Non so bene perché, ma Darksiders è una serie alla quale voglio bene. Sarà per la direzione artistica di Joe Madureira, sarà perché l’ambientazione che vede angeli e demoni devastare completamente la Terra in un Armageddon è uno scenario narrativo che mi piace molto.
Sarà forse perché i primi due capitoli della serie sono tra i pochi giochi a riprendere molti stilemi degli Zelda pre-BOTW, dai dungeon con strumenti all’interno alla struttura di navigazione degli stessi con puzzle ambientali da risolvere.
Fatto sta che la serie è stata un po’ sfortunata, con THQ che chiuse i battenti, ma ora sembra aver ritrovato un suo corso con il suo ultimo capitolo Darksiders Genesis, andando su un altro genere e dimensione di progetto.
Su Nintendo Switch mancava all’appello solo l’episodio del 2018 ed è finalmente stato portato, così da poter godere di tutta questa saga narrativamente.
Darksiders III è ambientato in contemporanea con Darksiders II e prima di Darksiders I e ci fa vestire i panni di un altro dei quattro cavalieri dell’apocalisse: Fury. Si, i quattro cavalieri dovrebbero essere Conquest, War, Famine e Death, ma in Darksiders sono War, Death, Fury e Strife. Effettivamente Conquista si confonde un po’ con Guerra volendo e la Carestia non fa per un personaggio interessante in un videogioco dove si mena forte.
Compito di Fury è quello di andare sulla Terra appena devastata dall’apocalisse e sconfiggere i sette peccati capitali, entità sfuggite di prigione nel caos dell’evento. Nello svolgere questo compito ci saranno diverse rivelazioni e colpi di scena e vengono anche risolti un paio di ammanchi di trama dei capitoli precedenti.
Da questo punto di vista il gioco rimane piacevole, il doppiaggio in italiano è competente e vedere questa saga evolversi nei vari episodi è sempre un piacere a mio avviso.
Le note positive finiscono qui però.
Darksiders III in termini di design è diverso dagli episodi precedenti. Parliamo sempre di un action in terza persona sia chiaro, ma il feel è molto diverso. Lo so che qualcuno si potrebbe lamentare dell’utilizzo smodato di paragoni, ma io sono dell’idea che se un singolo nome porta con se un gran numero di informazioni che possono essere utili nel decifrare un oggetto, lo sto facendo per risparmiare lunghi paragrafi esplicativi.
Quindi, dicevamo, invece di essere ispirato a Zelda, Darksiders III si affida più a Dark Souls ed ai Metroidvania come concept generale. Il mondo diventa un sistema interconnesso che si racchiude su se stesso invece di avere un approccio ad aree distinte come se fossero isole. Ma gli sviluppatori, nel loro genio, non hanno fornito alcuna mappa e per tutto il gioco si deve seguire un indicatore in alto a schermo, a mo’ di bussola, che indica l’obiettivo successivo. Come una automa.
I combattimenti, invece di essere arcade e di gruppo diventano più intimi, contro pochi nemici, e più ragionati. Il gioco fu pensato in questo modo: senza la possibilità di interrompere le proprie animazioni di attacco a piacere, gli oggetti curativi richiedevano al personaggio di rimanere fermo e vulnerabile nell’uso. Aggiungiamoci una telecamera assolutamente non collaborativa con attacchi che arriveranno spesso da fuori schermo e la frittata è fatta.
Il cambio non piacque ai più e pertanto esiste ora una versione classica dello schema di comando che riavvicina il gioco ai suoi predecessori. E ne abbassa il livello di difficoltà già moderatamente impegnativo.
Per il resto ci troviamo di fronte ad una semplificazione abbastanza massiva della struttura di progressione ed avanzamento. Si parla di poche abilità guadagnate durante l’avventura, e la progressione della protagonista è puramente matematica, senza sblocchi di abilità, mosse, capacità o loot in grado di alterare il tutto.
Il feel è un gioco che rimane molto più statico dall’inizio alla fine, che comunque vi terrà impegnati per più di una dozzina di ore, anche due se volete fare tutto.
Anche gli enigmi sono ridotti all’osso e risultano essere più una noia lungo il percorso che un vero puzzle da risolvere spremendo il proprio cervello. In un paio di istanze sono anche frustanti per mancanza di informazione o per sfruttare design da “fai un errore e sei morto” che porta ad un trial and error non proprio piacevole.
Su Nintendo Switch a questa struttura non proprio entusiasmante si aggiungono problemi tecnici dovuti alla conversione. Siamo su Unreal Engine 4, quindi si presentano i pregi e difetti tipici del motore.
Il framerate è quanto di più ballerino possibile. Non ho capito il ragionamento, ma è lasciato libero. Ci saranno momenti dove Switch riuscirà a spingere anche 40fps in ambienti chiusi con pochi nemici, ad altri dove raggiungere i 20 sarà un miracolo, in ambienti più grandi con pesanti problemi di streaming degli asset.
I caricamenti sono lunghi e diventano sempre più frequenti nel procedere dell’avventura ed anche quando il framerate sembra stabile, degli stutter improvvisi sono sempre dietro l’angolo. In un gioco che fa suo il dover schivare gli attacchi al momento opportuno per contrattaccare, è il male.
È un peccato che Darksiders III sia arrivato in questo stato su Switch. Perché si, non è un gioco di così tale bellezza, ma una sufficienza se la sarebbe anche presa sui suoi meriti generali di design, perché a netto delle molte critiche, non è brutto. Ma l’aspetto tecnico sulla console ibrida di Switch lo atterra e lo rende sconsigliato. Si può sempre sperare in qualche patch, ma con port di questo tipo non è sempre detto che ciò avvenga.