Japan Business Journal attacca l’azienda di Osaka
Non è una novità che il coronavirus ha avuto un grosso impatto in molti settori, così come nelle nostre vite. Come in altri paesi, il Giappone, che ospita numerosi studi ed editori di videogiochi di alto profilo, ha chiesto alle aziende di limitare il numero di persone in ufficio e concedere ai lavoratori la possibilità di lavorare da casa, così da ridurre il contagio del virus.
Tuttavia, è emerso che Capcom, sviluppatore di Resident Evil e Monster Hunter, avrebbe forzato i suoi dipendenti a lavorare in loco. Questo è quanto rilevato da una fonte anonima al Japan Business Journal, e riportato successivamente da Brian Ashcraft su Kotaku.

In base a quanto pubblicato il 10 marzo, l’informatore descrive in dettaglio la pressione esercitata sui dipendenti per “sostenere l’economia giapponese”. I dirigenti avrebbero anche inviato un’e-mail in cui li accusano dell’attacco informatico e della fuga di dati dello scorso anno, perché consentire ai propri dipendenti di lavorare da remoto significherebbe rendere vulnerabile l’azienda a ulteriori rischi.
Secondo il report, chiunque si rifiuti di lavorare in ufficio verrà “sospeso momentaneamente” o minacciato di restrizioni sul proprio posto di lavoro.
L’ufficio PR di Capcom ha risposto al Japan Business Journal, affermando di essersi “impegnata per garantire la sicurezza e la salute” dei propri lavoratori, di aver offerto ore scaglionate, smartworking e mascherine a tutte le persone coinvolte, con controlli della temperatura corporea obbligatori e al distanziamento sociale forzato.
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Nonostante tutto, la testata giapponese non ha potuto confermare tutte queste misure, sottolineando che Capcom non ha e né consente sindacati ai lavoratori, e che l’orario flessibile dipende dal grado all’interno dell’azienda.
Tecnicamente, quanto fatto da Capcom non sarebbe contrario allo Statuto dei lavoratori giapponese, osserva il Business Journal, ma afferma che tali pratiche sono comunque sfruttatrici e ingiuste.