La margherita di Game Freak: Pokémon, non Pokémon
Quando pensiamo a Game Freak tutti abbiamo in mente i famosi mostrilli tascabili e le loro avventure, ma forse non tutti conoscono un lato più autoriale e originale della famosa software house di Tokyo. Questa, infatti, non é la recensione di Pokémon Spada e Scudo sebbene anche in questo caso parleremo di adolescenti e mostri, bensì quella di una nuova esclusiva dedicata a Nintendo Switch, Little Town Hero.
Il nostro eroe, generalmente Axe ma nel mio caso Apostocle, vive una pacifica vita con i propri amici in un piccolo borgo dove la vita scorre serena e tranquilla, forse troppo tranquilla visto che i nostri giovani vorrebbero finalmente uscire dal retro del castello, cosa vietata all’intera comunità, per scoprire cosa si trova al di fuori del loro villaggio, come in “The Village” di M. Night Shyamalan ma senza inquietudine e robe strane. Beh, robe strane ce ne sono, dato che la città verrà invasa dai mostri, ma almeno sono colorati. Sarà per colpa di quella gemma nera maligna che i nostri eroi trovano per caso? Vai a sapere! L’inizio non è particolarmente brillante o innovativo, e purtroppo neanche il resto del gioco brilla per storia, nonostante personaggi visivamente gradevoli e qualche battuta simpatica.
Il primo trailer di quello che si presenta come un classico gioco di ruolo con card game system (non troppo) ben mascherato, con i suoi protagonisti giapponesosi e tondeggianti, mi aveva fatto sperare in qualche idea incastonata in una produzione solida. Già le prime ore di gioco hanno spazzato via le mie speranze, dopo aver constatato che se dell’ambizione c’è, è sicuramente ridimensionata da un team troppo esiguo. Così tutto sa di mediocrità: graficamente siamo su livelli medio/bassi ad esser gentili, i personaggi principali hanno un minimo di character design ben studiato, mentre tutto il resto del villaggio, seppur molto piccolo, segue una storia già vista fatta di dialoghi generici e poco coinvolgenti, all’interno di un fantasy adolescenziale generico.
Anche per la caratterizzazione dei personaggi principali non si sono sforzati tanto, e si va per stereotipi, tanto che quando il mio compito era semplicemente andare a parlare con persona X, difficilmente mi ricordavo chi fosse. Il cliché si snoda un po’ ovunque: c’è l’eroe, l’amico bulletto, l’amico genietto, il personaggio più adulto che offre i primi rudimenti di combattimento e così via. Dal punto di vista degli ambienti la situazione non migliora assolutamente, con una mappa molto piccola da esplorare, con elementi che sanno di gioco indietro di almeno due generazioni, e ciononostante si notano ugualmente cali di framerate. Bizzarro, la storia ha un balzo di qualità nell’ultimo terzo di gioco, e ha qualche subquest degna di essere giocata. Poi magari si torna a una linearità esasperante, con main quest tipo vai da punto A a punto B, cerca tua madre, parla con tizio, vai alla miniera, raccogli un oggetto, senza un minimo di pathos.
Questa incoerenza non è neanche il problema principale, piuttosto lo è l’alone di povertà che permea tutto, con giusto pochi elementi con cui interagire se non quelli che servono per andare avanti nella storia, una mappa veramente piccola, con cinque aree da esplorare tanto blande da rendere inutile il teletrasporto, visto che per arrivare da un estremo all’altro della mappa ci si mette uno schiocco di dita, assenza di negozi decenti, siamo alla periferia del gaming insomma. Perfino le case a volte sembrano essere state edificate da un arredatore folle, dato che mancano di elementi essenziali come un giaciglio o un tavolo. Similmente è difficile appassionarsi a vicende di personaggi così piatti e immedesimarsi in qualcosa.
Per fortuna però, il combat system, che non sarebbe esagerazione dire che sia il gioco stesso, è molto interessante, seppur non esente da difetti. Sostanzialmente i duellanti si sfideranno a suon di carte, mentre il nemico avrà un numero variabile di carte (generalmente da 1 a 5), il giocatore avrà 5 carte, anzi, idee. Queste possono essere blu, magie istantanee che applicano effetti come migliorare le altre carte o diminuire la potenza di quelle avversarie, rosse, carte di attacco che possono essere usate solo una volta a turno, e gialle, carte di difesa che possono essere utilizzate più volte. Prima di poter utilizzare le idee, vanno trasformate in dazzit, pagandone il costo e dopo averla selezionata andrà a scontrarsi con la carta dell’avversario, confrontando attacco e difesa. Se la prima eguaglia la seconda avviene un break, ovvero si spezza il dazzit avversario. Se si riesce a farlo con tutte le carte il nemico si espone a un attacco effettuabile da una carta rossa, se disponibile, diminuendo così di uno i punti vita dell’avversario (ognuno ne ha tre) o il guts, ovvero lo scudo che li difende.
