Samus Aran è una figura particolare nel panorama dei franchise Nintendo: dal lontano 1986 scorrazza nella galassia finendo per salvarla più volte da svariate minacce: Pirati spaziali, Metroid (sì, non è il nome della protagonista), cervelli troppo cresciuti, parassiti mutaforma.
Il pubblico non la vedeva impegnata in una nuova avventura tutta sua dal lontano 2010 col controverso Metroid: Other M per Wii. Dopo qualche altro esperimento non proprio gradito al pubblico ed alcune comparsate di Samus che hanno mantenuto in auge il personaggio, nel 2017 esce il remake di Metroid II: Samus Returns per 3DS ad opera degli spagnoli Mercury Steam, riuscendo nell’impresa così bene da garantirsi un posto nella storia della serie col qui recensito Metroid 5, o per gli amici Metroid Dread.
Seguito diretto di Metroid Fusion, ultimo capitolo 2D uscito per il leggendario Game Boy Advance nel 2002, Dread vede Samus confrontarsi di nuovo con la minaccia del Parassita X – entità che può assorbire e prendere le sembianze di qualsiasi creatura – che sembrava scongiurata proprio alla fine di Fusion.
Inizia così quello che è a tutti gli effetti l’ultima incarnazione di una formula non più giovanissima ma che ha ancora qualcosa da dire. Metroid è da sempre sinonimo di esplorazione solitaria e pericoli dietro ogni angolo, e Dread non fa eccezione.

Dopo una breve introduzione (dove spicca un ottimo remake della traccia introduttiva di Super Metroid) utile soprattutto per chi non ha giocato i precedenti capitoli e per imbastire la giusta atmosfera, ci si ritrova liberi su un pianeta sconosciuto, ZDR e, armati del fido braccio cannone, si parte.
Molto di Dread è mutuato direttamente da Fusion, soprattutto per la struttura sì aperta ma con una “doppia guida” ad indicare sempre la direzione: l’IA della nave, Adam (nome che gli appassionati riconosceranno subito) e il layout stesso del gioco, che suggerisce il prossimo passo senza risultare invadente.
Il tutto coadiuvato da quella che è probabilmente la minimappa più dettagliata della serie (2D almeno): tutto è segnalato, dal tipo di porte ai Power Up sia già presi che non, dagli obiettivi principali alle stanze con segreti ancora da scoprire, tanto da rendere pressoché inutili i 6 segnalini che è possibile piazzare in qualsiasi punto.
Mossi i primi passi, spiccano subito all’occhio pulizia e fluidità: 60 fps sono garantiti pressoché per tutta l’esperienza, con qualche rarissima incertezza in determinate ambientazioni combinate con molti nemici o effetti. La pulizia arriva invece grazie ad una risoluzione che si attesta sui 900p su TV e 720p in modalità portatile (senza nessun tipo di Anti ALiasing, ma devo dire che la direzione artistica si sposa bene con questa scelta), un ottimo risultato.

Le animazioni sono un altro punto a favore della produzione Mercury Steam: Samus è animata divinamente ed è piena di piccole chicche relative all’interazione con l’ambiente di gioco. Non da meno sono le varie creature che popolano ZDR, cosa utile soprattutto per facilitare l’utilizzo del contrattacco ravvicinato, mossa utile per tutto il gioco e che è anche parte integrante di molti Boss.
Un giocatore abile può attraversare molti ambienti senza mai fermarsi, in una sorta di parkour che tra scivolate, wall jump (semplificati all’estremo) e contrattacchi al volo risulta estremamente soddisfacente.
Artisticamente parlando il titolo si difende globalmente bene, ma ogni tanto soffre di una certa piattezza in alcune ambientazioni che risultano forse troppo anonime, ma non certo prive di dettagli. In ogni luogo il background dona profondità e soprattutto in ambienti chiusi c’è una certa ricercatezza nel fare in modo che, per quanto possibile, le varie stanze abbiano un senso pratico con rampe ed elementi che le fanno percepire come “luoghi vissuti” e non semplici elementi di gameplay. In ogni caso, il gioco non è scevro da zone che spiccano invece per bellezza.
Ogni capitolo di Metroid porta con sè un tratto distintivo, rappresentato a questo giro dagli E.M.M.I, robot da ricerca inviati sul pianeta prima dell’arrivo di Samus ma che a causa del Parassita X sono diventati ostili. Il problema è che sono stati costruiti con un materiale quasi indistruttibile, il che li rende dei formidabili predatori. La loro influenza è per fortuna circoscritta a zone specifiche, delimitate molto chiaramente, ma una volta nel loro territorio il gioco si tramuta in una sorta di stealth. L’obiettivo è riuscire ad attraversare l’area senza farsi intercettare, pena la morte quasi istantanea. Dico “quasi” perché in realtà è possibile salvarsi premendo il tasto del contrattacco al momento giusto in un breve ma intenso QTE, dalle prove che ho fatto pare però che il tempismo richiesto abbia una componente casuale (comprensibilmente per evitare che, imparandolo a memoria, alla lunga si annulli di fatto la minaccia), rendendo di fatto gli E.M.M.I. pericolosi per tutta la durata del gioco.

