Un articolo per farvi sentire vecchi
Mi sono accorto che tendo a comprare lo stesso gioco su diverse console perché spesso, tra un gioco e l’altro, ho bisogno di tornare a certe esperienze. Ad esempio ho Katamari Damacy su ogni console, è il mio antistress preferito. Non importa completarlo su tutte le console, ovviamente. Di tanto in tanto, quando un gdr diventa troppo pesante o quando sento di aver bisogno di staccare la spina per non lasciare in tredici un gioco che sembra già avermi dato abbastanza, accendo la console e torno su quei lidi.
Super Mario 64 è uno di quei giochi. L’ho giocato così tante volte. Eppure di tanto in tanto sento il bisogno di andare nel castello di Peach, tuffarmi in un quadro, fischiettare quella musichetta, gettare un cucciolo di pinguino in un abisso senza fondo. Questa volta però è accaduto qualcosa di particolare: ho continuato a giocare. Mi sono detto, ok, Bob-omb Battlefields, i primi livelli sono iconici, ma voglio andare oltre. Non so ancora se stavolta prenderò le 120 stelle, attualmente ne ho 76, ma ho fatto un gioco con me stesso, alle prese con la mia stessa memoria. L’ho giocato tantissimo in passato, quanto ricordo di quel che c’è più avanti? Dei vari segreti disseminati nei più svariati punti dei livelli? Ma ancor prima, la domanda che sorge spontanea è: com’è oggi super mario 64?
Il primo impatto è col faccione poligonale di Mario. Chi ha passato tanto tempo a scrivere di Nintendo per passione come me, sicuramente rivede in questo Start Screen una delle tante massime sulla casa di Kyoto: non si butta (quasi) mai via niente. Infatti, sebbene il nome “Mario” ci riconduca per inattaccabile sillogismo a “Shigeru Miyamoto”, quel faccione è stato disegnato (anche se sarebbe più corretto scrivere design-ato, in non-italiano per nulla corretto per giunta) da Giles Goddard, uno dei pochi sviluppatori occidentali in forze a Nintendo Japan in quel periodo. Non so qual è la magia che porta a spendere del tempo nel tirare i baffi di Mario, sapendo che nulla di quel che faremo nello Start Screen avrà la benché minima influenza nel resto del gioco. è una gioia primordiale, un istinto gamer. Il contributo di Giles Goddard del resto non era inteso come gioco, ma come dimostrazione delle potenzialità grafiche del Nintendo 64, ma è sopravvissuto a pieni meriti al Consumer Electronics Show 1993.
Del resto non bisogna dimenticare che quel faccione era ben più di un ammasso di elementi grafici interattivi (e non): era un vero e proprio biglietto da visita, poiché rappresentava la prima volta di Mario nella terza dimensione per gran parte del pubblico (il film live action non conta). Super Mario 64 oggi viene celebrato come uno dei giochi migliori in assoluto al di là della sua importanza storica, per la sua abbondanza di contenuti e dettagli, che da allora in poi ha quasi costretto Nintendo a pubblicare un gioco della serie main ogni 5 anni o più (con la sola eccezione di Super Mario Galaxy 2 ma vado a memoria). E a ben pensarci, Super Mario 64 stesso ha avuto uno sviluppo travagliato. Pensate che Shigeru Miyamoto iniziò le basi di un Mario poligonale già ai tempi di Super Nintendo, quando il Chip FX che permise lo sviluppo di Stunt Racer FX e di Star Fox (Star Wing per gli amici del copyright).
Il passaggio di piattaforma all’Ultra 64 (codename del Nintendo 64) fu una naturale conseguenza, in termini di marketing per ovvi motivi, in termini di gameplay per le possibilità che la nuova potente console di Nintendo avrebbe permesso, ma in misura ancor maggiore, secondo quanto affermato dal sensei Miyamoto, per il suo strano pad tricornuto, dotato non solo di un analog stick, ma anche di tasti in misura superiore rispetto al controller del Super Nintendo. Quando Super Mario 64 venne presentato allo Shoshinkai anno 1995, il gioco apparve alla stampa già enorme per gli standard dell’epoca. Tuttavia era completo solamente al 50%, cosa che contribuì al ritardo di uscita del Nintendo 64.
Dopo avervi dato un pelo di contesto, possiamo anche proseguire. Ovviamente lo shock iniziale, abituati a una grafica molto più ricca, consiste nel dover fare i conti con l’apparente povertà di tutto quello che circonda Mario. Se avessi messo su Super Mario Odyssey avrei subito pensato che Nintendo Switch fosse guasto, o che per scherzo lo sviluppatore avesse impostato tutto prendendo in considerazione l’ipotesi che il mio Switch fosse una versione particolare priva di scheda video, pensando a Switch come a un PC per farvela breve. Quindi tutta quella campitura verde è un prato, mentre quello azzurro inamovibile sarà acqua. Lo shock fortunatamente non si estende ai controlli, anzi. Mario si controlla che è una bellezza.
Sarà che si parte da qui come base per lo schema dei controlli dei Mario 3D, ma tutto sembra naturale. I movimenti e le animazioni deputate sono ancora fluidi e soprattutto naturali. Mario cammina, corre, salta, tira pugni, nuota, e tutto questo con una naturalezza intaccata soltanto dal fatto di non avere più quel già citato pad tricornuto in mano che caratterizzava (nel bene e secondo alcuni nel male) il Nintendo 64, ma un joycon nel mio caso, che è senz’altro meno preciso di quello stick, nonostante siano passate più di due decadi e mezzo. Questo si nota soprattutto quando lo spazio a disposizione di Mario è poco, e magari si rischia di cadere in un burrone, o quando bisogna procedere con molta lentezza per non svegliare una pianta Piranha. Alcuni movimenti automatici, come una specie di mezzo giro quando si cambia direzione, danno luogo a episodi spiacevoli ma via via arginabili man mano che si prende confidenza.
