Miyamoto perdonali perché non sanno quello che fanno
Talvolta, nella vita, capita di imbattersi in esperienze che intraprendiamo solo basandoci su come appaiono, per poi pentircene amaramente. Decay of Logos è, fuor di dubbio, una di queste. D’altronde chi non sarebbe attratto da un soulslike con lo stile di Breath of the Wild? Mai più che in questo caso si è rivelato veritiero il celebre, quanto banale, detto “non è tutto oro ciò che luccica”.

Ma andiamo più sullo specifico, Decay of Logos è un RPG action-adventure che trae ispirazione sia dal mai troppo osannato The Legend of Zelda: Breath of Wild che dai vari soulslike. Il gioco è stato inizialmente concepito come progetto di un singolo sviluppatore per poi essere completato da Amplify Creations, team senza alcun’altra esperienza nel settore videoludico. Ciò può forse giustificare le numerose mancanze sia a livello di giocabilità che di qualità effettiva presenti nel gioco agli occhi di alcuni (essendo anche un genere non semplice a cui approcciarsi), tuttavia, chi scrive, è dell’idea che qualsiasi prodotto vada valutato per come si presenta nel momento in cui viene venduto senza, dunque, dare peso a qualsiasi giustificazione legata al background dello stesso.

Il primo approccio con Decay of Logos è, quantomeno, straniante. Dovremo impersonare la giovane Ada, ritrovandoci in un villaggio dato alle fiamme. Senza più una famiglia e senza più una casa, inizia la nostra avventura in cerca di vendetta e verità. Come incipit non sarebbe neanche male se non fosse che, joy-con alla mano, Ada risulta difficilmente controllabile. I fendenti con cui è in grado di colpire i nemici danno l’idea, in primo luogo, di essere a rallentatore, anche a causa della presenza di imput-lag, e, di conseguenza, risulta arduo combattere contro nemici che sferrano attacchi al triplo della propria velocità.
Probabilmente, l’intenzione era quella di mischiare le atmosfere di Breath of the Wild con la difficoltà tipica di Darksouls, finendo, però, per rendere Decay of Logos, essenzialmente, un prodotto frustrante e di difficile approccio. Ad aggravare la situazione, nei primi minuti di gioco, mi sono imbattuto più volte in un bug che blocca la protagonista subito dopo aver aperto la prima chest visibile in-game, costringendomi così a svolgere più volte da capo la sequenza-tutorial iniziale. Potete immaginare da voi quanto possa essere fastidiosa una situazione del genere.

Presa dimestichezza, per quanto sia possibile, coi comandi e superato il primo nemico, ci troveremo davanti a un mondo che graficamente richiama, come già detto, la Hyrule di Breath of the Wild. In questi primi minuti, il senso di straniamento raggiunge il suo picco: siamo infatti catapultati in un mondo apparentemente vasto senza che ci sia data alcuna indicazione su quale sia, effettivamente, il nostro obiettivo. Il tutto aggravato dal fatto che, per tutta la durata del gioco, non sono ottenibili né mappe del mondo né dei singoli dungeon.
La difficoltà è decisamente sproporzionata, fin da subito si viene presi di mira da inquietanti mostri-albero e da rape viventi che, nel giro di pochi istanti, sono in grado di atterrare il giocatore. I KO sono frequentissimi e spesso, vera nota dolente, dovuti a problemi coi comandi di gioco. Per farvi un esempio, mi è capitato più volte di dover ricominciare un dungeon da capo per un salto mal calcolato oppure di ritrovarmi a non vedere quale nemico mi stesse colpendo a causa della telecamera mal funzionante.

Elemento interessante del gioco è la presenza di Elk, il nostro “fido” alce destriero. Tra virgolette perché comandarlo sarà, questa volta probabilmente volutamente, difficoltoso. Elk si comporta, indipendentemente dai progressi fatti nel corso dell’avventura, come i cavalli selvatici di Breath of the Wild. Bisognerà aumentare il proprio legame con lui cibandolo e dandogli affetto e, anche dopo essere riusciti a cavalcarlo, sarà comunque necessario dirottare correttamente i suoi movimenti scalciando e utilizzando la levetta direzionale. Meccanica di per se non malvagia ma che, in breve tempo, finisce per rendere ancora più macchinosa la fruizione dell’esperienza di gioco, anche per la scarsa a.i. che comanda Elk.
Fruibilità già di per se danneggiata, oltre che dalle pecche evidenziate poco sopra, anche dalla presenza di un’interfaccia a dir poco spartana: a schermo saranno infatti visibili solamente l’arma in uso, eventuali oggetti/magie, il numero di frecce possedute e i classici indicatori di vita e stamina. Elementi come i punti esperienza guadagnati, l’usura delle armature e i danni inferti non sono resi noti al giocatore in alcun modo. Se ciò non bastasse, l’inventario è decisamente troppo ristretto: 2 armi, i pezzi dell’armatura e 5 fiale. Tutto questo, in effetti, rende l’esperienza, più che macchinosa, al limite dell’umano.

Di fatti, però, la difficoltà viene mitigata, col tempo, dalla scarsa a.i. dei nemici sparsi per il gioco che, essenzialmente, si dividono in due categorie: difensivi e attaccanti. Gli stessi boss che ci troveremo ad affrontare nei dungeon sono abbastanza simili tra loro per quanto riguarda il moveset. Praticamente, una volta sconfitto il primo, le boss-battle successive saranno una ripetitiva copia carbone un poco più impegnativa di quella iniziale. Malgrado l’eccessivo riutilizzo di pochi asset sia disorientante, mi sento ti attribuire al comparto grafico e al level design dei dungeon le uniche note non negative di questa recensione.
Lo stile del gioco risulta, infatti, tutt’altro che sgradevole con scorci che riescono a farsi apprezzare ed è chiaro l’intento degli sviluppatori di disseminare i dungeon di misteri e trappole di ogni tipo. In modalità portatile Decay of Logos non perde molte performance risultando “godibile” anche fuori di dock.

Insomma, mi sono trovato a giocare Decay of Logos con la vana speranza che potesse riportare alla mia mente, anche solo frammentariamente, le sensazioni provate esplorando la Hyrule di The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Ciò è riuscito solo a livello superficiale nel comporta grafico e in alcune scelte di level design.
Fin dai primi minuti di gioco, infatti, Decay of Logos risulta essere un gioco farraginoso, frustrante e realizzato, sia nel combat system superficiale che nell’interfaccia pressoché inesistente, in maniera spartana e frettolosa. Esperienza a dir poco insufficiente che non mi sento, francamente, di consigliare a nessun tipo di videogiocatore.