È Luigi il nostro eroe, perché non è un eroe

Condividi l'articolo

Immaginiamo una situazione di crisi, una minaccia qualsiasi. Un classico della narrazione: c’è un gattino su un albero, non riesce a scendere, e la padrona in ciabatte e bigodini è tutta un garbuglio di ansia e lamenti. Se sotto a quell’albero passasse un pompiere, userebbe il suo addestramento per tranquillizzare la signora e raggiungere il micio in totale sicurezza. Se a passare fosse Batman, lo farebbe fiondato giù da chissà quale angolo buio, nel suo mantello, prendendo il micio al volo, atterrando in posa plastica e svanendo nel nulla senza nemmeno aspettare i ringraziamenti. Ma se sotto all’albero passiamo noi. Se fossimo noi a passare, con buonissima probabilità ci prenderemmo un attimo per capire cosa stia succedendo, calcoleremmo l’altezza del ramo su cui è posato il felino ma no, è troppo in alto ovviamente, proveremmo a lanciare qualcosa lassù prima di capire la totale inefficienza del gesto, cercheremmo su Google l’apposito tutorial di Aranzulla, e infine, sotto lo sguardo deluso della signora, chiameremmo i pompieri, o Batman. Ma avremmo fatto comunque il nostro. Perché nella vita reale, succede che l’eroe di turno sia altrove.

“Sad Luigi”, ad opera di R0B0TNINJA

Il fatto è che l’immagine tipica dell’eroe statuario senza macchia e senza paura gode della massima popolarità da sempre nella storia dell’uomo: di quelli greci si racconta ormai da 3000 anni, i cavalieri reali hanno girato l’Europa per secoli, i supereroi non sono mai stati popolari come ai nostri giorni. Se c’è un problema, c’è un paladino pronto a risolverlo, attorniato da un manto di luce; se c’è una principessa in pericolo, c’è Mario, che riporta tutto alla tranquillità senza nemmeno un pelo dei baffi fuori posto. Ma Mario può risultare assente, anche agli eroi capita di essere a casa malati, o in ferie, od occupati a discutere al telefono con il partner (amoroso o professionale), o svogliati. Gli eroi possono, semplicemente, fottersene; o essere loro stessi la preda. Chi resta a quel punto? Noi.

Quando gli eroi sono sono assenti, quando nessuno risponde ai nostri appelli, non possiamo che contare su noi stessi. Eccolo, Luigi. Questa volta è l’insuperabile fratello ad essere in trappola, a nulla serve chiamarlo coi bottoni direzionali. « Mariooo… Mariooo… ». Nessuno reagisce.
Ok, Luigi. Ci sei solo tu, soltanto tu.
E Luigi va. Non ha la fermezza di Batman, trema, vacilla, è inesperto, il contrario di un pompiere, cammina a passi lenti, non coi salti di Mario. Ma va avanti. Forse procede per disperazione, ma anche quella è una forza.
Luigi sa che non tocca a tutti lo stesso destino: non è lui il personaggio di punta che i videogiocatori acclamano. Privo di particolare potere e carisma, siede sempre all’ombra dei grandi protagonisti. Ma non è questo il punto: il punto è che se c’è un problema e sei solo, allora strappi via tutta la paura che ti sta consumando e lo risolvi, al di là di quanto goffo apparirai, che l’estetica non ha importanza.

Luigi è un antieroe, perché vacilla, tutto vorrebbe tranne che essere lì a salvare capra e cavoli: ma non si arrende, ed è questo che lo rende un eroe. Il nostro eroe, perché è più vicino alla nostra imperfezione, ci ricorda delle nostre paure. I fantasmi ce li abbiamo tutti, e molto spesso non c’è alcun Mario da chiamare; è la perfezione, piuttosto, che non esiste.

Per questo non vediamo l’ora di prendere il joypad per Luigi. Con lui ci concediamo di sbagliare, di fare la pace coi nostri limiti e di superarli per salvare la situazione. È proprio perché non siamo eroi, che lo diventiamo.

E a che importa sapere si essere l’eterno secondo, se si è fatta la cosa giusta?


Potrebbero interessarti