Non proprio la crociera che ci si aspetta
Siamo agli albori del 20° secolo e Nikola Tesla, scienziato di fama mondiale, ha deciso di radunare tutti i migliori studiosi del mondo per lavorare ad un progetto segreto su una nave che farebbe invidia al Titanic: la Helios. Tra questi troviamo Ada Archer, brillante scienziata e sorella di Rose, la protagonista del gioco che controlleremo per tutta la durata dell’avventura.
Il legame tra le due sorelle è una delle tematiche che Storm in a Teacup, talentuoso studio italiano, ha voluto sfruttare in Close to the Sun per raccontare una storia fatta di horror, flashback, misteri e tensione, il tutto amalgamato in maniera saggia ma non così tanto da indirizzare il gioco in una precisa direzione, rimanendo per tutto l’arco delle circa sei ore di storia con la sensazione di “incompiuto”.

I pregi di Close to the Sun sono infatti da ricercare tutti nell’atmosfera, nella direzione artistica e in quel peso che in parte riesce a sopportare di “Bioshock italiano”, seppur fin dal primo capitolo la direzione presa sia ben differente. Iniziamo la nostra avventura con un invito da parte di Ada su questa nave che pullula di vita: scienziati, artisti, attori, dovremmo trovarci davvero di fronte a qualcosa di spettacolare una volta a bordo, seppur il mare in tempesta non faccia da sfondo perfetto.
O forse sì.
Saliamo sulla Helios e non è proprio come ce l’immaginavamo, e a pensarlo non siamo solo noi giocatori: la stessa Rose comincerà a domandarsi sul perché di tale (non) accoglienza, pensieri ad alta voce con cui dovremo fare l’abitudine. Una delle cose che più ho apprezzato in Close to the Sun è la totale assenza di indicatori a schermo: il gioco è un’avventura in prima persona la cui storia è narrata dalla protagonista e da diversi personaggi con cui avremo a che fare, oltre che a documenti, pagine di giornali dell’epoca e passaporti che troveremo tra le tantissime aree della nave che andremo a visitare.
Continuiamo ad esplorare il ponte della nave, forse non c’è nessuno per il cattivo tempo, all’interno il tutto sarà diverso. Basterà poco e, una volta entrati da un cancello che non sembra essere stato lasciato aperto appositamente, scopriamo un’enorme scritta “quarantena” fatta con il sangue. Il mio cuore e quello di Rose si gelano.

Da qui possiamo già capire in che direzione Close to the Sun proseguirà: per un esperimento non riuscito, degli squarci spazio/temporali hanno fatto sì che delle creature mostruose abbiano fatto a pezzi l’equipaggio della nave e gli sviluppatori hanno tenuto molto a ricordarcelo spesso, qualora qualche stanza illuminata ce lo abbia fatto dimenticare: corpi decapitati, budella ovunque, stanze ridotte a cimiteri, cadaveri impalati, di certo non un bello spettacolo.
Probabilmente io non sono uno dei giocatori più coraggiosi o meno impressionabili al mondo, ma la nostra giornalista Rose mi è sembrata fin troppo “abituata” a tale spettacolo: dopo sole poche scene raccapriccianti, infatti, la protagonista sembra non essere più impressionata o disgustata da certe scene (e fidatevi, alcune sono davvero rivoltanti), un po’ pretenzioso per una ragazza sola, su una nave buia e con cadaveri ovunque, con nessuna possibilità di difendersi.
Close to the Sun infatti può essere considerato una sorta di walking simulator horror, con tutti i pro e i contro che ne conseguono. Per tutta la durata del gioco non dovremo fare altro che camminare, schiacciare leve, risolvere dei puzzle davvero semplicissimi, raccogliere e leggere documenti, seguire la storia narrata dai pensieri e flashback di Rose e dai personaggi che parleranno con lei attraverso un walkie talkie, Ada compresa.

