Buon natale a tutti voi fortunelli

Il nostro Diego Inserauto vi augura un buon Natale, tirando fuori sciagurati ricordi della sua infanzia da gamer. Buon Natale a tutti!

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Lettera aperta a chi è nato dopo il ‘95

Inesorabilmente, sta arrivando Natale. Sì, sta arrivando Natale e da adulto è un periodo meno magico, in cui ormai di veramente nuovo e/o di cui essere felici c’è sempre meno, ma che siate genitori, con la consolazione di vedere i vostri pargoli elettrizzati da questa atmosfera gioiosa, o che preferiate rintanarvi nell’intimità domestica in cerca di una defaticante pausa dal tran-tran quotidiano, si sente lo stesso qualcosa di diverso nell’aria, qualcosa che vi rimanda a tempo fa, e a momenti fausti lontani.

Le maratone di film natalizi, con Una poltrona per due e Una promessa è una promessa in loop alla tele, le tavole imbandite e messe a repentaglio dal peso di pasti tanto esagerati da far arrossire Lucullo, le infinite tombolate/setteEmezzate/mercante in fierate che infierivano sul corpo di noi pargoli, non ancora abituati alle ore piccole ma con gli occhi spalancati e le mani piene di panettone/pandoro con crema. Ma che ne sapete voi del duemila? Ecco, bravi, sappiatene meno possibile, che siete fortunelli! Quanto vi invidio.

Certo, spesso mi dico che sono stato fortunato in fin dei conti. Ho vissuto le varie ere ludiche e ogni progresso era una meraviglia, una meraviglia come forse oggi è difficile provarne. Facevo partire Ghostbusters sul Commodore64: una ciofega incredibile, ma aveva la voce campionata che diceva “GHOST-BU-STERS!!!!” come nel film, praticamente un miracolo!

Mamma, mamma! Il computer parla!

Mettevi la cartucciona di Donkey Kong Country nel tuo Super Nintendo e il tuo amico col papà ricco non si capacitava perché Gex nel suo Playstation di importazione facesse così schifo, lo stesso amico che poi giocava con te a Super Mario 64 perché un gioco 3D così non lo aveva ancora visto. Nessuno aveva ancora visto niente in effetti, al contrario di oggi che si è visto tutto e più di tutto, ed avevamo così tanti motivi per essere felici, e non lo eravamo.

Perché adesso i videogiochi te li schiaffano anche al supermercato, e il padre che prima giocava a Duck Hunt, o coi Lego, oggi vede Minecraft di sfuggita, tra una caciotta e un kinder bueno e lo compra al figlio per fargli una sorpresa al rientro da scuola. Noi no. Con noi intendo quelli della mia generazione, o comunque quelli che erano piccoli durante l’era 8-bit. Noi i videogiochi dovevamo sudarceli. Intanto siamo nati nell’era P.I. cioé pre-internet. Ma di più: non c’erano nemmeno centri commerciali. Non che sia necessariamente un male, ma è per dire: i negozi specializzati in videogiochi erano pochi o non c’erano.

La salagiochi era tipo così, ma con molta più sporcizia e spacciatori

I videogiochi in Italia venivano venduti nei negozi di giocattoli, con un ricarico così esagerato che i genitori ti compravano i giochi in due occasioni: compleanno e Natale. E anche in quelle occasioni, farselo comprare era una tragedia: innanzitutto i tuoi non sapevano nulla e quando chiedevi “Super Mario Bros. 2” sapevi già che eri fortunato se, una volta scartato il regalo, trovavi Dr. Mario, che almeno Mario se lo sono ricordati. Ma era anche possibile che trovassi un gioco di Wrestling perché tua madre l’unica cosa che ricordava era che c’era un tizio coi baffi in copertina, per cui Mario e Hulk Hogan diventavano improvvisamente parenti. Questo sempre se non era la mamma stessa, la traditrice. “Tanto gli piace e ci gioca uguale, costa pure trentamilalire meno, e poi di questo vede i cartoni in TV ogni giorno”. No, mamma, il gioco di Bugs Bunny per NES fa schifo, non c’entra nulla col cartone, e poi ci gioco perché non ho alternative. Stai crescendo un figlio abituandolo alla mediocrità, sappilo!