Degni di nota poi i vari Boss che ostacoleranno l’avanzata di Samus: sempre divertenti, ben studiati e non mancheranno alcune chicche per i veterani della saga.
Gli stessi E.M.M.I. sono indispensabili per proseguire nell’avventura, sbloccare potenziamenti e raggiungere nuove aree, in un sistema di progressione che è rimasto sostanzialmente invariato dai capitoli precedenti. Dopo infatti aver “perso i poteri” ad inizio gioco – un classico della serie – Samus dovrà recuperarli gradualmente addentrandosi nei meandri di ZDR, componendo un arsenale praticamente invariato rispetto al passato, con giusto qualche abilità inedita che però non viene sfruttata più di tanto a conti fatti.
Espandendo il concetto, è forse questo il più grande difetto – se così lo si può chiamare – di Dread: nonostante l’indubbia qualità di quanto viene mostrato, l’esperienza risulta estremamente derivativa, esattamente ciò che un appassionato della serie si aspetta, nel bene e nel male. Non c’è stata alcuna evoluzione sostanziale alla formula classica, e nonostante auspicassi per una ventata di aria fresca di maggiore entità, ciò può essere un difetto o un pregio a seconda del giocatore. Chi cerca novità importanti nella serie non troverà pane per i propri denti, ma chi invece apprezza anche un classico more of the same, troverà un’esperienza degna della saga a cui appartiene cosa che, per intenderci, non è poco.

Perché nonostante tutto la saga ha ancora oggi un’impronta distintiva molto forte, e Dread è indiscutibilmente Metroid in ogni suo pixel, ogni suo potenziamento, ogni sua dinamica.
La durata del gioco è in linea con canoni della serie per i capitoli 2D ma in generale non tra le più lunghe, un po’ inferiore alla media del genere se confrontato con titoli moderni (no, Hollow Knight non lo conto perché è un’anomalia anche rispetto agli altri esponenti del genere). Un discreto tasso di rigiocabilità è garantito dai consueti extra ottenibili completando al 100% una partita, sotto un determinato tempo, o ad una diffcoltà aggiuntiva sbloccabile dopo aver finito il gioco almeno una volta.
Rimanendo su note non entusiasmanti, l’accompagnamento musicale è ahimè sottotono, con tracce inedite in generale poco ispirate e dalla presenza sonora volutamente in secondo piano – viene infatti data precedenza ad effetti e suoni ambientali. Le tracce fanno il loro lavoro accompagnando con la giusta atmosfera ogni situazione ma nessuna melodia originale spicca veramente o rimane in testa per molto tempo.
In ogni caso non mancheranno i colpi di scena – specie verso fine gioco – che emozioneranno e lasceranno soprattutto i fan di vecchia data con molto a cui pensare. In questo senso le varie cutscene sono qualitativamente eccellenti, le animazioni convincenti e il doppiaggio di buona qualità.
Metroid Dread è il gradito ritorno di una serie che ha fatto tanto penare i suoi fan tra lunghissimi silenzi, esperimenti non del tutto apprezzati e la paura costante che Nintendo decidesse di abbandonare definitivamente la cacciatrice di taglie spaziale più famosa del mondo videoludico. E invece eccola qua: Samus torna in ottima forma in un titolo solido, curato e degno del nome che porta ma che non fa gridare al miracolo per innovazione o elementi di assoluta eccellenza. Un classico esempio di “squadra che vince non si cambia”.