Ritorno al futuro
C’era un tempo in cui i videogiochi non avevano sequenze animate in real time o eventi QTE, gli script erano ancora troppo semplici per poter dare vita a una sequenza cinematografica, eppure non mancavano i visionari che cercavano una quadra, di realizzare un videogioco che avesse il respiro di un’epopea senza perdere le caratteristiche di interazione e ludicità.
Flashback si ascrive a questo genere, non è un caso che sia nato negli stessi uffici in cui ha preso vita Another World, con cui condivide ben più di un paradigma di design, ma al quale non è strettamente correlato, se non come ispirazione, anche se entrambi i titoli sono ampiamente debitori verso un altro caposaldo, il preciso e arabeggiante Prince of Persia.
Flashback ha già visto luce nuova sette anni fa, quando il team originale ha ripreso in mano la propria creatura per dare al mondo una versione completamente ripensata con asset più moderni, doppiaggio e tutta una serie di caratteristiche che ovviamente non potevano essere inserite nel 1993. Quella versione, per quanto fedele all’originale nello spirito, era senza dubbio meno fascinosa, e se c’è un aspetto che non ha bisogno di essere cambiato in titoli 2D di era 16bit, se non per un aggiornamento di risoluzione agli standard attuali, è proprio la cosmesi, che nella maggior parte dei casi riesce a superare brillantemente la prova del tempo.
Questo discorso vale ancor di più in questo caso, poiché il gioco fa ampio uso di fondali disegnati a mano, tanto che tutte le presunte migliorie grafiche che è possibile abilitare dal menù, non fanno altro che sminuire l’impatto di quello che oggi chiamiamo senza timori pixel art, e la presenza di questi filtri sono forse retaggio di un’epoca recente in cui era nata l’assurda credenza che i pixel potessero allontanare il giocatore moderno. Nulla di più falso. Nell’immagine a seguire, le impostazioni consigliate quindi.
Flashback offre due modalità di gioco: classica, per chi cerca l’esperienza originale, e moderna che oltre ai filtri aggiunge brevissimi tutorial, sotto forma di immagini che illustrano schematicamente i comandi (ottima la decisione di mostrarli quando serve, anziché condensare tutte le spiegazioni a inizio gioco), (poca) musica e (tanti) effetti sonori rimasterizzati e soprattutto una modalità rewind, in cui poter scorrere indietro nel tempo per poter riprendere il gioco da un punto che precede una morte brutta. Trovo che questa funzione sia ormai indispensabile, soprattutto perché sempre più persone, come il sottoscritto, nutrono un interesse storico più che ludico verso certi giochi, e preferiscono tuttavia giocarli anziché guardare let’s play su piattaforme di streaming, e poco importa se bisogna barare per andare avanti.
Non ho capito però, perché questa funzione sia legata al livello di difficoltà selezionato. Vale a dire, lo si può usare deliberatamente a livello facile (ma in questo caso sono stati eliminati anche alcuni nemici per facilitare tutto, e così l’esperienza è più lontana dall’originale), due minuti per livello a livello normale, e infine 5 minuti nella totalità della partita a livello difficile. Dopo questa piacevole novità, è gradevole giocare a distanza di 25 anni, una versione in italiano. Solo che la traduzione in italiano è così.
O più probabilmente si è scelto di riutilizzare l’adattamento d’epoca, senza alcuna revisione, il che forse è anche peggio. Non si vedevano scempi linguistici tali dai tempi della torre di Babele. La versione in italiano è letteralmente ingiocabile. Allora quello che rimane da fare è andare nelle impostazioni della console, cambiare la lingua in inglese, e attendere il riavvio per ottenere questo.
Si vede che è destino che certi giochi non debbano mai vedere traduzione. Parlando più concretamente del gioco, anche per dare qualche indizio ai giocatori più giovani, il protagonista di Flashback è Conrad B. Hart, un giovane scienziato in in fuga da una stazione spaziale, che ha deciso di cancellare la propria memoria. Nel corso del gioco dovrete capire perché lo ha fatto, e chi lo vorrebbe morto. Questa sinossi potrebbe ricordare un racconto di Philip Dick, film come Atto di Forza o sicuramente quel filone fantascientifico anni ‘80/inizio ’90. Flashback non è un capolavoro, non lo era all’epoca e il passare del tempo ne ha accentuato i difetti.
I controlli sono quanto di più legnoso sia concepibile ed è uno di quei giochi da situazioni del tipo “dove sono/cosa devo fare adesso”. Nel senso che il gioco richiede azioni specifiche (ad esempio mostrare un oggetto a un NPC) senza però dare indizi o poterli evincere dal contesto. Si tratta di problemi tipici di una certa scuola di design, quella occidentale anni’90, che richiederebbero un certo impegno dagli sviluppatori per essere risolti, ma al di là del rewind e dei brevi tutorial per azioni base, l’opera di ammodernamento per quel che riguarda il gameplay non si è spinta su territori inesplorati, come aiuti a schermo più sostanziosi o una guida strategica in-game da poter consultare.
Questo però non può certamente essere un difetto, dato che non si tratta di implementazioni standard per questo tipo di produzioni, ed è una cosa con cui deve fare i conti il giocatore: il gioco è tosto e manchevole di determinati comfort ai quali si è abituati oggi, come poter salvare quando si vuole anziché in location predefinite o a inizio livello.
Come ho scritto su (poi può anche essere la mia modesta opinione), Flashback non era un capolavoro ma ha diversi motivi per essere amato e riscoperto, sicuramente perché l’estetica originale e la storia lo rendono un gioco unico. Forse si merita oggi di ricevere lo status di cult, perché si tratta di una produzione atipica verso la quale è naturale nutrire curiosità, sul quale una recensione poco può aggiungere a livello informativo, se non che ad oggi comprare Flashback su Nintendo Switch è la maniera migliore per goderne in modo legale, e questo, probabilmente, è già abbastanza.