo alla prova. Un nuovo modello senza le giuste condizioni al contorno è solo un’utopia o una speranza, così come le circostanze senza una teoria sostitutiva non porteranno mai a cambiamenti significativi. Così almeno diceva Koselleck.
Ed il problema è che il sistema non è in crisi, almeno non riesco a vederlo in una crisi sistemica. Vedo sempre più persone che vengono coinvolte in scritture di articoli. Che approdano su Twitch. Che parlano di giochi in ogni modo. Gli influencer sono ancora lì. Anche le testate alla fine del giro continuano a trascinarsi. Quindi se il sistema non è in alcuna crisi, come possiamo fare rivoluzione? Quale sarebbe il vettore di attacco?
Non c’è. Senza vettore nel quale portare la bomba ci si riduce ad un’altra esistenza. Il sistema è talmente grande, con una tale inerzia, che qualsiasi sforzo ad esso applicato risulta futile. Ma internet continua a dare una possibilità. Permette di costruire isole. Che si riempiono di persone dall’indole comune. Che possono crescere, modificarsi, espandersi, contrarsi. Permette di avere megafoni per attrarre gente all’isola, portare ricchezza. E mostrare ai turisti le bellezze paesaggistiche. Perché oggi, più di prima, possiamo sopravvivere da isole. Che tipo di isola può diventare NintendOn?