Ci sarà mai un’evoluzione per Nintendo?
Gli ultimi mesi sono stati decisamente intensi. Dall’inizio dell’anno, il mondo ha visto susseguirsi una questione internazionale dopo l’altra e la pandemia è solamente l’avvenimento più facile da elencare. La popolazione mondiale è stata messa alla prova da mesi di chiusura forzata e in America la situazione non è stata certo più rosea che in Europa. Oltreoceano, in mezzo all’emergenza coronavirus è nata un’altra emergenza che forse poteva essere prevista perché aveva le sue radici nel tessuto socio-politico americano.
A fine maggio, la morte di George Floyd ha catturato la scena mondiale con una escalation di tensione che ha avuto enormi ripercussioni su molteplici ambiti. A volte, in America si verificano eventi che scoperchiano il proverbiale vaso di Pandora: è successo con il caso Harvey Weinstein ed è successo di nuovo con l’omicidio di George Floyd. L’attenzione dell’opinione pubblica si è velocemente spostata sulla questione sociale e sulla disparità di trattamento tra bianchi e neri, dando origine ad un vero e proprio movimento che ha coinvolto la società a diversi livelli.
In quello stesso periodo, due delle maggiori aziende del panorama tecnologico mondiale avevano in programma un importante evento per la loro strategia commerciale: Sony doveva finalmente trasmettere il tanto atteso reveal di PlayStation 5 mentre Google aveva organizzato il lancio della beta di Android 11. Questi eventi vengono pianificati con largo anticipo e capite bene che, in particolare quello di Sony, aveva un’importanza fondamentale perché rappresentava la partenza ufficiale di tutta la macchina della comunicazione e del marketing per la console next gen della casa giapponese.
Nonostante queste premesse, le due aziende hanno deciso di rinviare i due appuntamenti per lasciare spazio alla situazione che gli Stati Uniti stavano attraversando. Certo, volendo pensar male, si potrebbe dire che la decisione è stata presa per evitare un momento storico che avrebbe sicuramente annullato la visibilità degli annunci, ma l’atteggiamento che Sony ha tenuto successivamente, fa pensare che nelle azioni dell’azienda ci fosse pochissima malafede. Sony ha annullato il reveal di PS5 per lasciare che l’opinione pubblica si concentrasse sulle questioni veramente importanti.
A seguito delle rivolte, sempre più aziende si sono schierate a favore del #blacklivesmatter, facendolo diventare quasi uno strumento di marketing: il politically correct (o in questo caso il socially correct) è ormai diventato una moda. Una bella moda, direi, visto che comunque si fa passare un messaggio positivo. Il rovescio della medaglia è che chiunque non partecipi a queste ondate di supporto alla causa del momento crea un silenzio assordante che può diventare pericoloso per il business.
A questo proposito, è doveroso muovere una critica a Nintendo, che in questi frangenti non ha saputo agire nel migliore dei modi (o ha avuto social media manager non proprio lungimiranti). Rispetto a Sony, il confronto è impietoso: due aziende, entrambe giapponesi ed entrambe operanti nello stesso settore, che hanno tenuto due linee di condotta diametralmente opposte. Una non ha avuto paura a schierarsi con fervore a fianco del movimento #blacklivesmatter e, non contenta, è salita insieme a moltissime altre grandi aziende sul carro del Pride, conducendo una campagna martellante a favore dei diritti civili, celebrando fortemente il mese dell’orgoglio LGBT con slogan a tema e loghi rainbow ovunque. L’altra è a malapena riuscita ad emanare una nota di sostegno per George Floyd e per la sua famiglia e non ha mai nominato direttamente il movimento #blacklivesmatter. Too little, too late.
“Nintendo è una società di videogiochi e non deve impicciarsi di questioni che non riguardano il suo business”, potreste dire. Osservazione ineccepibile, se non fosse che l’apertura mentale di Sony ha avuto un palese riscontro anche sulla sua produzione di titoli first party. L’azienda di Tokyo ha puntato fortemente sulle sue esclusive, proprio come Nintendo fa da tempo, ed è sotto gli occhi di tutti come negli ultimi anni abbia davvero premuto sull’acceleratore, bombardando il mercato con un successo dopo l’altro. Sony non ha avuto paura di osare, ha lasciato piena libertà ai propri studi e sono nati capolavori come Horizon: Zero Dawn o The Last Of Us Parte II.
Solo pochi anni fa, l’industria non poteva neanche pensare ad un tripla A con una protagonista femminile. “Il pubblico è prevalentemente maschile, il target non apprezzerebbe di immedesimarsi in una donna”, questa era l’opinione comune. Il tempo e i fatti ci hanno dimostrato che al pubblico non interessa chi si muove con la levetta sinistra, se il prodotto è valido. La produzione di Sony è stata quasi dirompente: quante protagoniste femminili abbiamo avuto durante la storia del nostro medium? Lara Croft? Bayonetta? Personaggi ipersessualizzati che stanno lì per soddisfare le fantasie di adolescenti in preda agli ormoni. La verità è che mai c’erano state donne come Aloy di Horizon: Zero Dawn o Ellie di The Last Of Us: forti, volitive, determinate e capaci prendere il mano il proprio destino. Vere e proprie eroine a 360 gradi. Come dite? Samus Aran? Potremmo chiudere la questione ricordando che nel libretto di istruzioni del primo Metroid ci si riferisce a lei utilizzando il maschile, ma vale la pena ricordare che il bonus finale consiste nel vedere la protagonista sempre più svestita con il tempo di gioco che scende dalle 5 ore in giù.
