Un lavoro frutto di sudato amore
No More Heroes 3 è un gioco che mi ha fatto pensare. Molto. Ma non a cose scontate come l’esistenzialismo, i perché della vita e cosa mangerò domani a colazione ora che ho finito i biscotti.
Mi ha fatto riflettere su qualcosa molto più legato al mondo del videogioco: quanto deve fare schifo un gioco oggettivamente per smettere di piacere? Perché No More Heroes 3 è pur sempre un’espressione di un gioco di Grasshopper Manufacturer, uno dei simboli del gioco di autore, dove lo stile ha sempre superato tutti gli altri aspetti.
Dove, se ti fermi a guardare struttura, gameplay, loop, performance, bilanciamenti, non vai da nessuna parte. La sufficienza la dai perché in fondo il tutto sta in piedi e funziona, ma lo studente ha ancora molto da imparare. Però hai quelle occasioni dove il tutto fa click e ti trasporta, ti colpisce inesorabile, ti fa dimenticare di tutto il resto ed il risultato è passare delle ore piene di emozioni. Ed un’opera che riesce a fare ciò, vuol dire che sta funzionando, a discapito di quel che possono indicare analisi più oggettive e fattuali.

No More Heroes III continua il ritorno del visionario operatore di pompe funebri diventato game designer Goichi Suda, A.k.a. Suda51, nel ruolo di Director dopo anni passati alla sola produzione dei suoi titoli. La sua influenza è quindi più preponderante che in passato, andando a dare un taglio estremamente più personale.
Malgrado ci sia un 3 in copertina, No More Heroes 3 è da considerarsi un quarto capitolo, visto che si aggancia al precedente Travis Strikes Again. Non per trama, ma per informazioni acquisite e relazioni tra i vari personaggi. Il gioco non spiega nulla, non è nello stile di Suda perdersi in spiegazioni, si da tutto per assodato ed avere familiarità con i personaggi ed i giochi precedenti aiuta a non trovarsi spaesati.
In termini di storia la premessa è, stranamente, più seria di quel che ci si potrebbe aspettare. Quantomeno è plausibile o logica. Degli alieni invadono la Terra e l’unico modo per fermarli è ucciderli tutti. Il tutto ruota intorno ai 10 migliori supereroi galattici e dovranno essere affrontati uno ad uno dal nostro protagonista, un energetico Travis Touchdown, doppiato come al solito magistralmente da Robin Atkin Downes.
Il resto dell’avventura non è per chi cerca un filo logico. Si tratta del solito misto random, pieno di numerosi dialoghi non sequitur, inframezzato da momenti più rilassati completamente scollegati dalla storia principale, dove i personaggi sono liberi di passare il tempo. Ho trovato assolutamente fantastici i siparietti tra Travis ed il suo amico Bishop dove discutono dei film di Takashi Miike come dei veri fanboy.

Il tutto costruito con gli stilemi classici di Suda51. Primi piani eccessivi, completa non esistenza della quarta parete, cambi repentini di stili grafici, il tutto per accentuare l’emozione del momento, per estremizzare il singolo punto. In No More Heroes III ho faticato a trovare una sorta di struttura al tutto. Se meccanicamente c’è un filo logico nel procedere tra i vari ranghi, sconfiggendo i vari boss, da un punto di vista narrativo qui siamo nel pieno reame dell’assurdità e della sorpresa.
Tutto esiste solo per sovvertire se stesso e le aspettative del giocatore nei modi più impensabili. E se il giocatore connette con questo “disastro” di universo, si compie un trip bellissimo senza assumere nessuna sostanza psicoalterante. Il potere dell’immaginazione. Se invece non scatta la scintilla, non c’è assolutamente nulla che possiate fare per salvarlo.
No More Heroes 3 non cerca di stupire solo con la sua costruzione narrativa, ma lo fa anche nel modo in cui il giocatore interagisce con il gioco. Non vi dirò nulla per evitare appunto ogni spoiler possibile, ma questo è il tipo di gioco che vive per le boss fight.

Facciamo un passo indietro e vediamo come è composto nelle sue parti. Il gioco è diviso in tanti capitoli quante le posizioni in classifica ed ogni episodio si apre e si chiude con un titoli di testa e di coda. Con tanto di credits e musica figa. Insomma, quello che molti oggi definirebbero una Kojimata. Una volta vista l’introduzione narrativa del capitolo a Travis è lasciato il compito di accumulare abbastanza soldi per iscriversi alla sfida.
Per ottenere la pecunia bisogna affrontare degli scontri Hack &Slash obbligatori e recuperare i restanti soldi da minigiochi vari ed eventuali sparsi per una mappa open world esplorabile a bordo di una moto. I soldi necessari crescono con l’aumentare del grado, ma così fanno anche le ricompense, rendendo la lunghezza di questa caccia relativamente uguale nella durata del gioco.
Negli scontri possiamo ingaggiare con il gameplay principale del gioco, che ha la struttura di un hack&slash. Un comando per attacchi leggeri, uno per attacchi pesanti, un lock on, una schivata in grado di rallentare il tempo se eseguita al tempo giusto e diversi attacchi speciali. Un rudimentale sistema di consumabili permette di mangiare sushi in battaglia per curarsi o potenziare le proprie statistiche, in base alle esigenze.