Inizialmente si possiedono solo tre punti per pagare le idee, ma questo valore cresce man mano che si spezzano le carte e si combatte. Il problema è che i turni durano un po’ troppo e che possono passare anche otto turni prima che si riesca a imbastire una tattica efficace contro certi boss (a questo punto è chiaro come il gioco sia una continua lotta contro i boss, una specie di shadow of the colossus con le carte), specie se questi hanno degli attacchi o delle mosse particolari. Alcuni di questi vanno combattuti sfruttando il vantaggio dell’ambientazione. Infatti questi duelli avvengono all’interno di una percorso, le cui caselle possono contenere alleati o oggetti utili. Ad allungare lo stallo di un combattimento può esserci la casualità della pesca delle carte, che sono in copia unica e una volta spezzate non tornano se non subendo un punto ferita o spendendo BP, non sempre disponibili, e questo crea dei turni in cui si è a corto di carte e mosse.
Se da un lato ci sono delle ottime implicazioni tattiche, dovute alla gestione del mazzo, alla ricerca di combo da inanellare, all’analisi delle condizioni di battaglia, alla conoscenza degli effetti delle carte avversarie e altro ancora, sull’altro lato della bilancia, la mancanza di una fase di deck building e l’alea nella pesca delle stesse o ancora l’impossibilità in certi frangenti di poter sviluppare il proprio gioco, perché non si possiedono abbastanza risorse per pagare il costo della trasformazione da idea a dazzit e/o il refill del mazzo, genera turni lunghi e angoscianti. Il senso di soddisfazione può essere alto quando finalmente si batte il boss, ma è possibile che si sia passati attraverso noia e frustrazione nel farlo, magari dopo una sessione di gioco da un’ora completamente sprecata.
Inoltre non si ha un senso di progressione per tutta la partita, anche se a ogni scontro si guadagnano dei punti eureka che si possono spendere per migliorare le proprie idee che rimangono le stesse per tutta la partita, a eccezione di quelle donate dagli alleati durante gli scontri, che comunque non rimangono a nostra disposizione. Certo, il fatto che diversamente da quanto avviene in titoli del genere non si deve andare in giro a fare incontri casuali per progredire non è un male, anzi, ma la mancanza di un senso di progressione non può essere un bene. Ancora di più, la sfida intellettuale risiede solamente nel capire come affrontare la situazione, perché spesso la soluzione è unica e non affrontabile uscendo dagli schemi. Se il nemico ha un contrattacco quando si scopre, non lo si può attaccare a meno di prendere danno, e si deve sfruttare qualche effetto di pochi dazzit blu o più probabilmente gli alleati sulla mappa, non si sfugge. E questo senso di “obbligo” nel fare le cose, lo si avverte per tutta la durata del gioco.
Neanche il comparto sonoro è esente da difetti, con musiche sì gradevoli ma anche assenti dalla memoria non appena spegnerete la console, e dire che il titolo vanta la collaborazione di Toby Fox, celebre per Undertale. Game Freaks punta su un gioco piccolo per dimostrare di avere buone idee, ma c’è da chiedersi a questo punto se si tratti di inesperienza più che problemi di budget, perché proprio non si spiega come la stessa casa che ci offre dei titoli ben rifiniti come i Pokémon main possano poi mettere su eShop un titolo che tecnicamente è indietro di anni, con rallentamenti e clipping audio, che sembra indirizzato a un pubblico giovanissimo come cosmesi estetica, ma il cui combat system è troppo complesso per essere compreso da quella fascia di età e forse troppo lento e farraginoso per essere apprezzato in generale. Non penso proprio che questo prodotto vedrà mai un seguito, né un merchandising dedicato fatto di morbidi e colorati pupazzetti a forma di mostriciattoli, semplicemente perchè il prodotto difficilmente potrà far breccia in qualsivoglia tipo di pubblico.
E deprime dirlo, perché il concept alla base del combattimento (seppur visto in centinaia di trading card game) è veramente valido, ma tutto il resto è così spartano che difficilmente potremmo dire di trovarci davanti a un esperimento che avrebbe potuto essere il primo capitolo di un nuovo brand, da affiancare a quello dei più famosi mostri da tasca.