L’ignavia di Nintendo nei confronti dell’attivismo sociale potrebbe essere lo specchio dell’arretratezza culturale dell’azienda. L’immaginario dei videogiochi Nintendo non si è evoluto granché nel tempo e adesso comincia ad essere anacronistico. I più importanti personaggi femminili degli universi Nintendo sono due principesse: Peach e Zelda. Parlare di loro è come sparare sulla croce rossa, dal momento che ogni iterazione delle rispettive saghe ripropone immancabilmente il cliché della povera ragazza indifesa che ha bisogno dell’eroe di turno per essere salvata, con rari guizzi di intraprendenza (come, ad esempio, il finale di Super Mario Odyssey).
Nei videogiochi di mamma Nintendo, la trama non ha mai avuto un ruolo primario e questo non lascia molto margine di manovra per costruire storie avvincenti dove le personalità dei personaggi possano spiccare ma, anche in quest’ottica, le due ragazze vengono rappresentate sempre con un atteggiamento dimesso, in alcuni frangenti persino servile. Se Zelda, pur rimanendo in secondo piano, ha spesso avuto un ruolo comunque importante per la trama, guidando Link e aiutandolo ad esprimere tutte le sue potenzialità, Peach è quasi una bambola di pezza e non riesce a far altro che aspettare il suo Mario per essere salvata. Si, c’è stato Super Princess Peach, ma è stata un’operazione totalmente priva di convinzione, l’eccezione che ha confermato la regola.
Nintendo è un’azienda ossimorica perché ha saputo prendere scelte coraggiose e fuori dagli schemi sia sull’hardware (ad esempio Wii) che sul software (la freschezza e la novità di quel lampo di genio che è stato Splatoon), ma contemporaneamente ci ha abituati a strategie conservative su molti altri fronti. L’elefante nella stanza rimane il terrore che Nintendo ha nei confronti di internet e delle sue potenzialità: la società non ha mai puntato con decisione verso i servizi online, limitandosi al minimo indispensabile e mantenendo macchinose procedure per fare cose che su altre piattaforme sono la normalità (qualcuno ha detto chat vocale?) e ha scelto di non investire in alcun modo sul cloud gaming.
Non si può neanche dire che a Kyoto non ci sia spazio per le idee, visto che ci sono state nuove IP (Splatoon, Arms) ed è stata data anche la possibilità di sperimentare (Nintendo Labo) ma è innegabile che manchino quel pionierismo e quella audacia che hanno caratterizzato la Sony degli ultimi tempi e che un’azienda di tecnologia e videogiochi dovrebbe avere. I videogiochi Nintendo sono bellissimi, divertentissimi e curatissimi ma sembra che nascano da una visione piuttosto retrograda della società. L’eccezione di Animal Crossing: New Horizons, tra l’altro diretto da una donna, con la sua fluidità sull’aspetto fisico e sull’abbigliamento, è un esempio virtuoso di come dovrebbe essere ormai concepito un videogioco nel 2020 ma è comunque un passo molto timido, anche se nella direzione giusta. Naughty Dog, con The Last Of Us Parte II ha fatto di più e in più ambiti. Ellie è una giovane ragazza guidata dal desiderio di vendetta che non si ferma di fronte a nulla pur di raggiungere il suo obiettivo, la maniacale attenzione all’accessibilità del gioco da parte degli sviluppatori ha dell’incredibile e Sony non si è tirata indietro quando ha dovuto finanziare la produzione di un titolo che tratta con naturalezza temi che potrebbero essere considerati pericolosi per il successo commerciale del prodotto. In The Last Of Us Parte II, l’omosessualità, la transessualità e l’omogenitorialità si integrano senza forzature nella trama e, oltre alle prevedibili ma sterili polemiche, il suo successo planetario sta lì a dimostrare che i tempi sono maturi per far compiere al settore videoludico un ulteriore passo verso la sua maturazione da semplice passatempo a vera e propria arte.
Nessuno pretende di vedere un videogioco di Nintendo dove si uccidono cani con la stessa facilità con cui si schiaccia una zanzara, ma perché rimanere cristallizzati sul copione Bowser-rapisce-Peach-e-Mario-deve-salvarla? Perché, per una volta, non può essere Peach che prende in mano la situazione e salva il Regno dei Funghi? Ogni volta che riguardo il trailer del sequel di Breath Of The Wild, non posso fare a meno di sognare quali idee meravigliose potrebbero venir fuori se la protagonista del nuovo capitolo fosse Zelda.
La sensazione è che Nintendo non voglia uscire dalla sua zona di comfort, crogiolandosi nella consapevolezza di continuare a rappresentare il meglio che l’industria può offrire. Ma il mercato va avanti e le aziende devono costantemente rinnovarsi per tenere il passo. Nintendo ha già dimostrato di sapersi reinventare e sarebbe bello che anche a Kyoto iniziassero a capire che un videogioco può coinvolgere anche per altro, oltre che per le sue meccaniche. Sarebbe bello assistere a un cambio di paradigma, ad un rinnovamento nella cultura aziendale che possa mantenere la magia, la maestria ed i leggendari game design di Nintendo, unendo tutto questo ad un background che non si limiti alla classica storiella della fanciulla che deve essere tratta in salvo dall’eroe di turno.