Negli episodi 2D, oltre a montare Yoshi, le uniche azioni di Mario privo di suit erano saltare e correre. In Mario 64 invece può tirare pugni con la pressione di un tasto, e combinandone altri può esibirsi in tutta una serie di salti speciali che risulteranno fondamentali per gran parte dell’avventura: il salto in lungo, il triplo salto, il salto indietro. E oltre a questo, Mario si appende ai bordi, si lancia in avanti, gattona quatto quatto. E se non fate nulla, si addormenta sognando stereotipi italiani. Eravamo negli anni ‘90 del resto.
Questo campionario di possibilità unito all’open world (non una novità assoluta ma anche non comune per l’epoca) restituiva una sensazione di libertà assoluta al giocatore di quell’epoca, ma oggi? Beh, oggi sembra tutto molto spoglio, ma la sensazione di libertà è quasi immutata. Nonostante abbiamo fatto l’abitudine ad open world sterminati, i livelli di Mario 64, accessibili entrando nei vari quadri esposti nel castello di Peach, sono ariosi e per nulla compressi. Si sviluppano in tutte le direzioni, perfino in verticale, e questo fin dal primo livello. Quando non è possibile raggiungere a piedi una certa zona occorre affidarsi a un cannone dei bob-omb e spararsi verso l’obiettivo, o svolazzare con un cappello alato. Gli sviluppatori erano consapevoli che il volo illimitato avrebbe depotenziato il level design, quindi non ci si può affidare a lungo a questi aiutini, per giunta di difficile maneggevolezza. Il game design odierno è più orientato a permettere più opzioni di risoluzione ma ci siamo arrivati col tempo.
Piuttosto, se alcuni livelli sono meno ispirati e poco “mariosi” (tick tock clock in particolare), determinati aspetti sono del tutto surreali e forse più adatti a un gioco su Alice nel paese delle meraviglie. Quadri in cui entrare, conigli da acciuffare, dipinti illusori che cambiano aspetto non appena ci si avvicina, scale interminabili, toad fantasmi: la lista delle bizzarrie termina solo per non tediarvi. Ulteriormente. Questo agglomerato di elementi originali è dovuto alla ricerca di una formula che caratterizzi la serie. Alcuni aspetti sono ereditati dal passato, altre stranezze sono frutto dell’ingegno giapponese e dalla voglia di trovare una soluzione divertente alle possibili domande del giocatore alle prese con la novità della terza dimensione. Impensabile lasciare senza risposta quel giocatore che dovesse chiedersi come fa a vedere Mario e spostare la visuale: è Lakitu che trasmette tutto per il suo canale tv utilizzando una telecamera. Alcune di queste formule avranno spazio anche in futuro (le 8 monete rosse ad esempio), altre verranno bocciate (i cappelli power up altro esempio).
Senza dubbio Nintendo (e a seguire le altre Software house) imparerà una lezione importante da Super Mario 64: il giocatore non può essere lasciato in un mondo aperto privo di indizi. A volte ci si ritrova spaesati e ci si chiede cosa fare. Certo c’è il nome della stella che offre un importante indizio, ma a volte da solo non basta. Questo era un retaggio di era 8 e 16 bit, quando la poca memoria delle console consigliava agli sviluppatori di inserire informazioni utili nei manuali o tralasciarle sperando che il giocatore si sarebbe affidato al passa parola o a una guida ufficiale. Quindi ok, so che devo andare in 5 punti segreti in un livello per far apparire la stella, ma vagare in preda alla disperazione non è esattamente quel che definisco ottimo gameplay.
Per fortuna in mezzo a 120 stelle non sono tantissime le occasioni per disperarsi. Anzi, se il numero di stelle è importante, gran parte di queste sono acciuffabili in una manciata di minuti. Questo rende le sessioni di gioco molto fluide e lascia voglia di visitare lo stesso livello ancora una volta, poiché difficilmente viene esplorato ogni anfratto al primo colpo. La presenza di segreti qui e lì poi mette sempre voglia di andare a curiosare e questo è vero anche nel 2022.
Come si gioca quindi a Super Mario 64 oggi? Probabilmente con meno fascinazione (all’epoca vi giuro non c’era proprio nulla di paragonabile), ma con immutata gioia. Ovviamente c’è bisogno di una certa adattabilità da parte del giocatore, che vedrà una cosmesi estetica più spartana e un fps count dimezzato rispetto alla norma Nintendo. Dal lato gameplay forse è sopravvissuto meglio di Super Mario Sunshine, poiché anche questo studiato intorno al controller del Gamecube (una volta era così e non era affatto visto negativamente) e con una richiesta di precisione frustrante in talune occasioni.
Attualmente Super Mario 64 ha un appeal magnetico. Vagare per i livelli, ma anche per il castello, ha un che di catartico e rilassante. Ovviamente sono anche consapevole che sono in un certo senso abituato ai giochi vecchi e che il 3D invecchia terribilmente, che alcuni giocatori lasciano il gioco per cali di framerate che influiscono poco o zero sul gameplay. Cionondimeno è altrettanto sbagliato bollare come superficiale questo atteggiamento, soprattutto perché nel corso del tempo sono usciti tanti validi esponenti del platforming che chiedono meno filtri al giocatore. Probabilmente se scrivo questo pezzo però, è per dare qualche stimolo e per testimoniare che il valore di un gioco forse nel tempo è destinato a diminuire, ma che quelli fatti in un certo modo avranno sempre qualcosa da dire.