Squall è ancora il ragazzo più carino?
Non so quanti dei lettori di NintendOn appartengano alla categoria di videogiocatori che ha vissuto in prima persona l’era PlayStation di Final Fantasy e non necessariamente questo può essere un aspetto da considerare rilevante in fase di scrittura della recensione.
Ciò che però amo ricordare a chi “non c’era” o ha marginalmente percepito quel periodo in quanto molto piccolo è la portata di un evento come il lancio di un nuovo capitolo della serie ammiraglia dell’allora Squaresoft. Internet era agli albori, le informazioni erano sempre poche (spesso recuperate dai primi siti nipponici e tradotte in malo modo) e generalmente ci si affidava al parere di chi, per ruolo, aveva accesso ai titoli in anteprima. In quei casi, dunque, la capacità di coinvolgere il lettore faceva la differenza tra un titolo evento e uno bello e basta. I JRPG spesso ci venivano illustrati da veri appassionati del genere, che lasciavano trasparire le emozioni vissute lungo le centinaia di ore spese a farmare oggetti e sconfiggere boss segreti. Ed erano molto bravi a coinvolgerci.

Dopo Final Fantasy VII e la sua incredibile mole di innovazioni (per il genere, ma anche in generale dal punto di vista tecnico) a supporto di un contesto avvincente e ricco di misteri, non si poteva che attendere qualcosa di clamorosamente epico, che potesse bissare e superare i risultati di un titolo la cui fama è stata tramandata di giocatore in giocatore con un effetto “gioco del telefono” capace di fargli trascendere la realtà e mutarlo in leggenda – no regà, i “Tissue” e i “1/35 soldier” non servono a ressare Aeris…
Final Fantasy VIII si presentò in europa pubblicato da Electronic Arts e – incredibile per il tempo – completamente tradotto in italiano. WOW, iniziamo benissimo! Fin dall’avvio si potevano ammirare gli enormi progressi compiuti dal team quanto a grafica e modellazione, portando al limite qualità della computer grafica e mostrando di aver padroneggiato a fondo la fusione tra fondali FMV e gioco in tempo reale. Da quel punto di vista questo ottavo capitolo fu un successo clamoroso e i voti si preannunciavano altissimi prima ancora di capire quanto fosse profonda la tana del bianconiglio.

Final Fantasy VIII prese tutto ciò che era Final Fantasy VII e provò a farlo in grande e meglio: personaggi più realistici, mappa del mondo più dettagliata, maggior numero di attività, mondo più vivo e caratterizzato e un’impronta dei personaggi più moderna che provava a catturare l’evoluzione del pubblico giapponese.
A ciò si affiancò un sistema di gioco estremamente sperimentale che metteva da parte il consueto livellamento sfrenato per mettere il giocatore nella condizione di agire attivamente e costruire le proprie build più efficaci ben prima di arrivare all’endgame. Un prodotto atipico che ebbe un effetto abbacinante sull’utenza, capace di influenzare la percezione generale di Final Fantasy IX – gioco migliore praticamente in tutto ma legato al passato per estetica e meccaniche.
Final Fantasy VIII però incappò nel più classico degli infortuni d’epoca: il master del gioco venne perso e/o abbandonato, creando un buco nella continuità della saga che solo oggi, dopo tanto, viene colmato da Final Fantasy VIII Remastered. Ne è valsa la pena aspettare?

Detto fuori dai denti: sì e no. L’opera di restauro made in Square Enix ha sicuramente raccolto numerosi consensi tra il proprio pubblico, esploso di gioia all’idea di poter completare la collezione degli episodi PlayStation 1 sulla propria console di riferimento, ma porta con sé alcuni dei limiti che già avevamo notato in Final Fantasy VII e IX. Innanzitutto l’ovvia, stridente, incompatibilità tra i fondali prerenderizzati a risoluzione nativa originale e l’attuale rendering poligonale a 1080p, graziato per giunta da una rinfrescata modellazione dei personaggi.
Il risultato è un cacofonico sovrapporsi tra elementi estremamente definiti (su altre piattaforme addirittura in 4K) e altri malamente sfuocati, una innaturale ibridazione che ci regala bizzarrie di cui avremmo fatto a meno (su tutte l’utilizzo dei fondali per inserire degli NPC con cui interagire, come nel caso del preside Cid nelle prime parti di gioco).
Però si tratta di cose che ci aspettavamo, quindi conviene valutare l’esperienza per quello che maggiormente può interessare: rivivere la storia e il sistema di gioco ormai dimenticati, seguendo il cupo Squall e la solare Rinoa attraverso centinaia di ore di gioco.

La saga di Final Fantasy ha sempre trattato tematiche forti legate a equilibri di potere, guerra e minacce globali e questo ottavo capitolo non è da meno. A differire rispetto a tanti predecessori e seguiti è l’introduzione piuttosto subdola di queste tematiche, inizialmente celate dietro il velo di una storia in cui seguiamo la crescita dei membri di un accademia (il Garden di Balamb) impegnati a dare del loro meglio per superare gli esami e raggiungere il rango di Seed. Per buona parte della fase iniziale ci occuperemo di baruffe tra bulletti a causa del burbero Seifer, accenni di storie d’amore grazie all’incontro con Rinoa e celebrazioni da ultimo dell’anno in cui scoprire il carattere dell’iperattivo Zell, della tuttofare Selphie nonché della professoressa Quistis; una chiusura quasi leggera non fosse poi il gruppo si trovi poi a partire per un’avventura in cui, quasi come malcapitati, viene buttato nella mischia di conflitti dalla scala crescente.
Il nichilismo e l’arroganza, l’entusiasmo scriteriato e la voglia di ritagliarsi un ruolo: i dilemmi adolescenziali diventano veicolo di una storia molto cruda, a tratti spietata, dove gli elementi più oscuri sono lasciati sullo sfondo di un conflitto tra personaggi. Proseguendo con la storia, ogni relazione e ogni rivalità vanno raccordandosi nella trama che a conti fatti mette in pericolo il destino del mondo, senza necessariamente tirare in ballo un singolo individuo prescelto ma tracciando connessioni rilevanti e sorprendenti. Nel complesso, rispetto alla tradizione, si è giocato in modo piuttosto originale tra linee temporali e entità ricorrenti. Comprese curiose digressioni nello spazio…

