Se Nintendo non festeggia i 35 anni, lo facciamo noi
Io e mari siamo stati ospiti, protagonisti e colpevoli dell’ennesima live Twitch, la prima dove abbiamo steso una tier list insieme al resto della redazione, rappresentato dal moderatore artefice di tutto e del tutto, Pietro “Pittanza” Spina (che in ruolo di moderatore è rimasto un po’ in disparte nell’esprimere la propria opinione sui giochi), il sempre poeta e rumorosamente barbuto Emil “TheSky” Petrov e lo scassap… ehm l’elemento probante della discussione, l’uomo che vorresti portare sull’altare delle tue convinzioni per convertirlo ma lui ti vandalizza l’altare senza pietà, nonché nostro caporedattore quindi stacce, Riccardo “CapRichard” Piccinini. Scusate se le presentazioni e il mio stile di scrittura attuale fanno tanto vorrei tornare giovane, e non scrivo più pamphlet tediosi da anni, ma appunto, sono tediosi, quindi se questa regressione si traduce in più letture per me va tutto benissimo, tanto lo so che il primo commento su disqus sarà qualcosa tipo “tranquillo, hai sempre scritto male, adesso almeno lo sai”. Touchè.
Per chi non lo sapesse, dicesi Tier List una lista che mette in ordine di importanza/popolarità/gradimento qualcosa. La definizione credo sia nata nel mondo dei giochi di carte collezionabili, e lì acquisisce più senso perché i giocatori possono riferirsi alle tier list dei loro giocatori preferiti per capire quali carte siano più forti e conseguentemente includerle nel proprio mazzo (o escluderle). Fuori da quel mondo la tier list diventa una mera classificona ma fa molto figo usare il termine. In ogni caso, oggetto della discordia della nostra tier list è la serie di The Legend of Zelda nella sua totalità analizzata episodio per episodio. Il criterio di composizione della lista poneva come requisito una mediazione tra importanza oggettiva del gioco e valore che ha avuto (e ha) a livello personale. Nonostante non siamo i detentori di verità assolute, alla fin fine ne è uscita una lista abbastanza moderata, sulla quale penso che ogni fan della serie possa più o meno riconoscersi e ogni discorso intorno ai giochi, con poche eccezioni, è stato ben argomentato e ponderato.
È stato interessante però notare, cosa che ho detto anche durante la diretta stessa, che il tempo non è sempre galantuomo e in particolar modo non lo è con i giochi 3D. Sebbene i giochi 2D mantengano un’aria di assoluto fascino anche oggi, tanto che tutt’ora si producono giochi nuovi in pixel art, e in generale il feeling tattile di questi giochi è immediato grazie agli input digitali, la stessa cosa non vale assolutamente per i giochi 3D, che oltre a essere generalmente inguardabili (anche se la loro cosmesi è talvolta oggetto di una certa rivalutazione), portano con sé tutta una serie di problematiche che tendono a far pesare l’ago della bilancia più sull’anacronismo che sulla rilevanza storica. Siamo stati molto cattivi con The Legend of Zelda: Ocarina of Time. In linea di massima siamo stati giusti, inflessibili direbbe qualcuno. Ocarina of Time, però, è un caso molto particolare. Stiamo parlando di un titolo che ha cambiato per sempre il volto dell’industria, introducendo meccaniche poi diventate standard, e che su metacritic – e una volta gamerankings – è ancora considerato il miglior gioco di tutti i tempi.
Difficile quindi capire perché ci sia stata una lotta intestina per posizionarlo nella fila dei god tier, a fianco ad A Link to the Past, esempio di perfezione raggiunta nell’era 16 bit e a Breath of the Wild, il gioco che ogni sviluppatore vorrebbe produrre almeno una volta nella vita. Dal punto di vista storico non c’è nemmeno bisogno di aprire il dibattito, entra di diritto nella categoria dei titoli seminali nel mondo dei videogiochi. Oggi probabilmente è un titolo meno comodo da giocare, pur con l’aggiornamento ricevuto ai tempi su Nintendo 3DS, in periodo relativamente recente, ma quello che è mancato sul tavolo della discussione, probabilmente è una narrazione non solo di contestualizzazione di quel che è stato Ocarina of Time, ma anche l’evidenza dei valori che portava – e porta ancora – con sé.

Ocarina of time è uscito nel 1998, in piena era dominio Playstation. E non parlo a sproposito quando dico dominio: comprare un’altra console era letteralmente superfluo. Tutto usciva e sarebbe uscito per il gioiello Sony, e difficilmente avrebbe visto luce su una console che usava solo le cartucce come supporto, anche se alcuni porting hanno dimostrato che si potevano ugualmente ottenere risultati apprezzabili, pur con notevoli sforzi produttivi (qualcuno ha detto Resident Evil 2?). Final Fantasy VII, Metal Gear Solid, Tomb Raider sono solo alcuni degli esempi di produzioni in grado di elevare i videogiochi a qualcosa più complesso e profondo di giochi botta e risposta.
The Legend of Zelda: Ocarina of Time però ha fatto qualcosa in più. Ha creato un mondo fantasy che ha stimolato l’immaginazione dei giocatori, e lo ha fatto in un gioco praticamente perfetto per gli standard e le limitazioni dell’epoca. Gli sviluppatori con un margine di azione stipato in 32 MB, hanno fatto un gran lavoro per dare l’illusione dell’ampiezza degli ambienti. Chi ha giocato a Ocarina of Time soltanto all’epoca e non lo ha più ripreso, oggi parla di un Overworld con praterie sterminate in cui è facile perdersi. Tutto questo è frutto della magia del game design, se consideriamo che la mappa dell’intero gioco è grande a malapena quanto il solo Altopiano delle Origini, ovvero l’area iniziale di Breath of the Wild.
Questo mondo non sembrava finto, ma pienamente popolato da persone, e tra queste tanti npc con una storia interessante da raccontare, in una trama costantemente in equilibrio tra commedia e dramma, con spruzzi di romanticismo e horror qua e là.
Ocarina of Time è un viaggio nella terra di Hyrule, di cui ogni protagonista, ovvero ogni giocatore, a distanza di anni, può raccontare un episodio, qualcosa che è riuscito a valicare i confini del digitale e imprimersi bene in testa, e scrivo in testa per non scomodare il cuore. I Kokiri, adulti nel corpo di bambini, creature semplici, protette dall’albero Deku, il più saggio dei saggi, e tra loro Saria, infatuata di Link che però scoprirà ben presto che Kokiri non è, scoperta che rende impossibile il loro amore.

