Non è vero, è Galaxy ma quanto è bello Sunshine
Super Mario 64 forse merita di entrare nella Super Mario 3D All-Stars più per i suoi meriti storici che per la sua fruibilità. Certo, resta divertente anche oggi, nonostante il tempo sia poco clemente con quello che a conti fatti è un capitolo indispensabile nella storia dei videogiochi. Infatti prima di Super Mario 64, gli sviluppatori si trovavano in difficoltà nel dare punti di riferimento ai giocatori, che si scoprivano spaesati nei confronti di una spazialità mai sperimentata prima, di conseguenza andavano di moda i controlli in stile carro armato – basta prendere in mano i Resident Evil e i Tomb Raider PS1/PS2 per intenderci – quando i protagonisti non erano carri armati veri e propri, o mech, protagonisti di tantissimi titoli della prima ora in era 32 bit.

Nintendo, con il pad tri-cornuto sbeffeggiato un po’ ovunque, mostrava che c’era bisogno di una levetta nuova per muoversi in questo nuovo mondo (che Sony replicò con un’intuizione forse un po’ fortunosa ma indispensabile, raddoppiandolo nei suoi primi Dual Shock), e dei tasti dedicati al solo movimento della camera. Super Mario 64 ci fece aspettare (e se si compravano riviste dedicate, sbrodolare) parecchio, ma fu un’attesa assolutamente ripagata, che mostrò al mondo che era possibile muoversi in un mondo 3D senza soffrire di motion sickness dopo una manciata di minuti.
Anche Super Mario Sunshine si fece attendere parecchio, in quanto Nintendo non aveva nessun “Mario platform” contentino, come possono essere oggi i New Super Mario (che a dire il vero, Deluxe a parte, mancano da un po’) o i Paper Mario, quando non veri e propri spin-off mobile come Super Mario Run. E quando finalmente arrivò… il mondo non reagì bene, e se lo fece, non all’unanimità. Eppure Super Mario Sunshine seguiva il sentiero già tracciato da papà 64, forse anche troppo pedissequamente. Di nuovo un hub centrale da cui entrare nei vari mondi, di nuovo tanti segreti da scoprire, di nuovo un mondo con i suoi personaggi e le sue logiche. Cosa andò storto?

Nulla, almeno per me che lo amai dal primo all’ultimo istante, ma posso capire le asperità che inquietavano i sogni dei perfezionisti di allora, forse oggi ancora più palesi. Innanzitutto il senso di avventura veniva ridimensionato in una vacanzetta. Avevamo lasciato il nostro alter ego baffuto intento a lanciare per la coda il suo più acerrimo nemico, e lo ritroviamo a ripulire graffiti lasciati dal figlioletto scemo. Tanto alto il divertimento di questo setting, quanto basso il tasso di epicità. I palmensi e i conchigliensi (si chiamano Noki, ma li ho sempre chiamati così) erano personaggi alieni al regno dei funghi, buffi ma estranei. Forse questa è poco più di una scusa, perché anche Rosalina e lo spazio siderale non hanno molto a che vedere con il setting marioso, ma con Sunshine era la prima volta che Mario veniva decontestualizzato così brutalmente.
Andando su perplessità più concrete e meno etiche, la telecamera era lungi dall’essere perfetta. Vero è che può essere modificata a piacimento, ed è possibile avere una buona visuale in quasi ogni situazione, ma a parte l’impostazione predefinita poi tutto viene lasciato in mano al giocatore, più o meno come in Mario 64, seppur con risultati meno legnosi. Galaxy imparerà la lezione, proponendo visuali quasi sempre perfette, ma di contro, molto spesso, non modificabili dal giocatore, che dovrà adattarsi alla situazione, farsi andar bene quel che trova. Inoltre, per una scelta di design che non ha quasi eguali all’epoca, l’orizzonte di Sunshine è molto ampio. Questa decisione è stata presa in funzione della giocabilità, perché ci sono tantissime monete blu sparpagliate per i livelli, ed è grandioso quando si riesce a vederne una davvero molto distante. Per evitare fastidiosi effetti di pop out però, si è deciso di non pigiare a fondo l’acceleratore.

E qui andiamo al punto forse più controverso: Super Mario Sunshine non è uno spettacolo visivo come lo era Super Mario 64 ai tempi e come lo sarà Super Mario Galaxy. Le sue texture erano poco rifinite e ripetitive, il setting dei vari mondi coerente ma poco vario, con la conseguenza di un mondo forse più coeso ma meno “wow”. Probabilmente però gli sviluppatori puntavano sul “wow” delle situazioni. Al di là infatti delle boss battle (talvolta anche mascherate e comunque diverse per esecuzione) e della ricerca delle 8 monete rosse, il fatto che i livelli con “quel che c’è da fare” dentro, fossero molto diversi, doveva essere la chiave del successo di Super Mario Sunshine. E perbacco, anzi mamma mia, ce n’è di varietà: si partecipa a un contest per il melone più grande, si puliscono i denti a un mostro marino, si diventa una palla di pachinko, si scacciano fantasmi da un albergo, si sparano missili contro una talpa, si surfa con dei calamari, si spengono categnacci incendiari per mandarli in sauna. E questi sono solo alcuni esempi, i primi che mi sono venuti in mente.
Lo Splac 3000 poi non è entrato nel cuore della gente. Chi non lo ha giocato pensa che sia l’antitesi del platform, mentre chi lo ha giocato sa bene che alcuni obiettivi sono legati alle nuove possibilità di gameplay fornite da questo oggetto, come monete blu/soli custodi da recuperare ad altezze vertiginose, porte da sfondare a velocità supersoniche o posti raggiungibili solo planando.La verità è che il concetto di Platform inizia a stare stretto alla serie, che vuole espandersi verso un concetto di gioco più dedito all’esplorazione e al piacere della scoperta, quando non della sorpresa vera e propria.