La scuola si trasformava nel perfetto luogo di scambio di cartucce, e pazienza se per tre mesi dovevi giocare al gioco dei Flintstones nonostante in cambio avessi dato Probotector (che in realtà era Contra. Ah sì, vogliamo parlare anche del fatto che i giochi venivano tagliuzzati e impoveriti dalla censura o da scelte di localizzazione da far ridere ai polli?), almeno era un gioco nuovo in cambio di uno che avevi finito più volte (e che non finirai più perché invecchierai e diventerai una pippa galattica). Ovviamente i genitori più furbi avrebbero avuto in casa un Commodore64, e più tardi un Amiga 600, proprio per evitare il salasso dei giochi, ma Zelda? Ovviamente, te lo sogni. Ma tipo che non vedevo l’ora di comprare Console Mania, solo per sbavare sugli screen dei giochi, grabbati il più delle volte con macchine fotografiche a pellicola puntate direttamente sullo schermo, con la ovvia qualità che ne conseguiva, se il giornale non aveva avuto la fortuna di ricevere qualche foto press. Ma andava bene lo stesso.

Mamma, questo ti sembra Super Mario? Ma sei seria???

Quello che non andava bene era tutto il contesto. Se giocavi con un videogioco, eri un alienato. Punto. E se non eri un bambino, eri proprio un disadattato. Poco importa che talvolta dovessi litigare con papà per giocare a Super Mario, i videogiochi friggono il cervello, lo dicono i psicologi rompiballe in TV, e guastano i televisori. No, non era una scusa becera per scrostare i bambini dai tubi catodici: i nostri genitori ci credevano davvero. Chissà se nel mondo c’è stato qualche bambino sfigato che dopo qualche giorno di utilizzo del suo NES nuovo di zecca, non ha più potuto giocarci perché casualmente il televisore si è rotto per i fatti suoi. Immagino l’infanzia negata.

Ma per tornare all’argomento festività natalizie e cenoni, il Game Boy era letteralmente il messia che salvava dalla noia tutti i bambini degli anni ‘90, sempre sia benedetto. Sempre che i genitori, o i parenti, o ancora amici di entrambi, non si coalizzassero per impedirti di usarlo. Perché mentre si mangia, è maleducazione. Poteva anche esser vero, ma come può un bambino non fare a meno di collassare con la faccia sulle lasagne quando si inizia a mangiare a mezzogiorno e si finisce un minuto prima della mezzanotte? E potreste pensare che la frase che tutti avevamo il timore di sentire fosse “Dai amore, mettilo via”. Nono. La frase più temuta era la terribile “Fai, il bravo, fai giocare tuo cugino/il tuo amichetto”.

Con lo schermo non retroilluminato si accorreva ad accrocchi tremendi tipo questo

Perché era letteralmente impossibile che il DLING del logo Nintendo non catalizzasse l’attenzione di qualsiasi altro marmocchio nel giro di un chilometro. E dovevi adagiare il tuo Game Boy, che trattavi con tanta cura e amore (gli avevi anche dato un nome), sulle mani di tuo cugino PierGigiGiovanniPaolo, un bambino che non aveva bisogno di usare il citofono perché l’odore dell’unto da patatine San Carlo preannunciava la sua presenza anche se abitavi al nono piano, e l’unica volta in cui l’hai visto con le mani pulite nell’interezza della sua pur breve vita è stato durante il battesimo, e solo dietro costrizione.

Quindi buon Natale a tutti voi fortunelli, che non saprete mai cosa vuol dire agire di sotterfugi per una fugace partita a Wonder Boy, voi che non avrete problemi a tirar fuori Nintendo Switch, perché tanto anche vostra sorella usa il cellulare a tavola, e pensate a quando i miei genitori mi hanno fatto sentire in colpa per non aver fatto giocare nemmeno 5 minuti il figlio della Carmen con il Game Gear appena ricevuto da un parente. Perché vai a spiegare loro che le sei batterie AA su Game Gear ne duravano tre, di minuti.

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