L’elegante popolo degli Zora, apparentemente così distanti da ciò che avviene nella terraferma, e il loro panciuto sovrano, tutt’altro che veloce nel concedere il passaggio a Link, nonostante la figlia Ruto sia persa all’interno dello stomaco del loro dio guardiano Jabu-Jabu e Link sia l’unica speranza di recuperarla (a fatica, sulle spalle, tra un capriccio e l’altro). Poi c’è Darunia, patriarca dei Goron, che opponendosi a Ganondorf rischia di affamare il popolo, ma più probabilmente lo ricorderete per il folle balletto durante la canzone di Saria.
A proposito di canzoni, il lavoro di Koji Kondo ha letteralmente scolpito la lore della serie, grazie a temi musicali memorabili legati a personaggi, aree e situazioni. Al nome Gerudo associamo ormai schitarrate latine, e quando scartiamo un regalo oppure otteniamo qualcosa nella vita vera sentiamo l’effetto sonoro della Treasure Box. No ok, questo non è vero, ma dovrebbe esserlo. La colonna sonora diventava gameplay, cambiando in maniera dinamica a seconda delle situazioni. Difficile uccidere tutti gli Skulltula con volume a zero, e la stessa cosa avviene con la vibrazione, che fino ad allora aveva un utilizzo più cosmetico che legato a meccaniche (non a caso Sony sentì l’esigenza di dotare i pad di Playstation di analogici e vibrazione).

Ocarina of Time, uscito su una console le cui vendite hanno quasi messo in ginocchio Nintendo, ha venduto oltre sette milioni di copie, praticamente quanto Metal Gear Solid, esclusiva di una delle console più vendute di tutti i tempi. Con i miei stessi occhi ho visto gente comprare Nintendo 64 con Zelda, finire il gioco, rivendere tutto. La gente telefonava nei negozi per avere dritte sul water temple, si scambiava consigli, dalle cose più semplici, tipo “rifai il minigioco del tiro al bersaglio un’altra volta, così ottieni un un quarto di cuore” a zone segretissime scoperte bombardando tutta Hyrule. C’erano persone completamente ammaliate dal ciclo giorno/notte e che spendevano tempo a capire cosa cambiava nelle diverse ore virtuali del tempo del gioco. Nascevano leggende metropolitane, forse c’era un modo per giocare con Sheik, o ancora per battere il maratoneta. Sì, forse parte della leggenda era amplificata dall’assenza di internet, ma poche volte ho visto la gente così svalvolata per un gioco.
Questo per dire che Ocarina of Time ha creato un movimento intorno a sé, ed è entrato nella cultura generale proprio perché era curato nei minimi dettagli. Non che non esistessero giochi così complessi, soprattutto nel campo dei giochi di ruolo, e quelli puramente d’azione stavano nascendo proprio in quell’epoca (alcuni sono citati poco sopra). Pochi giochi sono entrati nell’immaginario collettivo come Zelda, e onestamente, penso che il merito ricada tutto solamente sulle spalle di Ocarina of Time. A pari merito per importanza forse c’è solo il primissimo The Legend of Zelda, per la struttura spregiudicatamente open, e il primato di essere il primo gioco con batteria tampone per i salvataggi, in un’era dove password non era sostantivo, bensì verbo. Sicuramente il solo A Link to the Past, pur nella sua grandezza e tutt’ora amatissimo, non sarebbe bastato da solo a creare tanta mitologia.
Anche dopo un paio di generazioni, non c’erano dubbi su quale fosse il miglior videogioco di tutti i tempi, quantomeno per meriti oggettivi, se non come classifica personale. Anche oggi può capitare nei mezzi pubblici di sentire la song of epona o l’effetto sonoro di apertura dei forzieri usati da qualche sconosciuto come suoneria del proprio smartphone. Eppure, abbiamo lottato per definirlo God Tier durante quella live. Forse il fatto che sia lo Zelda più universalmente acclamato di tutti i tempi lo ha reso meno speciale? Forse è un’impressione tutta mia, in fin dei conti è pur sempre finito nella fascia alta della Tier List. Forse io stesso temo che sia facile dimenticare o non riconoscere meriti dovuti a un vero e proprio capolavoro. Ci stavamo cascando noi, che eppure viviamo e mastichiamo saghe Nintendo ogni giorno. Chissà se un giorno anche Breath of the Wild verrà messo in discussione? Forse capiterà, forse non è nemmeno una cosa tanto grave. Credo però che, finché sarà ancora il mio tempo, non smetterò di impugnare la Master Sword e valorizzarne il momento.