Questa quasi perenne compagnia di qualcuno, seppur solo vocalmente, in un certo senso però inibisce la sensazione di paura, seppur i momenti splatter e d’ansia non manchino di certo: qualche jumpscare ben studiato e alcune (poche) sessioni di inseguimento danno un bel po’ di pepe ad un gameplay altrimenti davvero troppo piatto, che si limita soltanto a farci esplorare l’ennesima stanza/corridoio in cerca di una leva che apra la porta che ci permette l’accesso alla prossima meta.
I ragazzi di Storm in a Teacup sono riusciti a creare una storia sicuramente interessante e piacevole da vivere fino ai titoli di coda, con misteri e qualche colpo di scena (seppur telefonato) che permettono di seguire le vicende della Helios senza che la noia colpisca il giocatore. Purtroppo, però, le premesse che muovono il tutto sarebbero potute essere sviluppate in maniera più approfondita, con i conflitti tra Tesla ed Edison che fanno solo da sfondo, i viaggi nel tempo che vengono presi solo come pretesto per la minaccia principale e alcuni flashback che ci mostrano cosa sia successo in una determinata stanza prima che noi arrivassimo.
Qualcosa di più legato ai viaggi temporali avrebbe di sicuro reso il tutto più complesso ed entusiasmante, mentre alla fin fine la storia prosegue nel più classico degli horror “prosegui verso la meta cercando di rimanere in vita”.

Close to the Sun è il primo grande gioco di Storm in a Teacup e i progressi fatti dal team romano dal loro esordio nel 2013 si vede: la Helios è stupenda da ammirare (per quanto stupende possono essere aree piene di cadaveri): le stanze, le hall, i corridoi che compongono la nave sono ricche di dettagli con l’eccellenza raggiunta nel teatro. In generale il gioco artisticamente parlando si presenta davvero bene, con qualche alto e basso che si può perdonare: grazie all’Unreal Engine 4 infatti troviamo architetture complesse, davvero belle da ammirare, con effetti di luce che fanno il loro sporco lavoro, contrapposte a modelli degli umani davvero troppo old gen.
Per quanto riguarda il frame rate, però, i miei occhi hanno chiesto pietà. Il gioco gira costantemente a meno di 30fps nella migliore delle ipotesi, con casi (nemmeno tanto rari) in cui scendiamo addirittura intorno ai 10, rendendo praticamente ingiocabile quel momento. Probabilmente un’ottimizzazione non adeguata fa sì che alcuni elementi dello scenario non si carichino rapidamente e rallentino il tutto, visto che in concomitanza di questi cali troviamo anche parecchio effetto pop-up: da questo punto di vista è davvero un mezzo disastro.
Dispiace davvero, visto che nonostante il sub-HD in portatile e un dubbioso 720p anche in dock, Close to the Sun resta comunque apprezzabile da vedere e, come detto precedentemente, riesce anche ad incantare in alcuni frangenti tra tocco artistico ed effetti particellari.
Fortunatamente di tutt’altro approccio è il comparto sonoro, con effetti sonori nella media ma con una colonna sonora ottima e un doppiaggio in italiano davvero eccezionale.

Riusciremo a salvarci da questo misterioso esperimento fallito sulla Helios? Sta a voi scoprirlo in un’avventura che, spero, verrà patchata e che potrebbe avere un seguito visto il finale aperto, forse anche troppo. A differenza di una parte iniziale e centrale molto diluita, infatti, gli ultimi capitoli di gioco sembrano mettere l’acceleratore andando sì ad aumentare la produzione di adrenalina nel giocatore, ma anche ad eliminare quasi del tutto la componente horror a favore di un’atmosfera “action”, seppur le possibilità a noi concesse siano sempre e solo quelle di inizio avventura, correre e interagire con pulsanti/leve.
Il salto di qualità di Storm in a Teacup con Close to the Sun è stato fatto, ma serve di più: forse concentrarsi su pochi elementi, sperimentando di meno e non cercando necessariamente di attingere qualcosa da titoli come Soma, Outlast, Layers of Fear e Firewatch avrebbe reso il titolo meno vario ma con una propria identità solida. Un ottimo punto di partenza e non di arrivo: il team italiano deve riuscire a scappare anch’esso dal degrado della Helios e viaggiare verso lidi migliori, come il buon Nikola Tesla insegna.
“Il presente è loro; il futuro, per il quale ho davvero lavorato, è il mio”