Il combattimento non è molto raffinato, tendente al button mashing violento invece che ad un uso tattico e raffinato delle combo possibili. Ho completato il gioco in difficoltà Bitter, quella di mezzo, possibile che a difficoltà più alte ci sia bisogno di usare più il cervello, ma l’idea che mi sono fatto è che il sistema si schianta matematicamente con gli oggetti di buff più che con l’abilità migliorata del giocatore. Però lo schermo esplode di colore e suoni quindi è un sistema pieno di feedback da compiacimento.
La progressione del protagonista anche è molto limitata. Solo potenziamenti a vita e danni. Poche mosse extra a disposizione, nessuna arma strana. No More Heroes 2 nel suo periodo di uscita era di respiro più ampio.
Quel che dà varietà a questi scontri è la composizione dei nemici, relativamente varia. Ogni scontro avviene in una stanza molto compatta, dove è la composizione di avversari a darci la sfida, farci capire chi attaccare per prima e come gestire composizioni problematiche. Non ci sono gli stralci più lunghi da superare come nei capitoli precedenti, ogni scontro si completa in una manciata di minuti.
Questa parte è ok. Dopo un po’ stanca la mancanza di fantasia. Che sembra strano dirlo per un No More Heroes, ma questi scontri sono tutti troppo standard. I minigiochi invece sono tornati quelli osceni del primo No More Heroes. Dopo averli provati per i primi livelli di difficoltà non li ho più toccati, rifugiandomi in altri scontri normali in caso avessi bisogno di più soldi.

Dopo i bellissimi giochi ad 8 bit del secondo capitolo davvero non mi sarei aspettato un ritorno a roba che trovo assolutamente non divertente.
Il concetto di boss è sempre stato qualcosa di strano nel mondo dei videogiochi perché non c’è una vera e propria ricetta comprovata per colpire il giocatore. Alcuni giochi rendono il boss una sorta di esasperazione della sfida già normalmente affrontata dal giocatore. Presenza scenica maggiore, pattern più aggressivi, design più accattivante. Altri introducono per l’occasione un gimmick per rendere lo scontro unico che non verrà mai più ripreso. Altri non vanno ad evidenziarli rispetto agli scontri standard, lasciando che siano le meccaniche a comunicare in modo naturale la differenza di potenza.
No More Heroes 3 sfrutta ogni singolo scontro con i boss per mandare all’aria ogni sorta di aspettativa. L’effetto sorpresa è garantito. La tradizione della serie è mantenuta ed in alcuni punti anche superata. Scordatevi le abilità imparate durante il gioco normale, qui bisogna perlopiù improvvisare. Sono rimasto letteralmente a bocca aperta per tutta la sequenza finale.
Quel che stona un po’ è il ritmo. Il gioco di per se dura una decina di ore lungo il percorso principale, qualcosa di più se si recuperano tutti gli extra, ma il navigare nell’open world per trovare le sfide consuma tempo e non aggiunge nulla. Nel 2008 nel primo No More Heroes era una sorta di satira punk. Quel movimento che non si sa come e perché ha portato all’accettazione il fare cose fatte male. Ora, nel 2021, è solo fatto male. Ed è dire tanto se mi sono scordato di farci degli screenshot da mostrarvi tanto faccia ribrezzo. Avevo una fretta addosso forsennata. Di fare di fretta tutti gli scontri minori per andare dal boss successivo. Per avere la mia cutscene folle ed il mio scontro apocalittico.
Quando i giocatori vogliono superare il più possibile una parte del tuo gioco che andando a fare i conti dura metà del giocato, forse c’è qualcosa che non va.

Il tutto condito dal solito comparto tecnico dei Grasshopper, che non sembrano mai riuscire a centrare il bersaglio. In battaglia e durante le boss fight Switch riesce a reggere le performance e si gioca benissimo, ma le sezioni open world sono ad un framerate ridicolo. Soprattutto considerando la qualità grafica, o meglio, il dettaglio grafico di quel che si vede.
Il gioco ha una risoluzione molto bassa, e non mette in scena qualcosa di complesso tale da giustificare questa mancanza.
E ci stiamo avvicinando alla fine, al momento nel quale dovrei tirare una conclusione e dirvi qualcosa che vi rimanga impresso. Lo sapete un po’ come la penso, ho un approccio molto “commerciale” al concetto di recensione. Questo dovrebbe facilitare un po’ il compito, ma mi trovo un po’ in difficoltà, esattamente come non ho ancora deciso se chiamare il gioco con il 3 a numero o con la dicitura romana III.
Io mi sono divertito, il gioco mi ha dato quello che cercavo. Suda51 è quella sorta di autore che non produce film così peculiari che possono piacere o meno solo in base al gusto personale. Ma realizza della roba assolutamente piena di difetti e non sempre entusiasmante, ma quando c’è il “click” i difetti diventano meno importanti.
Pertanto, ci lasciamo con un “se lo amate a priori avete già preso la collection, voi altri comuni mortali recuperate i precedenti e poi tornate qua quando c’è un’offerta“. E con una domanda. Meglio spendere i soldi su un qualcosa che li vale o che ci piace?