E forse proprio per questo Sunshine non brilla da una parte né dall’altra: i suoi livelli sono più piccoli di quanto mi ricordavo, e il senso di esplorazione è quindi ridotto rispetto anche solo al precedente Mario 64, che forse aveva mondi più spartani, ma più aperti e ampi. Le parti che funzionano meglio di conseguenza sono quelle senza Splac, in cui i designer sfogano la loro frustrazione da crunch time proponendo sfide all’altezza. Troppo poco per essere del tutto esplorativo, e ancorato a fasi troppo platform, quindi, e chi ama quelle fasi platform, ne avrebbe voluto di più, anche se sono porzioni di livelli il cui carisma è deficitario, soprattutto contestualizzato al resto. Galaxy imparerà anche qui: proponendo queste sezioni all’interno dei livelli, magari in sezioni separate, satelliti a sé stanti collegati tra essi, dal gameplay meno punitivo.
Perché Sunshine è punitivo, in alcuni punti. Eppure non è mai difficile, ed è per questo, o meglio, anche per questo, che lo adoro. Perché non dimentica la sfida, come avviene in Galaxy, eppure non è una sfida eccessiva e frustrante come nei mondi lunari di Super Mario Odyssey, è una sfida costruita con mani sapienti, in cui gradualmente si diventa sempre più bravi. E Super Mario Sunshine oggi è un outsider perché è uno degli ultimi giochi Nintendo di questo genere a richiedere al giocatore di diventare più bravo. I controlli sono perfetti.

Sì, quelli di Super Mario Galaxy lo sono ancor di più: sono morbidi, e soddisfacenti. In Super Mario Sunshine però, è possibile sbagliare. In Super Mario Galaxy e in Odyssey, è come se gli sviluppatori avessero studiato controlli e assemblato ambientazioni per restituire una soddisfazione immediata ad ogni salto dell’idraulico baffuto, aggiungendo uno strato di sicurezza in più. Sunshine, invece, ha ancora un’inerzia simile a quella del primissimo Super Mario Bros. dove si può andare “oltre” se non si dosa con sapienza il movimento, Mario sembra quasi scivolare, e non mancano le “frenate” disperate per recuperare un salto derivato da errore di giudizio nella calibrazione del movimento o nella valutazione della distanza (o di entrambe se si è scarsi come me).
Completare Super Mario Sunshine, è soddisfacente quanto giocarlo. Se i giocatori si scambiano aneddoti su quanto è difficile prendere le monete rosse sulla fenice di sabbia, è perché hanno avuto un piacere nell’imparare, ed è questo che restituisce quella sensazione di epicità che apparentemente manca. Inoltre, il senso di libertà è immutato da Mario 64, ed è piacevole anche solo entrare nell’hub centrale, saltare da palazzo a palazzo, decidere se dedicarsi a un obiettivo impegnativo o se scegliere uno più rilassato. A proposito di hub, è proprio uno splendore vederlo risplendere sempre più, man mano che si prendono i soli custodi, e passare da ambienti scuri pieni di cittadini tristi o preoccupati, all’isola da sogno che deve essere Delfinia.

Dato che abbiamo fatto passi da giganti in 18 anni, sarebbe stato gradito un vero e proprio lavoro di remake per portare il gioco a un livello tecnico vicino agli standard di Nintendo Switch (quindi nemmeno il meglio possibile in assoluto), ed eliminare alcune scelte weird, come le sequenze con dialoghi bizzarri, pochissime per fortuna e quasi tutte condensate all’inizio. Lo spruzzo d’acqua in soggettiva, affidato allo stick sinistro è una cosa fuori dal mondo per la nostra memoria muscolare, che ci farà sempre muovere il pollice destro prima di raggiungere lo scoglio dell’abitudine.
Ciononostante, mi sto davvero divertendo a rigiocarlo, anche se lo conosco a menadito. Gli effetti sui fluidi, all’avanguardia all’epoca, sono davvero piacevoli anche oggi, e fanno venire voglia di una gita al mare, la possibilità di autogestire il tempo, scegliendo incarichi più o meno gravosi, se non addirittura, scusando il francesismo, cazzeggiare qui e lì, rendono Super Mario Sunshine appagante come pochi titoli Nintendo, seppur con occasionali momenti di frustrazione. E quando sentite parlare di Super Mario Sunshine come il peggiore Mario 3D, rendetevi conto di quanto siamo fortunati noi fan Nintendo.