Proprio per via della storia, inizialmente l’esplorazione è molto guidata e ci consente di fare esperienza con un sistema di combattimento che, pur abbracciando la tradizione dell’ATB, porta in seno una serie di variazioni sul tema che hanno fatto storcere il naso ai puristi e al tempo stesso regalato l’occasione di essere flessibili e creativi come in pochi altri JRPG. Tutto grazie alla “Junction“, la meccanica che consente di associare un personaggio a una o più Guardian Forces (le classiche evocazioni) per potenziare le statistiche e affinità elementali o di status dei membri del party – prima ancora di considerare i livelli.
Ciò avviene attraverso le magie, che in questo titolo vanno assorbite da fonti naturali o dai nemici, che vanno associate alle abilità delle Guardian Forces. Ciò consente, per esempio, di aumentare gli HP legando “Energia” all’attributo di vitalità dell’evocazione o aumentare la propria resistenza allo status sonno assegnando allo stesso modo “Morfeo” alla pagina delle resistenze alle alterazioni.

L’inghippo? L’aumento di questi valori è direttamente proporzionale al quantitativo di ogni magia (minimo 0, massimo 100) e usandole in battaglia andiamo ad intaccare in tempo reale le nostre capacità. Strategia e pianificazione a livelli altissimi, in particolare per via della natura fortemente votata all’exploit dei combattimenti: le mitiche “Limit Break” che in Final Fantasy VII potevano essere usate al riempimento di una barra in questo caso invece vengono rese disponibili quando la nostra energia arriva a livello critico (evidenziato in giallo), stimolando strategie ad alto rischio e alta ricompensa.
La “Renzokuken” di Squall è una delle mosse più entusiasmanti della storia dei JRPG, con i suoi comandi a schermo da premere a tempo, e diventerà la vostra compagnia fidata insieme alla magia Zero (che abbassa le difese a… indovina il valore?) e Aura (che porta in stato di Limit senza sacrificare la propria vita). Quello che appare come un sistema semplice, in realtà diventerà frutto di esplorazione, scoperta dei segreti, ottimizzazione delle Junction e prontezza di riflessi: in pratica viene toccato ogni elemento classico del genere.

Riprendere la mano con un titolo a tratti anacronistico (come lo sono il settimo e il nono episodio) può essere impresa complessa per i più, in particolare considerando la forte componente narrativa e l’assenza di un doppiaggio che tenga alto l’interesse nei momenti più pesanti. Il lifting estetico è sensibile per ciò che concerne i personaggi principali, mentre risulta trascurabile nel caso di mezzi ed elementi della world map.
Anche la gestione dei fondali prerenderizzati – seppur sufficientemente ripuliti in sporadici casi – lascia un po’ a desiderare: sappiamo bene che i codici originali sono persi e che quanto vediamo sia il meglio che si possa ottenere dal reverse engineering della versione PC pubblicata su Steam (già un riadattamento grezzo di quella ad opera di Eidos nel 2000), ma non possiamo certo segnalare il risultato come soddisfacente, in particolare quando lo stacco tra personaggi e sfondi viene palesato da visuali ravvicinate.
Segnaliamo inoltre un certo fastidio anche per l’adattamento del sistema di controllo, che originariamente consentiva di controllare l’avatar sulla mappa e nelle aree con movimento a 360°, mentre in questa versione obbliga a spostamenti su 8 assi. Ingiustificabile.

Il gioco in sé continua però ad essere “godurioso” nella suo unire una storia molto lunga e articolata ad elementi da completista davvero intriganti: dalle riviste da raccogliere contenenti le formule necessarie a forgiare nuove armi o le abilità di Angelo, le tante evocazioni celate in aree nascoste (su tutte Kharonte, Gilgamesh ed Eden), il Triple Triad che cattura e porta ad esplorare il mondo in lungo e in largo. È roba d’altri tempi, confezionata in un periodo in cui ancora si stava creando qualcosa di nuovo.
Non è semplice consigliare Final Fantasy VIII Remastered al giocatore d’oggi, ma si tratta dell’unica occasione per riviere un titolo a tratti controverso ma che in modo o nell’altro ha preservato un’aura leggendaria, scalando la classifica dei titoli più amati del genere anche oltre i suoi effettivi meriti. Gran parte della sua efficacia era da ricondurre all’opulenza tecnica mostrata all’epoca, oggi affievolitasi sotto i colpi di una conversione caratterizzata da alti e bassi, che prova ad arrufianarsi il pubblico con l’inserimento di modalità di gioco agevolate che azzerano gli incontri (ma in teoria lo farebbe già un abilità nel gioco…), curano il party e azzerano i tempi di attesa e, per finire, aumentano la velocità di gioco fino al 300%.
Un pezzo di storia immancabile per gli appassionati, una lezione di creatività applicata al JRPG per i più curiosi.