Super Mario è il Re dei platform? Ok, ma Crash è IL Platform
Era il 1996 quando il mondo del 3D entrava nelle case di tutti grazie a Super Mario 64, il gioco che viene osannato come quello che ha cambiato la storia dei videogiochi. Nulla da dire, per carità, sarebbe ingiusto non “dare a Mario quel che è di Mario”, ma la mistificazione di un titolo che è tutto fuorché perfetto sarebbe dovuta essere evitata, soprattutto quando nello stesso anno Sony o, meglio, Naughty Dog creava una delle icone degli anni ’90 più apprezzate della storia: Crash Bandicoot.
Da una parte abbiamo un umano anatomicamente strano, soprattutto se confrontato con le abilità che possiede (come può un nanerottolo saltare ed essere così agile?), dall’altra la lore ben pensata giustifica tutto ciò che il gameplay del primo Crash Bandicoot, affinato e perfezionato con i sequel, ci permetteva di fare.

Crash è un marsupiale geneticamente modificato, un esperimento non riuscito: sarebbe dovuto essere una macchina da guerra e invece lo ritroviamo come protagonista buono insieme a sua sorella Coco e la maschera alleata Aku Aku. Ciò ci permette di poter saltare con disinvoltura, correre, fare piroette, schianti a terra, guidare i mezzi più disparati, utilizzare bazooka e così via, senza stonare con l’essenza di ciò che è Crash.
Con Mario abbiamo un essere umano come noi, ma che fa semplicemente delle cose impossibili nella realtà: affronta tartarughe spinate, missili con occhi, piante carnivore, attraverso dei potenziamenti può volare o trasformarsi in metallo. Certo, stiamo pur sempre parlando di un videogioco, quindi non bisognerebbe dare troppo peso a tutto ciò, seppur sia evidente che in quanto a costruzione di un background storico e logico, Naughty Dog e Sony hanno fatto le cose con molta più razionalità.

Quel che però proprio non può essere tralasciato è il gameplay. Super Mario 64, per la prima volta nella storia, ci buttava in un mondo 3D che per l’epoca era enorme, con aree liberamente esplorabili e con un obiettivo non proprio ben precisato. Con Crash sin dall’inizio l’obiettivo è chiaro: siamo nel punto A del livello e bisogna arrivare al punto B, evitando nemici, rompendo casse, raccogliendo frutti Wumpa mettendo a dura prova le abilità del giocatore.
Con Super Mario 64 tutto è lasciato al giocatore, il che potrebbe sembrare un’ottima cosa ma no, non pensiamo con la testa di oggi, ma quella di 30 anni fa. Nintendo non ha minimamente pensato al disagio dei giocatori che per la prima volta nella loro vita da gamer si sarebbero trovati spaesati a dover navigare in un “vasto” mondo 3D, senza alcuna indicazione su dove andare e cosa fare. Il giocatore è lasciato allo sbaraglio, deve arrangiarsi, e nel caso perdesse si vedrebbe deriso dalla risata malefica di Bowser, oltre a iniziare da capo il livello.

Per fortuna Sony ha pensato prima ai giocatori e poi a se stessa, mettendo i checkpoint all’interno di ogni livello. Non solo: ogni morte è susseguita da una brevissima animazione ironica, rendendo la sconfitta più leggera da sopportare e quindi non traumatizzando, come fatto da Nintendo, i bambini che negli anni successivi, ormai cresciuti ma toccati nell’animo, hanno iniziato a giocare a FIFA e Call of Duty.
Crash Bandicoot era sì punitivo, ma anche divertente: ogni livello aveva la sua tematica che lo legava all’isola nel caso del primo capitolo, o ai teletrasporti per i sequel, creando una sorta di continuità nell’avventura, un crescendo che attraverso il patos portava al boss finale con tanta esperienza alle spalle e tanta voglia di battere il nemico.

L’avventura su Nintendo 64, invece, aveva una serie di quadri casuali, buttati a caso senza alcun senso logico, che una volta attraversati davano inizio al calvario del non sapere dove ci si trovasse né tantomeno quale fosse lo scopo. Certo, ciò stimolava anche l’utilizzo del cervello da parte del giocatore, ma se voglio impegnarmi a ragionare di certo non lo faccio con un videogioco dove cerco relax e qualcosa che mi indichi esattamente dove andare.
E qui introduco un altro elemento che decreta, ancora una volta, Crash Bandicoot vincitore: la telecamera. A primo impatto si potrebbe pensare che non sia giusto paragonare la gestione della telecamera di un gioco completamente 3D con quella di un altro in cui c’è un percorso a corridoio da percorrere, ma d’altronde lo scontro l’ha voluto Nintendo commercializzando Mario 64 nello stesso anno di Crash Bandicoot, quindi onori e oneri.

La telecamera di Super Mario 64 è semplicemente pessima e la maggior parte delle morti sono dovute proprio ad essa. Cosa che, per fortuna, non possiamo dire con il peramele di PlayStation. L’inquadratura segue Crash sempre alle sue spalle o, nelle sessioni orizzontali, perfettamente in linea per capire quando, come e dove saltare per atterrare con precisione sulla piattaforma giusta.
Nessuna angolazione sbagliata, nessun muro che copre il protagonista, nessun salto a parete sbagliato per cattiva interpretazione delle distanze: in Crash Bandicoot quel che deve essere mostrato per arrivare al traguardo, viene mostrato.

Concludiamo questa inattaccabile disamina con il comparto tecnico. Devo ammettere che entrambi i giochi sono invecchiati abbastanza bene, ma se nell’avventura di Mario troviamo ampi spazi vuoti dove muoversi per raggiungere un obiettivo inutilmente lontano, riguardando i paesaggi e la composizione dei livelli di Crash Bandicoot capiamo fin da subito come la ricchezza di particolari sia a favore del marsupiale.
Discorso simile per quanto riguarda il comparto sonoro: entrambi i personaggi non parlano se non emettendo qualche versetto o frase sconclusionata da parte di Mario. Torniamo al discorso fatto inizialmente. È possibile che un umano non parli e che, anzi, faccia solo versi stupidi (perdonatemi il termine)? Con Crash Bandicoot invece sappiamo chi abbiamo di fronte, un animale che per forza di cose non può parlare. Eppure esprime simpatia, sentimenti, coraggio e intelligenza con le sole espressioni del volto.

Abbiamo poi le OST e qui, son sicuro, si aprirà un grande dibattito. Koji Kondo viene spesso osannato per ciò che ha fatto in Super Mario 64, e non voglio essere io a dire che la colonna sonora composta non sia di livello. Quel che però sfugge ai più è che di alcuni livelli ricordiamo più la traccia di accompagnamento che il livello in sé: con Crash non succede.
Naughty Dog ha fatto sì che l’intera esperienza fosse concentrata sul giocatore e il suo rapporto con Crash, i livelli e la storia, senza distrazioni. Koji Kondo, in un certo senso, ha voluto prepotentemente essere protagonista attirando l’attenzione su di sé con pezzi memorabili, ma quel che si cerca in un videogioco non è di certo la colonna sonora, per quello esistono i concerti.

Super Mario 64 è quindi da buttare? Assolutamente no, sia chiaro. Nintendo all’epoca creò un buon gioco che meritava di essere provato. Di certo però non merita gli elogi che lo hanno portato ad essere considerato il miglior platform della storia: avrebbe potuto esserlo, se l’intuizione di Sony e le capacità di Naughty Dog non avessero creato Crash Bandicoot.